Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
La porta, del passato. Quella accanto, quella di fronte. Soglia come uscio, come uscire, come lasciarsi andare, come lasciare andare. Come andare incontro a ciò che succede. C’era un tempo in cui ero stata abituata a vivere le porte, soprattutto le nostre, per essere aperte, per accogliere e lasciare entrare la luce, il vento, gli altri. Noi. Un continuum di casa, senza muri, di fatto.
Ci sono persone che hanno dentro di sé una luce enorme, abbagliante, riempitiva, ingombrante, anche, ma unica e rara, che neppure loro stesse conoscono a fondo. Come te. Dopo di te, raramente mi è capitato di viverla, così sulla pelle.
Come quelle porte che hanno una riga di luce sotto e restano chiuse e non sapranno mai quanto bagliore potrebbero mostrare se venissero aperte, potendo ritornare indietro.
Ci sono persone che entrano nella tua vita solo per ricordarti di chiudere la porta a chiave più spesso. Quante porte abbiamo aperto, poi chiuso, ma sempre riaperto in oltre dieci anni. A chiave, socchiuse, spalancate, ma il verbo “aprire” e “fare entrare” era il filo che ci univa. Noi, le case, le porte, gli affetti, Minou, poi Milady, quante persone sono entrate, di quante illusioni abbiamo vissuto, abbiamo sbagliato a fidarci o, forse, non abbiamo avuto il coraggio di “smontare” le nostre paure sulla realtà.
Dopo di te, di noi, la misura di certi giorni sono le scale che salgo faticosamente, lo sguardo basso e la chiave che non gira nel modo giusto nella porta. Lo sguardo sempre rivolto all’indietro, come a cercare ancora quella vita, quella storia, quelle abitudini con le quali mi sentivo al centro del Mondo.
Hai chiuso davvero una porta quando non ti importa più sbirciare dalla serratura, di accusare ogni rumore come boomerang, di farti graffiare il cuore da chi entra “dopo di te”. Sì, perché è estenuante bussare, idealmente, a una porta che non si apre. Ma lo è di più tenere aperta una porta in cui nessuno entra: tu.
Oggi, da più parti, mi sono arrivate queste parole di amore, di fede, di speranza per me: «mettere insieme i pezzi, smettere di guardare indietro, ma guardare solo avanti. Le cicatrici hanno valore perché parlano della nostra battaglia interiore. Non vergognarsi delle proprie debolezze, non nasconderle, ma usarle per rafforzare la nostra forza. E, soprattutto, perdonare, essere pace e in pace».
«Guarda avanti»- mi è stato ripetuto – per guarire.
Quella porta, si è aperta, nuovamente, mi ha svegliata di mattino presto. Rumori molesti e la stessa violenza. Sono entrata dentro, come l’ultima volta, quasi estranea e abusiva – come loro – di tanta “bruttezza della tua non casa”. Mi sono immaginata te e questo pensiero «non aprire mai le porte a coloro che le aprono anche senza il tuo permesso». Sono uscita, col nodo in gola, e portandomi via due oggetti, ricordi di viaggi insieme, ma alla fine sono solo cose, il legame inattaccabile e inviolabile è il cuore, nel cuore.
Ci sono pensieri – come questi – che ti rimbombano dentro come una porta sbattuta. O una mai aperta.
Ho chiuso con le illusioni, ma queste continuano – testarde – a cercare di buttar giù la porta.
Voglio imparare ad aprire la porta e dietro trovare te. Non aver paura del vuoto, del prima e del dopo, ma sentire “casa”, ogni giorno, nel cuore. Non sono pronta ad assistere al trasloco, a chi verrà, se rimarrò qui, ma so che voglio guarire, guardare avanti, senza essere più ostaggio del passato. Voglio continuare il mio viaggio, sentendo la bellezza che hai lasciato, in queste case, dentro la mia vita, senza soffocare nell’abbandono. Ci riuscirò? Sì, me lo devo. Te lo devo. Eppure, mi manchi e mi mancano i nostri abbracci di “famiglia”. E, alla fine, il “tutto insieme”: è solo la prima delle altre porte “di casa” che si stanno chiudendo.
