Il sentiero degli Dei: un’avventura davvero unica nel suo genere. Il luogo conserva ancora tutto il suo fascino e ha ispirato poeti e letterati. Italo Calvino ha descritto il Sentiero degli Dei come “quella strada sospesa sul magico golfo delle “Sirene” solcato ancora oggi dalla memoria e dal mito”.
Ed è proprio con questa frase impressa su una targa in ceramica che inizia il percorso lungo i Monti Lattari, che vi farà innamorare di questo tratto di cinquanta chilometri di costa a sud della Penisola Sorrentina: un indiscusso orgoglio per l’intera Costiera Amalfitana. Si chiama così perché secondo la leggenda qui passarono le divinità greche per salvare Ulisse dalle sirene che si trovavano sull’isola de Li Galli.
Il percorso “divino” collega Agerola, un paesino sulle colline della Costiera Amalfitana, a Nocelle, frazione di Positano abbarbicata alle pendici del Monte Pertuso, è lungo 7,8 km e si percorre in circa 3 ore di cammino. È stato per secoli l’unica strada che collegava i borghi della Costiera Amalfitana, in provincia di Salerno.
Già dal nome si può intuire la spettacolarità del sentiero: percorretelo nella direzione che va da Agerola a Nocelle in modo da camminare in leggera discesa e avere davanti il panorama della Costiera Amalfitana e di Capri.
Lasciatevi trasportare dalla fantasia, provando a sentire il rumore della nave di Ulisse che solca le acque azzurre del Tirreno e giunge verso la Costiera Amalfitana. Solo l’odore della vegetazione, così forte e penetrante, può solleticare la mente e distoglierla dalla visione mitologica.
In questo luogo sono stati trovati molti fossili marini e nelle grotte si avverte tutto il fascino primordiale della vita. Una di queste, la Grotta del Biscotto, ha delle case secolari. I tratti di belvedere e il bosco si inseguono e lasciano spazio ai contadini che percorrono quello che non è solo un itinerario turistico, ma la via più breve che collega le frazioni. Soprattutto in estate, è facile vederli accompagnati da muli carichi di frutti e ogni bontà offerta dalla terra fertile.
Percorrendo il percorso, trovate anche delle sorgenti di acqua fresca e potabile e, quando la fatica inizia a farsi sentire, ecco che il borgo di Nocelle è pronto ad accogliere i viandanti. Da qui, si vede benissimo l’isola Li Galli, dove le Sirene usavano il canto per trarre in inganno i marinai. Solo Ulisse riuscì ad attraversare indenne il tratto di mare perché si era fatto legare all’albero della nave dalla maga Circe.
Dopo una sosta a Fontana Vecchia di Monte Pertuso, il viaggio prosegue verso Positano e i famosi 1700 gradini. A Monte Pertuso (352 metri di altezza) si narra che sia stata disputata una battaglia tra la Madonna e Lucifero, anche le tracce di quella lotta sono impresse nella roccia che presenta un “pertuso”. In dialetto questo termine significa buco e pare che sia stata la Madonna ad affondare le dita nel cuore della roccia. In realtà, si tratta di un fenomeno di erosione, già visto in altre zone della Costiera Amalfitana, che ha modellato le rocce come fossero sculture di pietra.
Da Bomerano, frazione di Agerola, parte il sentiero a picco sul mare contrassegnato da segnali in bianco e rosso con la scritta 02. Da Colle Serra, il sentiero diventa più tortuoso, si percorre un primo tratto in discesa fino a raggiungere una fontana. Sulla sinistra troverete la mulattiera che sale da Praiano, mentre sulla destra si prosegue per il Sentiero degli Dei. In basso, noterete il Convento di San Domenico, che invece si trova sulla strada quando si sale da Praiano. Per raggiungere Nocelle ci sono due possibili sentieri da seguire, tra numerosi saliscendi immersi nella macchia mediterranea che regalano panorami spettacolari a picco sulla costa.
Due gli itinerari che dividono il Sentiero degli Dei in “alto” e “basso”. Il sentiero alto parte dai 633 metri di Bomerano e si conclude salendo i 659 metri di Santa Maria Del Castello: è leggermente più difficile perché, come dice il nome, si sale in altezza.