Si dice che la porta sia la parte più lunga di un viaggio – Porta itineris dicitur longissima esse.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Mamma, che giri, quanti giri fanno le vite, eh? Era davvero una splendida giostra. C’era il movimento, il vuoto, la paura, la felicità. E c’era la vertigine di guardare nei tuoi occhi. Era la nostra giostra. Sui giri di vite, sto imparando tanto da una canzone di Marco Mengoni che mi ha rapita:
Quando la vita poi esagera
Tutte le corse gli schiaffi, gli sbagli che fai Quando qualcosa ti agita Che giri fanno due viteOggi è il tuo giorno, il nostro gettone, quel gettone che tiro fuori dalle tasche, ogni anno, il 14 maggio, soprattutto. Un giorno pieno di significato, oltre la festa della mamma: sedici anni che sei salita più in alto di me, più lontano da me, eppure sempre fianco a fianco.
La vita è un giro di giostra con un solo gettone. Puoi urlare, piangere, ridere, emozionarti e aver paura. Ma, alla fine, mi hai sempre insegnato a vivermelo a fondo, senza voltarmi indietro a guardare a cosa sarebbe successe se… La nostalgia è una di quelle giostre dove nessuno ti viene a prendere. E sulla piattaforma gli animali di legno sono fermi e sorridono.
Questa vita è una gigantesca giostra in cui non si vede mai il giostraio, quelli che girano sui cavallucci strillano, illudendosi di essere bimbi, come succede a me. In un anno così in salita, sì, a ripararmi da pericolosi burroni, da rapidi saliscendi, imparando a piegarmi dolcemente a ridosso delle tante strade con le curve a gomito. Un anno in cui, beh, se la vita è una giostra ho avuto, spesso, la netta sensazione di aver finito i gettoni. Eppure, ho sempre ripreso la corsa, ricercato quella giostra, la nostra. E quella che mi aspetta, sta aspettando, anche nel mentre scrivo…
Come quelle giostre spericolate che ti fanno paura, ma ti sfidi e ci vai. E poi non vorresti più scendere, da quel carosello di emozioni.
Un figlio senza genitori non è più figlio, ma Uomo o Donna, genitore semmai. Senza famiglia si è la persona più vulnerabile al mondo, eppure diventa la più forte, se impara con amore a bastarsi. Il primo anniversario da “orfana”, di madre e padre. Nella lingua italiana, “orfano” è il figlio a cui mancano i genitori. Esiste anche un altro termine: “orbato”. Come se venisse a mancare la luce ai propri occhi. E’ come se l’orfano tagliasse lui stesso il suo cordone ombelicale. Ecco, oggi, mi sento così, sarta di taglio su me stessa. Non vinta, non sconfitta, non arresa, ma consapevole e anche così forte come mai avrei pensato di scoprirmi, senza più te e il mio capitano, e tutti gli errori che ho commesso in questi anni…
Sai, mamma, anche oggi, se mi guardo indietro, sulla giostra degli errori sono quella che prende sempre il fiocco e vince il giro successivo. Mi faccio travolgere dalle emozioni, senza mantenere la prudenza al volante della vita, ma sto imparando dagli allenatori implacabili in compagnia dei quali mi hai lasciata. Ho capito, sulla mia pelle, che l’abitudine a dar per scontato l’amore vero che c’è, quello che si tocca, che si ha il privilegio di poter vivere, di scambiarsi in vita, è una giostra ferma, alle volte. E, allora, falla girare. L’ho fatta girare, oh sì!
Sì, alla fine, noi viviamo e moriamo, ma le ruote della giostra continuano a girare.
Ecco che cosa resta
di tutta la magia della fiera:
quella trombettina,
di latta azzurra e verde,
che suona una bambina
camminando, scalza, per i campi.