Il sentiero basso è quello che attraversa Nocelle, e molti turisti meno allenati scelgono di percorrere proprio questo che, personalmente, ho trovato anche più suggestivo. È reso più interessante anche dalla presenza di luoghi particolari tra cui il Colle Serra su cui è stata posta una stele di roccia dove è impressa una epigrafe in memoria di Ettore Paduano, escursionista che ha scoperto il percorso e ha dedicato anima e corpo al Sentiero degli Dei. Da questo punto in poi, si estende la vallata che conduce a Praiano tra eriche e corbezzoli.
Lungo il Cammino degli Dei troverete delle comode panche in legno che servono per riposarsi e per osservare i punti strategici della costiera come i Faraglioni dell’isola di Capri, Punta Penna, l’isola Li Galli, il Monte San Costanzo, la catena dei Monti Lattari e il Monte Comune. Tra salite e discese si arriva al Monte Sant’Angelo a tre punte (tre Pizzi) dove si vede in lontananza la meta tanto desiderata: Positano. Una sorta di “piccola Pompei”, che brulica di vita, dal verde dei Monti Lattari che la incoronano fino al bianco, al rosa e al giallo delle sue case mediterranee, il grigio argento delle spiagge di ciottoli e, infine, il blu del suo mare.
Quella ‘Grande’ è il cuore marinaro del paese: con i suoi 300 metri di lunghezza è una delle più ampie della Costiera Amalfitana oltre ad essere una delle più mondane, frequentata com’è da artisti, attori e dal jet-set internazionale.
Per chi invece avesse voglia di un bagno più riservato c’è la spiaggia di Fornillo, raggiungibile con un sentiero che parte dalla Spiaggia Grande costeggiando il mare e le torri saracene di avvistamento, come la famosa Torre di Trasita.
Al largo di Positano i tre isolotti de Li Galli furono detti “le Sirenuse” per le leggende che li circondavano come rifugio delle sirene incantatrici. Nel secolo scorso furono scelti come buen retiro da artisti come il coreografo Leonide Massine e il grande ballerino Rudolf Nureyev, che nella villa sull’isola più grande trascorse gli ultimi anni della sua vita. Oggi ospitano una villa privata.
Si continua, poi, sul sentiero che porta all’Oasi del Vallone Porto, un luogo da fiaba ricco di cascate, animali e piante rare, dove si trova una cascata e il canyon. Un’infinita serie di gradini, oppure una strada carrabile che si arrampica lungo la collina, uniscono il paese a Montepertuso, la località sui Monti Lattari che sorge tra Positano e il cielo.
Un autentico buco nella montagna che tradizione vuole sia stato creato dall’impronta del dito della Vergine.
Il 2 luglio, nella chiesa della Madonna delle Grazie, si svolge una delle feste religiose più spettacolari della Costiera Amalfitana.
Ecco che si arriva al borgo di Nocelle che si trova nella parte alta di Positano. In antichità la frazione di Nocelle era raggiungibile solo a piedi attraverso una scalinata ripida di 1500 gradini, potrete decidere se percorrerli oppure usufruire del servizio autobus che vi porterà a Positano. In estate, poi, vale la pena di affrontare altri 300 scalini per scendere sulla spiaggia di Arienzo e concedersi un bagno rinfrescante. Da Arienzo, seguendo la SS 163 per circa 1 chilometro, sarete al centro di Positano.
Il sentiero si raggiunge con i mezzi pubblici: le corse dei pullman Sita partono da Napoli, da Amalfi e da Castellamare di Stabia. La manutenzione del sentiero è affidata ai volontari CAI e alle associazioni locali che organizzano passeggiate e trekking alla scoperta di questo angolo di paradiso. Il Sentiero degli Dei comincia da Bomerano, frazione di Agerola.
Per raggiungere Agerola ci sono gli autobus che partono da Amalfi, chiedete all’autista di indicarvi la fermata Bomerano. Da lì, seguite la segnaletica stradale che vi porterà all’imbocco del sentiero.
Partendo da Positano: autobus fino ad Amalfi+autobus Amalfi-Agerola (2 ore).
Se partite da Sorrento: autobus fino ad Amalfi via Positano+autobus Amalfi-Agerola (3 ore).
Il sentiero termina a Nocelle, nella parte alta di Positano. Si può raggiungere il centro tramite una lunga scalinata (1500 gradini) e circa 500 metri a piedi. In alternativa c’è il servizio autobus. Da Positano ci sono autobus e traghetti per tornare a Sorrento e Amalfi.
Vi sono molti operatori turistici che mettono a disposizione delle guide esperte per scoprire i segreti del Sentiero degli Dei. La durata è di 4 ore e 30 minuti circa per un totale di 10 chilometri. Il Sentiero degli Dei, inoltre, offre la possibilità di fare altre escursioni alternative, fuori dal solito tracciato. Non si parte da Agerola, ma da Vettica Maggiore, una località poco distante, e attraverso una scala poco faticosa in circa mezz’ora si arriva a San Domenico, un complesso religioso situato a 400 metri di altezza. Dopo aver visitato la chiesa di Santa Maria a Castro e il convento domenicano del XVI secolo si riparte attraverso lecci e macchia mediterranea.
Ad un certo punto il percorso alternativo si intreccia con quello “ufficiale” del Sentiero degli Dei che porta nel piccolo bordo di Nocelle dove abitano solo 150 persone e c’è un solo ristorante che offre un ottimo menù a base di piatti locali.
Chi soffre di vertigini dovrebbe evitare di fare il percorso perché si sale di quota: Positano è l’unico paese al mondo che è stato concepito su un asse verticale in quanto la conformazione rocciosa non ha consentito lo sviluppo orizzontale.
In Costiera Amalfitana ci sono tantissime strutture ricettive di buon livello e per tutte le esigenze. Sia nei comuni più famosi (Amalfi, Positano e Ravello) che in quelli limitrofi è possibile prenotare a prezzi accessibili in tutte le stagioni.
La costiera amalfitana non è solo un luogo, ma uno stato d’animo che ti si tatua nella memoria E’ limoni e aranceti, scogliere frastagliate e spiaggette solitarie, borghi di pescatori color pastello e case incastrate tra la roccia, monasteri medievali e terrazze.
Positano è rimasta intatta: un imbuto a strapiombo sul mare che affastella disordinatamente gli archi delle case moresche, il verde della bouganvillea, le tortuose e ripide scalinatelle in un labirinto inestricabile, il profumo di mare e infinito.
Si fanno più viaggi girando per i viottoli di Amalfi che visitando intere nazioni…
Qui dove il mare luccica
E tira forte il vento
Su una vecchia terrazza
Davanti al Golfo di Surriento.
(Lucio Dalla)
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
I Tumpi di Bobbio Pellice. Montagna o mare? C’è un posto dove ci si può rifugiare – almeno per una giornata o un weekend – a pochi passi da Torino, in cui ci sono delle “piscine” naturali dove fare il bagno: gratuite, senza cloro e un’alternativa al mare. Le vacanze sono ancora lontane, ma il caldo e l’afa non danno tregua? Allora, questa potrebbe essere la soluzione ideale per trovare un po’ di refrigerio e di relax nelle calde giornate dell’estate nel capoluogo piemontese.
Si chiamano Tumpi, o Toumpi, e sono una specie di piscine naturali, che si innestano tra le valli, dove cercare un po’ di refrigerio quando fa molto caldo. Dove si trovano esattamente? Nel comune di Bobbio Pellice, poco distante da Pinerolo, che si trova a 732 metri di altitudine slm, allo sbocco delle valli Carbonieri, Giulian Cruello e Subiasco. Poco più di un’ora di auto da Torino, sono da sempre meta di numerosi visitatori che si recano proprio lì per fuggire alle alte temperature della città o passare qualche ora in riva all’acqua. La dimensione familiare che si respira, qui, è quella delle compagnie di amici, coppie, famiglie che prendono il sole, fanno il bagno, si tuffano dalle rocce, chiacchierano o giocano insieme.
Il piccolo comune di Bobbio Pellice, con i suoi 568 abitanti (nel 2017 secondo l’Istat), è anch’esso meta di turisti e visitatori domenicali che apprezzano non solo il territorio, terra di pastori, ma anche i prodotti tipici locali: come burro, formaggi e così via. Qui, poi, si possono trovare molti spunti per qualche escursione, grazie ai diversi sentieri percorribili a piedi, e immergersi in una natura capace, ancora, di stupire. E d’inverno? Sulle piste da sci. Eh si, quello di Prali, in val Germanasca, confinante con Pinerolo, è un comprensorio sciistico con quattro impianti di risalita, le cui due seggiovie funzionano anche in estate per portare i turisti ai 2540 mt. del Bric Rond. Qui, si trova anche un bell’anello di 15 chilometri di pista da fondo che si snoda in un incantevole percorso tra i boschi: un autentico villaggio alpino. Ma, se per il momento, almeno, il problema è il caldo o il desiderio di sopperire alla mancanza del mare, allora la gita ai Tumpi è quella che fa al caso vostro.