Ma, in quella nota sforzata,
ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi,
c’è la banda d’oro rumoroso, divertimento e horror, risate e colpi di stomaco chiuso,
la giostra coi cavalli, l’organo, i lumini.
Allora, facciamolo un ultimo giro di giostra,
così da guardare dall’alto tutte le nostre sterili corse e le nostre piccolezze,
e sfiorare le nuvole.
Se la vita è una giostra NON ho finito i gettoni, mamma.
Sempre insieme, noi due.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Due su due. La promessa continua. Siamo tornate a Genova, un anno dopo. Alla Mostra Internazionale Felina di Genova. Lì, su quel palco che ti aveva accolta orfana di zio troppo presto, frastornate dal troppo rumore, troppa luce e troppo freddo. Su quel palco sotto al quale io ti osservavo così fiera e col nodo in gola. Ci siamo tornate, da sole, con lo stesso groviglio nel cuore, ma sapendo di contare su riferimenti preziosi che la vita, strada facendo, ci ha messo sulla strada.
A chi non c’era, ma c’era dall’isola del nostro cuore, la Sardegna, terra natia di Milady, devo un grazie speciale. Tutto è iniziato con il regalo dello zio per i miei cinquanta anni ( e per i successivi): a Sguardi Dolci di Sonia Fenu e Addams Cuttery di Martina PintusBoi, alla loro scelta di selezione, alla linea di sangue da cui discende First Milady Sguardi Dolci.
A chi c’era e mi ha aiutato, passo passo, da mesi, svelandomi “tutti trucchi del mestiere”, accogliendomi in casa per insegnarmeli, Gianfranca Saronni, e oggi stesso, Michela Faccio che, non conoscevo, solo per tramite di Gianfranca, ma si è presa cura di Milady, come se fosse sua, insieme ai suoi meravigliosi persiani chinchillà: allevatrici serie e davvero disponibili. Alla complicità ritrovata in Franca, allora come oggi, che ci ha riaccompagnate a case e al suo bellissimo certosino Estragon. E a Marinella che ci ha raggiunte per la premiazione e si percepiva negli occhi tutto il suo tifo per questa principessa. E, non ultimo, a Minou che mi spinge, come non pensavo possibile, ad amare ancora così tanto, dopo di lei.
C’era l’ansia, il coraggio, la fierezza, la paura delle emozioni che ritornavano a galla, del vuoto che bussa sempre alla porta del cuore, la voglia della promessa mantenuta, da rinnovare, che continua.
A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato. Quest’anno, sì, abbiamo vinto. Non abbiamo mai mollato, bambolina del mio cuore!
Vincenti. Basta guardarli. Basta guardarci. Noi abbiamo vinto, insieme, anche quest’anno, imparando la lezione che più conta: la cura, la bellezza, le fatiche della preparazione, la pazienza, la resilienza, ma la vera maestra sei tu, Milady, dagli occhioni color rame. A certa bellezza non puoi reagire. Ti incanta la pelle. Ti crea spazi tra gli occhi. Ti fa luce limpida nel cuore. Hai messo in difficoltà quei giudici, tentati dal proclamarti vincitrice, ma conta il viaggio non la meta. La vittoria vera la conosciamo solo noi.
La vittoria è sempre nel pugno di pochi. Provare a preparare questa pattuglia di eroi è il segreto di ogni vittoria. Vince due volte chi nell’ora della vittoria vince se stesso. Chi si fa forza in due, ma vale mille: noi. Nuovi compagni di sfide, la bellezza e l’amore che ti scorrono accanto, quasi a sentirle addosso. La tua dolcezza e il tuo carattere sono la più attrattiva calamita del mondo. Perché basta un tuo sguardo (dolce) per scioglierti e sentirti al sicuro, in pace col mondo, per un attimo. E non importa cosa hai dovuto affrontare, fin qui, ma conta il peso specifico di chi e cosa siamo, noi. Insieme. Quando ci mettiamo in cammino verso qualcosa…
Convincere, è vincere, senza che ci sia un vinto. Vincere su se stessi, nonostante tutto e tutti.
Ci sono delusioni e ferite che ti scaraventano fuori dal corpo, dalla ragione, dal mondo, dall’universo, dalla vita.
Poi arriva la forza. Non sai da dove, ma arriva. E ti risolleva.
La vittoria non è definita dalle vincite o dalle sconfitta. Essa è definita dall’impegno. Se puoi dire sinceramente “ho fatto il meglio che potevo, ho dato tutto quello che avevo,’ beh, allora sei un vincitore.
Tu, Milady, hai tirato fuori il meglio di me, il senso materno più esplosivo che vive dentro me. Mai come ora, dopo tutti gli strappi del cuore.
Ho vinto. Abbiamo vinto. Cuore-a-cuore. Tu che già dal tuo nome (First Milady) sei la prima in tutto a sbaragliare cuori e strappare giudizi. A incantare allevatrici, anche solo per il tuo carattere, che ti invidiano tutti. Sei piccola, ancora, faremo tanta strada, dentro e fuori.
Vincenti. Basta guardarli. Basta guardarci. Noi siamo da “best in show”, anche se non lo abbiamo vinto, ma ci siamo arrivate, anche quest’anno, strette strette, abbracciate e più complici che mai.
Per sempre, noi.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il mio giorno zero. Esiste per tutti un giorno zero? Sì, quello in cui non si vince, non si perde, ma si riparte. Il numero dopo lo zero è sempre un inizio, anche dopo la fine di qualcosa. Un andare daccapo. Negli inizi si è vergini, non si può partire sconfitti e, se succede, beh, è più quella fastidiosa vocina sabotante che s’impone su tutto, e non il tutto. Ci si allontana da qualcosa, da qualcuno, da chi non resta, da chi non c’è mai stato, ma ti sei aggrappato all’idea ci fosse per farti tornare meglio i conti nel cuore. E così lo chiamano “il giorno zero” quella volontà di mettere un punto, respirare profondamente e ripartire, ripartire dal nulla, senza passato, senza futuro, senza la zavorra di tutti i tuoi errori e quelli che gli altri ti hanno scaricato addosso, senza niente.
Mi ha investito come un treno il mio personalissimo giorno zero, quello che convenzionalmente ho usato per ripartire. Ogni giorno zero di solito è preceduto da giorni con i numeri relativi, negativi, che ti hanno tolto qualcosa: la famiglia, un amore, un amico, più d’uno, un lavoro, una città, l’autostima, la bellezza di essere ciò che sei. Tocca reinventarsi, cambiare, trasformarsi, crescere improvvisamente e sapersi arrampicare ovunque per salvarsi. Bisogna voltar le spalle a ciò che viene prima di quel giorno per essere viva, possibilista, speciale per te, nuova, davvero me stessa. A volte, capita, che il giorno zero sia più neutro, più bizzarro e senza troppo carico sentimentale, ma non a me. A me non succede mai quel condono emotivo.
Quel giorno è stato il mio compleanno, il 16 gennaio, a due anni di vita dalla nascita del blog ma, soprattutto, il primo senza lui, senza quel noi. Ma con lei. Milady, il tuo regalo, anno dopo anno.
[…] Senza loro. Quel tempo di bilanci a cui non si può sfuggire. Un crocevia di tanti nodi e ferite che si sono riuniti tutti lì, insieme, facendo tanto rumore. E poi è arrivato quel messaggio vocale di un’anima spirituale e antica, tra i tanti, ma diverso dai tanti, a restituirmi il senso di quello che stavo vivendo e, in un qualche modo, ad ispirare “le fil rouge” di questo racconto postumo, che riproduco, in parole, per renderne lo spessore “Il tuo tempo è ancora lungo. Si sta dilatando. Non sono 51 anni, ma oggi è il tuo primo anno di vita! Che tu possa viverla anche per Pino, con gioia. Ritrovare quella morbidezza e leggerezza. ..E’ tutto da scrivere il tuo futuro, ti voglio bene, Millina. Buon compleanno, Millina: io ci sono!”.