I torinesi hanno la fortuna di avere nelle vicinanze le montagne e molti posti dove è possibile non solo trovare un po’ di tregua dal caldo, ma anche fare qualche tuffi. I “tumpi” sono delle pozze profonde formatesi lungo i corsi d’acqua. Nel comune di Bobbio Pellice, il torrente Guichard ne ha formate diverse con la sua acqua fresca dove è possibile rinfrescarsi durante i mesi estivi quando le temperature in città diventano davvero insopportabili. Da giugno a settembre queste pozze d’acqua fresca sono infatti la meta perfetta per le famiglie e i giovani che cercano un po’ di sollievo dal caldo. Inoltre, i tumpi di Bobbio Pellice sono ideali anche per chi ama tuffarsi poiché le rocce che li circondano fungono da perfetti trampolini naturali.
Basterà arrampicarsi sulle rocce circostanti per scoprire dei punti di lancio dove tuffarsi e prendersi così un po’ d’acqua fresca in mezzo alla natura. I meno coraggiosi – o meglio, i più freddolosi – possono comunque godersi il paesaggio naturale ascoltando la melodia del fiume che scorre tra gli alberi. E sulla spiaggetta che circonda i tumpi è possibile organizzare un delizioso un pic-nic in famiglia. In Piemonte è possibile trovare tantissimi posti dove rinfrescarsi in un’acqua pura e cristallina.
I Tumpi o Toumpi di Bobbio Pellice distano da Torino centro circa 75 km. Ci si arriva in circa un’ora e un quarto, in base al traffico. Per raggiungerli basta prendere la Tangenziale Sud in direzione Piacenza, uscire a Beinasco e si prende l’A55, l’autostrada per Pinerolo e, successivamente, la SP23 del Colle di Sestriere in direzione Pinerolo. Giunti nei pressi di Pinerolo, si dovrà imboccare la SP589, in direzione San Secondo di Pinerolo. Poi, si procede sulla SP161 o via Val Pellice diretti verso Bricherasio. Proseguite, quindi, sempre sulla SP161 verso Torre Pellice. E poi verso Bobbio Pellice e, di seguito, verso i Tumpi dopo aver preso per Borgata Garnier.
La strada vicinale della Comba Carbonieri, dalla Borgata Perlà è assoggettata al transito a pagamento per tutti gli autoveicoli a partire dal 1 giugno fino al 30 settembre il sabato dalle 9:00 alle 18:00 e la domenica dalle 8:00 alle 16:00 previo rilascio di ricevuta, denominata “Eco Pass”, con obbligo di esposizione sul parabrezza del veicolo in modo visibile dall’esterno. Ad un certo punto, però, bisognerà lasciare la macchina e proseguire a piedi alla scoperta di sentieri e stradine sterrate che ti porteranno nel cuore del paradiso alpino.
Il fascino di questo piccolo comune nella città metropolitana di Torino non si esaurisce ai soli tumpi. Diversi sono i sentieri che si possono percorrere come le risalite impegnative verso il Subiasco con le sue rocce “verdi”; la strada asfaltata per percorrere il vallone dei Carbonieri per raggiungere il pianoro Barbara dove fare lunghe camminate circondati dalla natura o risalire la strada sterrata all’interno dell’Oasi del Barant. Ancora, seguire a ritroso il corso del torrente Pellice lungo la strada provinciale per arrivare alla Conca del Pra, di origine glaciale circondata dalle imponenti montagne, i verdi prati e gli animali al pascolo.
La natura, qui, può allestire spettacoli straordinari. Il palcoscenico è immenso, le luci strabilianti, le comparse infinite.
Camminare per me significa entrare nella natura. Ed è per questo che, alle volte, cammino lentamente, non corro. La Natura per me non è un campo da ginnastica. Io vado per vedere, per sentire, con tutti i miei sensi. Così il mio spirito entra negli alberi, nel prato, nelle montagne, nei fiori, nel mare e…nell’acqua gelida delle “piscine” naturali…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Giethoorn è soprannominata la ‘Venezia del nord’, nonché la ‘Venezia verde’, complice la sua ricca e rigogliosa natura che riveste gran parte del territorio cittadino e, ovviamente per i suoi caratteristici di canali. Nel nord dei Paesi Bassi, a circa 120 chilometri da Amsterdam, c’è un piccolo villaggio che sembra uscito da una fiaba: il suo nome è Giethoorn, un posto abitato da poco più di 2.500 persone che vivono in idilliche villette circondate dai fiori e da tanti canali. Giethoorn, situato all’interno del parco nazionale Weerribben-Wieden, la più estesa palude torbosa dell’Europa nord-occidentale, è un villaggio incantato della provincia dell’Overijssel.
Insomma, stiamo parlando di una piccola cittadina dove l’unico obbligo è quello di dimenticarvi l’automobile perché qui ci si può spostare quasi esclusivamente in barca o in bici. Dunque, scopriamolo insieme!
A Giethoorn, potete farvi un’idea precisa di come gli Olandesi gradiscano vivere con e sull’acqua. Immerso in un ambiente ricco di laghetti, canneti e boschi, sorge questo incantevole villaggio con le sue splendide fattorie dai tetti ricoperti di canne su piccoli isolotti di terreno torboso collegati tra loro da oltre 170 caratteristici ponticelli di legno.
Il romantico villaggio di Giethoorn è sorto come insediamento degli estrattori di torba, il combustile fossile con basso potere calorifico. Tale attività causò la formazione di stagni e laghi nell’ambiente circostante e la gente iniziò a costruire le case sugli isolotti tra un bacino e l’altro. Questi erano raggiungibili solo mediante ponticelli o con le tipiche barche di Giethoorn chiamate ‘punter’, strette imbarcazioni che vengono condotte dal ‘punteraar’ con l’ausilio di un lungo bastone di legno.
Giethoorn, oggi, è rimasta pressoché lo stesso. I ponti di legno sono ancora al loro posto ed è possibile navigare tra i canali con un ‘punter’, ma anche con una barca silenziosa o partecipando a un tour in battello. Durante il percorso in barca, della durata di una o due ore, si possono ammirare le magnifiche fattorie del XVIII e XIX secolo dall’acqua, passando sotto i ponticelli di legno.
Il parco Weerribben-Wieden è un ambiente ricco di cultura formatosi a partire dal XIV secolo frutto dell’attività di estrazione della torba, ricco di laghi, stagni e canali che si alternano a torbiere, canneti e boschi magnifici. La torba essiccata era un ottimo combustibile che veniva estratta da apposite buche, chiamate ‘weren’. Successivamente, poi, veniva stesa ad essiccare su lunghe strisce di terra che formavano delle coste sul terreno, le cosiddette ‘ribben’. Così, diciamo, è nato questo paesaggio straordinario.
Una città senza strade? Esiste in Olanda. Giethoorn è un posto in cui potete spostarvi unicamente con piccole barche o attraverso l’utilizzo delle classiche biciclette lungo le piste che costeggiano i canali. Questi ultimi di sviluppano in una rete lunga più di 6 chilometri solcati da oltre 50 ponticelli. Non è un caso, dunque, che tra le principali attrazioni che Giethoorn offre ai numerosi visitarori che la affollano gran parte dell’anno, vi siano i giri tra i canali. Uno scenario naturale e particolare, unico nel suo genere, che fa di Giethoorn un posto pittoresco e molto apprezzato dai turisti che fin qui arrivano per sfuggire alla mondanità e al caos della città.
Come a Venezia ci sono le classiche gondole, anche Giethoorn può vantare la sua imbarcazione tipica, per scoprire la bellezza di questa località olandese, comodamente seduti, pur a contatto con la natura: un vero patrimonio naturale e culturale dell’Olanda.
Con il passare dei tempi però, affianco al punter, una barca lungiforme adatta soprattutto nei passaggi tra i canali più stretti, è facile imbattersi nelle whisper boats, imbarcazioni moderne più grandi il cui nome deriva dal fatto che non emettono alcun suono perché il loro funzionamento è garantito dall’energia elettrica. Esperienza imperdibile, dunque, il giro dei canali (noleggio barca da €6,10).
Ogni anno, ad agosto, si tiene il Gondelvaart Festival, una competizione fra gondolieri che coinvolge tutto il villaggio e attira migliaia di turisti e curiosi. Immerso in un’atmosfera magica e fuori dal tempo, il borgo sembra costruito dagli Hobbit.