Grazie Silvia, anche per la tua paziente attesa e le tue puntuali ‘comparse’, perché, sì, oggi quelle parole hanno lo stesso effetto solo “dilatato”, già… Alla fine, ho capito, sulla mia pelle, che c’è chi rimane in silenzio e in attesa dei tempi giusti, dandoti tempo, e c’è chi scivola via perché non ha tempo di concedere tempo, sta sempre a rincorrere e rimandare il tempo in attesa di qualcosa che può sempre accadere…un giorno, finché non si raggiunge il proprio “giorno”.
Tutti i numeri uno sarebbero minuscoli, se dietro non ci fossero le code osannanti di zeri. L’umiltà dello zero, si accontenta del fascino del non essere, del suo mistero vuoto, mentre i numeri si affannano per crescere e farsi notare.
Amo chi sa ripartire da zero. Consapevole che in quel momento lo zero è maggiore di qualsiasi altra cifra. Anche quando senti di valere zero, ti diranno che vali zero, ricorda che lo zero viene prima di tutti gli altri numeri. Siccome lo zero è “il nulla”, allora il doppio zero indica “il tutto”. Ecco, mi piace ripartire da qui. E puntando a “chiudere” quel cerchio con amore, libertà e leggerezza, presto. Nella tua terra. A primavera.
Dallo zero in poi conti all’infinito.
Per fare il contrario non sai da dove cominciare.
Basterebbe solo questo a mostrare tutta la fragilità e la bellezza del cuore.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Capodanno 2023: un altro giro di giostra. Che si porta via un 2022 difficile, in salita, dove tutto quello che poteva accadere è accaduto e… dopo un finale di 2021 già così amaro.
C’era un prima, fino al 2021. Era davvero una splendida giostra. C’era il movimento, il vuoto, la paura, la felicità. E c’era la vertigine di guardare nei tuoi occhi. Le vecchie e familiari giostre, con le criniere dei cavalli che sembrano troppo vere, mi hanno insegnato quanto possa essere esaltante girare in tondo.
Mi hai invitato a un ballo sulla luna, due giri di bollicine, tre spettacoli di magia, quattro passi con gli unicorni, cinque mostre d’arte, sei tramonti, sette giri di giostra, otto fughe in un bosco e diecimila risate. Come potevo dire di no? Quanti anni di tradizioni, abitudini, ricordi, viaggi, casa, famiglia, regali da scartare, simpatici siparietti sul cosa fare e non fare, cosa preparare per cena, compleanni da organizzare [n.d.r. immancabilmente io perché non tu amavi festeggiare, salvo quella tua festa di compleanno a sorpresa, alla vigilia del lockdown, che ti commosse così tanto da rendere visibili a tutti i tuoi occhi umidi: sbam, c’ero riuscita, almeno una volta, a sorprenderti!], gite in auto “senza tetto”, sorprese, di abbracci, qualcuno da chiamare tra partenze e arrivi, quel senso di “case aperte”, quella magia di Natale tutto l’anno. Oggi, c’è in quello che immagino qualcosa che non riesco a vedere. Che fa la magia di quello che immagino. Mai come ora sento che la nazione più forte sulla terra, oltre a noi, è la tua imagi-nazione. Un nuovo inizio senza giorni di te e di me, di noi. Senza chi sapeva essere Presenza e farti sentire importante, ogni giorno.
Un giro di giostra con un solo gettone. Puoi urlare, piangere, ridere, emozionarti e aver paura. Ma goditelo a fondo così come l’amore. Perché, sì, innamorarsi è come essere su un ottovolante che sale soltanto. E ci sono delle salite che ti sparano verso le stelle con tutta la loro forza centrifuga. Ho pagato infiniti giri sulla giostra della vita e, ora, dopo aver visto che ruota sempre e solo in tondo, vorrei davvero poter scendere, per un attimo. Tregua. Questa vita, oggi, assomiglia ad una gigantesca giostra in cui non si vede mai il giostraio (tu), quelli che girano sui cavallucci strillano, illudendosi di essere bimbi (io).
Facciamolo un ultimo giro di giostra, così da guardare dall’alto tutte le nostre sterili corse e le nostre piccolezze, e sfiorare le nuvole, senza finire “mai” i gettoni. Sentirmi, ancora, come al Luna Park. Odore di caramelle e zucchero filato. La mia pelle che vibra sulle giostre. E certi sorrisi al sapore di un “Ti Vorrei Ancora Qui”. E’ stata una prova durissima percorrere, da sola, il 2022 e, forse, anche scrivere nuove pagine dell’anno che verrà. Per il 2023 ci vorrebbe un’epidemia d’amore.
Come quelle giostre spericolate che ti fanno paura, ma ti sfidi e ci vai. E poi non vorresti più scendere, da quel carosello di emozioni, da quell’ultima sera.
L’ultima sera
L’ultima storia,
l’ultimo luna Park…
E tu che sogni
Mentre la giostra va…
(Renato Zero)
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il tempo è un’illusione, lo diceva Albert Einstein e gli do ragione.
C’è stato un tempo, prima dell’inizio del tempo? Non lo so, ma man mano che andiamo a ritroso, il tempo si avvicina a raggiungere il niente, ma non è mai stato il niente.
Il tempo – che gli uomini tentano di domare con gli orologi, fino a renderlo un automa – è per se stesso di natura vaga, imprevedibile e multiforme, tale che ognuno dei suoi punti può assumere la misura dell’atomo o dell’infinito.
Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più. E’ passato del tempo, quanto e come, non so spiegarlo, a parole.
E’ passato un anno, dove è successo di tutto in quel “tempo”, da quella corsa forsennata a 180 all’ora con una due posti con a bordo tre anime sospese.
Ore, da Genova a Modena, di speranza verso l’im-possibile, di dolore, di lacrime, di dover “lasciar andare”, di carezze, di spasmi, di sguardi struggenti, di stretta di mani, di guardarsi negli occhi e non trovarsi più nella gioia a tre, ma nel dolore dell’abbandono, della morte che bussava alle porte dei nostri cuori.
Tu hai scelto, autoritaria qual eri, anche alla fine: quando e come arrivare, quando e come scivolare via, addosso a me, guardandoci negli occhi, un’ultima volta.
Quella corsa contro il “tempo”, beh, io non me la sono mai più scordata, ho impiegato tanto tempo per ritornare “a casa”, nella mia Modena, e l’ho fatto in treno (non in auto), nel tentativo di confondere “quel percorso autostradale verso la morte”.
E’ passato un anno senza di te, tenera e aristocratica Minou. Mi sono aggrappata così tanto ai ricordi, allo zio, ad una forza che credevo non sarebbe più tornata, ma è tornata giocoforza, eccome, ma per affrontare altre sfide.
Dopo di te, dietro l’angolo, anche lo zio mi ha lasciata. Come se, improvvisamente, volesse correre e nuotare veloce per raggiungerti. Infatti, i nostri nomi, “ Milena e Minou” sono state le sue ultime parole. Anzi, il tuo nome è stata la prima cosa che ha chiesto “in quel suo tempo”, di cinque mesi dopo.
Mai prima d’ora ho avuto così poco tempo per fare così tanto. Da sola.
Eravamo in due.
Poi in tre.
Poi, in due senza di te.
Poi, in due, senza di te e senza lo zio.
E, infine, noi due, le emme rimaste a ricordare, ogni giorno, il profumo e il calore del nostro tempo.