Posto ideale per trascorrere una bellissima gita in giornata o, addirittura, una settimana di vacanza e relax, Giethoorn è facilmente raggiungibile da Amsterdam attraverso:
Il clima è oceanico: piove tutti i mesi dell’anno. La temperatura media annuale in Giethoorn è di 14° (media più alta di 22° in luglio e la più bassa di 5° in gennaio). In un anno cadono 368 mm di pioggia. tasso di umidità media dell’82%. Il periodo migliore per andare va da maggio a settembre, quando c’è una temperatura mite e piacevole e le precipitazioni sono scarse.
Il modo più semplice ed economico per visitare la località è soggiornando ad Amsterdam e prenotando una visita organizzata giornaliera. Tuttavia, i pochi hotel presenti nella zona sono molto piccoli (media €75,00 a notte in bassa stagione), mentre sono molto più numerose le case vacanza, che generalmente offrono buon rapporto qualità/prezzo.
E mangiare? Giethoorn vanta un’ottima reputazione gastronomica. Offre, infatti, diversi ristoranti eccellenti dove mangiare. Il locale più prestigioso è il Lindenhof che vanta due stelle Michelin (menù degustazione €100,00), ma ovviamente si trovano soluzioni di livello più abbordabile. Per risparmiare e assaggiare tipicità località, magari per un pranzo frugale, vanno benissimo le bitterballen, polpettine di carne fritta da assaporare con la senape, le ottime frites e, per i palati più coraggiosi, la tradizionale aringa cruda.
Giethoorn. L’acqua dei canali che ti segue dovunque, lo scampanellio delle biciclette, l’odore di proibito e la sensazione di trovare, intorno a te, qualcosa che ti completa.
Giethoorn, così come Amsterdam stessa, è così. Città assolutamente fuori dagli schemi. Decisamente diverse da come te le puoi aspettare. O almeno, decisamente diverse da come io, personalmente, me l’aspettavo.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il Salento è conosciuto ormai in tutto il mondo. E non solo per le splendide spiagge di sabbia bianca. California d’Italia? Maldive del Salento? C’è chi la ribattezza così (turisti) e chi si ribella (pugliesi) all’accostamento d’Oltreoceano e rivendica la bellezza unica di questa tavolozza di colori sul mediterraneo che è la Puglia. Spiagge da sogno, accese dai bianchi delle pietre, dai gialli della campagna e dai toni del blu tra cielo e del Mediterraneo.
Il Salento, terra baciata dal sole, è una penisola da esplorare on the road, fino al punto dove due mari si incontrano. Distese di spiagge caraibiche, dune e vegetazione, scogliere e rocce: la bellezza della costa salentina sta proprio nel suo lato selvaggio, incontaminato ed ancestrale. Percorrendo la litoranea ci si sente sospesi sul mare, tra rocce vertiginose, grappoli di case, alberghi nascosti tra le rocce e sfumature cobalto del mare.
Però, va detto, trovare spiagge non frequentate ed isolate in Salento è quasi impossibile, soprattutto nel mese di agosto, ma ci sono delle baie e delle zone meno affollate di altre che vi suggerisco di scoprire.
Torre Uluzzo
Nel territorio di Nardò, nel Leccese, la baia di Torre Uluzzo è una bellissima spiaggia selvaggia, primordiale, dominata dalla torre da cui prende il nome. Il periodo più bello per raggiungerla è sicuramente in primavera, quando il fiore che dà il nome alla baia e alla torre, l’asfodelo, fiorisce e colora di bianco tutta la baia intorno. E’ una baia rocciosa che offre spazi isolati, piattaforme per prendere il sole, rocce levigate e anfratti scenici che degradano verso il mare turchese. Torre Uluzzo si trova nel Parco naturale regionale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano. Da qui, si snoda un bellissimo sentiero che arriva fino a Porto Selvaggio.
Torre Squillace è una tranquilla spiaggia caratterizzata dall’omonima torre di avvistamento cinquecentesca, una delle più belle torri di osservazione che la costa salentina possa offrire ai visitatori. È caratterizzata da una distesa di sabbia bianca e mare cristallino. La spiaggia, situata a sud di Porto Cesareo, nei pressi della Penisola della Strea, è un luogo molto intimo: sono in pochi a conoscere questa spiaggetta.
A ridosso del comune di San Foca, a Vernole, in provincia di Lecce, la spiaggia delle Cesine fa parte dell’oasi delle Cesine protetta dal WWF. Un suggestivo lido sabbioso con mare turchese raggiungibile a piedi, attraversando quasi tutta la spettacolare Riserva Naturale in cui è situata che comprende anche due stagni: Pantano Grande e Salapi, che si trovano a ridosso della spiaggia.