Oggi, lo so, ma è solo una conferma: la più grossa dimostrazione d’amore è il tempo dedicato, il resto sono parole.
La mia eredità è il tempo, il tempo dedicato a te, a noi tre, il tempo che mi avete dedicato, che siamo regalati. Il tempo di una “nuova vita”.
Il tempo, per tutto quel tempo, che mi hai insegnato a vivere in questa città, senza farmi sentirmi mai una solitaria emigrata. A riempire tanti vuoti di cuore… sempre in attesa di qualcosa di grande che dovesse succedere.
Ed è successo, già, sì, un grande vuoto moltiplicato per due, ma anche il tempo della mia grande occasione di non deludervi, dell’attesa e della cura, nonostante questo tsunami del cuore, questo brutto scherzetto che mi avete riservato “così presto”.
Oggi il tempo è passato dappertutto, nelle stanze, nelle strade, negli alberi. L’unico posto dove non è passato è in quella nuvola lassù nel tramonto, che mi chiama allo stesso modo di quindici anni fa, di un anno fa, di sei mesi fa.
Oggi, quella nuvola lassù nel tramonto, è ancora la mia (doppia) stella cometa. E’ La mia promessa a te, a voi, di continuare il mio tempo “senza”, ma “con” rinnovata vita, riscoprendomi ogni giorno ‘mamma’ di vita, di qualcosa, di qualcuno, di una nuova Milena, anche in un anno troppo in salita…
Quel tempo…sei ancora tu. Siete voi. Siamo noi.
Solo, s’è fatto tardi molto presto.
Con amore piccola skipper,
la tua mamma
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Nankurunaisa: la cura del tempo. Credo sia una delle parole più belle del mondo. E’ giapponese e significa “con il tempo si sistema tutto”.
Mi sono nascosta dietro un albero inseguita dalle mie ferite. Il signor Tempo si era fermato prima e mi guardava da lontano, come chi non avesse più la forza di corrermi dietro.
E oggi c’è chi guarda noi due. Una a proteggere l’altra. La cucciola pelosa, però, è così “drolla” – come ho imparato stasera da Sonia – che non sa neppure saltare ma, meno male, perché non ha istinti di fuga (ndr, beata lei) alle sue prime uscite di casa. Col tempo – anche Milady – si è conquistata la strada verso il cielo, la luna e le stelle.
C’è stato un tempo, prima dell’inizio del tempo? Non so, ma man mano che andiamo a ritroso, il tempo si avvicina a raggiungere il niente, eppure non è mai stato il niente. Mai prima d’ora abbiamo avuto così poco tempo per fare, elaborare, soffrire, sognare e desiderare così tanto.
Il tempo è buon amico, il tempo è buon testimone, il tempo è denaro, il tempo è galantuomo, il tempo è gran medico, il tempo è una lima sorda, il tempo consuma ogni cosa, il tempo vola, ma nessuno ha veramente capito a cosa serva il tempo.
Il tempo è spesso puntuale nel farci capire molte cose in ritardo. Oggi, ho l’ora, ma non ho mai il tempo. Non più “quel tempo”.
Non so come sono chiamati gli spazi tra i secondi, ma è in quegli spazi che il dolore picchia più forte quando si sente la mancanza di una persona.
Lo so, nella corsia del tempo non si può sorpassare né fare inversioni a U.
E allora? Riparate la ruota del mondo! Perché deve continuamente girare? Dove si trova la retromarcia?
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Emme come mamma. La mia. Quanta strada, da quel lontano (…) 14 maggio 2007. Quanti anni, quanti cammini, al buio, quante strade imboccate nel tentativo di ri-trovare la Via. Persa, ripresa, e sono ancora qui a cercare di ritrovarmi, rimettermi in careggiata, sai? Oggi, paradossalmente, più di allora.
Certe strade sanno dirlo meglio. Come certe persone. Come tu, mamma. Tu che conoscevi ogni angolo del mio cuore e della mia mente. A volte si percorrono strade che il cuore non capisce
e la mente non sa spiegare.
Ma l’anima lo sa.
Ogni tanto mi è successo di fare una svolta sbagliata ed uscire dal sentiero. Perdermi in qualcosa che amavo, che ho incontrato dopo di te, e il tuo vuoto, come un premio a riempire quel rumore di silenzi che hai lasciato. Non so cosa penseresti, oggi, di me, ma so che non mi sono mai fermata, ho continuato a correre anche quando non sapevo la direzione, eppure la tua bussola mi guidava, insieme alla mia fede buddista. La stessa che ho abbracciato vent’anni fa proprio a causa, o semplicemente, grazie a te, alla tua malattia e al mio instancabile spirito di ricerca.
E…come Modena, quindici anni fa, senza di te. Da allora, la mia vita è cambiata, radicalmente: radici, terra, legami, spaesamenti. Tutto nuovo, tutto da riscrivere, tutto da reinventare per una figlia orfana di mamma ed emigrata. Come se la tua scomparsa, così prematura, mi avesse permesso tutti gli incontri significativi che mi si sono “presentati” davanti. Grandi amori, grandi riempimenti di cuore, quasi fossi sempre tu il mandante di tanto vuoto e tanta pienezza d’amore. Numeri che sembrano coincidenze. Anni che sanno come calpestarti la vita.
Minou, la mia bambina pelosa che mi ha accompagnata per oltre 13 anni.
Presi, il capitano con il quale ho percorso tanta strada, in questi ultimi 13 anni. Incontrarti per la prima volta all’angolo di quella strada, che sarebbe diventata (anche) casa mia, è stata una dichiarazione di vita, una poesia mai letta, un’esplosione di colori, una scala appoggiata nel cielo, migliaia di fiori di campo appesi a ogni tua parola. Improvvisamente, non ero più sola. Non eravamo più soli. E, poi, sei arrivata tu, Milady, come regalo, ma siamo rimaste solo noi, alla fine. E tu, mamma, lo sapevi, vero?
Come ci arrivo a questa data di maggio? A questi quindici anni “senza mamma”? Ammaccata, sai? Non da ferma, però, ma sempre più orfana: di te, di Minou e di lui. Ci arrivo da Donna, più consapevole, di chi ero, di chi sono e di chi voglio e devo diventare per me stessa e per tutte le Emme del mio cuore. E, anche, per tutte le emme che verranno dopo di te, dopo di voi. Mi hai insegnato tante cose, che sono rimaste sempre con me.
[…]
E’ cosa di un momento: io sono la strada e lascio dietro di me il viandante che ero e la distanza e l’affanno e l’incertezza, e ogni cosa è dentro la mia strada. Questa, è una di quelle.
Ho cercato di non barcollare; ho fatto passi falsi lungo il cammino. Tanti, troppi, sapessi. Ma ho imparato che solo dopo aver scalato una grande collina, uno scopre che ci sono molte altre colline da scalare e, non solo, anche montagne. Mi sono presa un momento, fatto di anni, per ammirare il panorama glorioso che mi circondava, per dare un’occhiata da dove ero venuta. Eppure, l’ho capito, eh già, posso riposarmi solo un momento, perché con la libertà arrivano le responsabilità e non voglio indugiare, il mio lungo cammino non è finito. Anche se, diciamocelo, questo nuovo anno e i miei “tanto attesi” cinquant’anni non me li aspettavo proprio così, eh…!
Mi torna in mente Edoardo Bennato ...”Seconda stella a destra, questo è il cammino.. e poi dritto fino al mattino!”
La vita dovrebbe avere più svincoli,
piazzole delle meraviglia,
strade della felicità senza uscita,
baci ai caselli
e nessun limite alle possibilità.
Ti voglio bene mamma, grazie per tutta questa strada e quella che farò, faremo ancora…
Tua Milly
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…