A circa 15 km da Gallipoli, la marina di torre Suda si trova sul versante del mar Ionio nel comune di Racale, adiacente al litorale di Mancaversa. La spiaggia, tranquilla e poco affollata, è caratterizzata da scogli bassi, piatti e di agile accesso. Nelle sue acque limpide e cristalline, si pratica la pesca con la canna perché i fondali sono particolarmente pescosi e ricchi di pesce. Le immersioni subacquee, invece, attraggono gli amanti della flora e della fauna marina che qui, a Mancaversa, sono tra i più belli della Puglia.
Lungo la strada litoranea che da Torre Vado conduce a Santa Maria di Leuca, si trova la piccola ed incantevole Baia di San Gregorio, appartenente al comune di Patù insieme a Felloniche.
La costa qui è prevalentemente rocciosa e digrada verso il mare diventando bassa nel punto in cui anticamente sorgeva il porto di età messapica. Lungo il costone che scende verso il mare, e nuotando nei fondali, si possono scorgere ancora i lastroni di quello che un tempo fu il porto dell’antica città di Veretu. Fa da cornice una natura incontaminata e selvaggia che contrasta con l’azzurro del mare. Questo tratto di costa poco affollata è il posto perfetto che chi ama il mare in (quasi) assoluta solitudine. Da qui, ci si può spostare per raggiungere, direttamente ed in pochi minuti, le spiagge più frequentate di Pescoluse.
A Castro, lungo la costa orientale del Salento che va da Otranto a Santa Maria di Leuca, Cala dell’Acquaviva è un piccolo fiordo di roccia ed acqua, lungo poco più di dieci metri e circondato da fitta vegetazione, ma che riporta alla mente i fiordi e le insenature delle coste norvegesi. Il colore smeraldo dell’acqua, la macchia mediterranea e la roccia viva creano un’esplosione di colori che vi lascerà senza fiato. I fondali sono bassi e l’acqua è fresca per via delle correnti che caratterizzano questa baia. Questa incantevole e stretta insenatura è custodita come uno scrigno segreto dalla ripida scogliera, che consente, grazie ai massi livellati e smussati delle onde, di distendersi ed approfittare dei raggi del sole estivo. Un bagno rigenerante in acque color cobalto in alcuni punti, verde in altri e cristallino a riva, assieme al canto delle cicale.
È una delle calette più incredibili del Salento che troverete a pochi chilometri da Otranto. La baia è incastonata tra Punta Faci ed il promontorio di Capo d’Otranto. Un caleidoscopio di colori, che variano dal blu del mare cristallino, che lambisce le coste, al rosso del terreno arricchito di bauxite, fino al verde della pineta, che sfuma poi nelle tipiche tonalità della macchia mediterranea. Le coste di Baia dell’Otre sono formate da scogliere basse intervallate da tratti di spiaggia, ma la ricchezza del litorale è data anche dalle numerose grotte, superficiali e subacquee. In questo tratto di costa, il mare è sempre molto calmo e questo accresce il fascino del luogo.
Lido Marini si estende ai piedi di una delle “Serre” del capo di Leuca insieme alle località turistiche di Torre Mozza, Torre Pali, Torre Vado, Torre San Giovanni, che è la principale marina di Ugento. Qui, troverete un ampio litorale di sabbia dorata circondato da macchia mediterranea. Indicata per chi vuole godere il mare con bambini e giocattoli al seguito. Ma a farne davvero un tratto di mare perfetto per le famiglie, è la condizione dell’acqua, che di solito beneficia di qualche grado in più rispetto al versante adriatico. In questo tratto di costa, poi, il fondale è molto basso molto e ideale per chi ama la pesca subacquea o per escursioni nel Mar Jonio del Salento.
A ridosso dell’omonima torre, nella Marina di Manduria, a circa 200 metri dal mare e a un’altitudine di 14 metri, la spiaggia di Torre Borraco è una bellissima distesa di sabbia bianca che degrada verso acque turchesi e, al cui interno, sfocia il fiume Borraco. Si trova poco fuori San Pietro in Bevagna, in direzione di Taranto, ed è una meraviglia da scoprire. Il fiume aprendosi in mare, sfocia nel fondale sabbioso, e viene trascinato a seconda delle direzioni del vento caratterizzando queste acque a tratti fredde e calde. Qui i bambini si possono divertire tranquillamente e godersi questi limpidi fondali bassi.
Nel tratto di costa tra Campomarino e San Pietro in Bevagna, c’è un angolo di paradiso che dovete assolutamente conoscere. Si chiama Monaco Mirante ed è un tratto di costa caratterizzato da sabbia bianca, scogliere basse e dune meravigliose alte fino a 12 metri e ricoperte da macchia mediterranea. Tra tutte le spiagge belle del Salento, quella di Monaco Mirante è la più suggestiva perché unica nel suo genere e di rara bellezza paesaggistica. E’ una spiaggia che conoscono in pochissimi, una di quelle spiagge segrete da rapire il cuore. Un motivo per fare una visita alla spiaggia sono proprio le sue dune. Non è facile vederne di così alte e rigogliose.
Il Salento non è mai scontato riesce a offrire mete di mare mozzafiato, a pochi passi da meravigliose città d’arte, a partire dal capoluogo Lecce, tra tappe gastronomiche, sagre e luoghi storici. Qui, il Medioevo si colora d’Oriente e antiche filastrocche in “griko” risuonano nella Grecìa Salentina, come a Melpignano, dove antichi ritmi diventano musica contemporanea nella Notte della Taranta. Una terra magica e seducente in cui misteriosi dolmen e menhir, monumenti megalitici preistorici, indicano il cammino, nascosti tra gli ulivi e i muretti a secco nelle campagne dove sorgono antiche masserie oggi trasformate in affascinanti strutture ricettive.
Nei borghi si svelano le botteghe artigiane di cartapesta e pietra leccese e sulla tavola si possono gustare tutti i sapori del Salento, da accompagnare con ottimo vino locale: la “tria”, pasta fatta in casa preparata con i ceci, saporite verdure selvatiche e dolci prelibati come il “pasticciotto” dal cuore di crema e lo “spumone”, ottimo gelato artigianale.
Dimenticatevi le spiagge, perché ora vi propongo un itinerario romantico “in pillole”, in auto o in bici, per i più sportivi, di una settimana…
Uno dei luoghi più suggestivi della Puglia è la Valle d’Itria, dove non dovete perdere, per nulla al mondo, una sosta nei celebri vigneti di Locorotondo per un pausa gastronomica, con degustazione dei noti vini locali. La meta perfetta dove fermarsi è Ostuni, la ‘città bianca’, che offre un’incantevole vista sul mare, alla scoperta del suo territorio e dei tesori naturali e culturali. Quando si dice Ostuni si pensa subito al borgo antico. E’, forse, la città più bella della provincia di Brindisi, ha un centro storico famoso in tutto il mondo per quel magico colpo d’occhio di una città tutta bianca appollaiata su una collina, a dominare dall’alto la piana degli ulivi della Valle d’Itria.
Di un bianco accecante è il colore delle case di questo antico borgo della Murgia. Un intrico di viuzze anguste e tortuose, che ricorda una casbah, con i suoi vicoli a gradini e gli archivolti, in un susseguirsi di corti e piazzette.
Ulivi secolari, aziende vinicole e frutticole costeggiano la pista ciclabile fino ad Avetrana, l’antica cittadina, che fino al XIX Secolo era conosciuto come Vetrana, luogo di sosta lungo la Via Appia, una delle principali arterie di comunicazione dell’Impero Romano, che collegava Roma a Brindisi. Non resterete delusi in quanto le opere architettoniche presenti su questo territorio, nonostante l’usura dovuta al corso del tempo, sono tuttora significative: dal Torrione alla Chiesa Madre, dal Palazzo Baronale al Castello e Casale Medievale di Modunato oltre alle zone archeologiche.
Si parte da Avetrana e si raggiunge la costa ionica. Dopo la Torre Colimena, si raggiunge Porto Cesareo. Dopo una breve deviazione nell’entroterra, si prosegue lungo la costa verso Gallipoli. Il nome di questa cittadina, famosa meta estiva molto amata dai giovani, viene dal greco Kale Polis (‘città bella’), un nome più che meritato. Gallipoli, infatti, si trova alla fine di quella che sembra essere una penisola inespugnabile e rocciosa, che si distende verso il mare. Una città che, vista dal mare, mette in mostra il suo lato più esotico, con le tradizionali casette bianche che ricordano i paesini delle Cicladi.
Il borgo antico, arroccato su di un’isola, è collegato alla terraferma tramite un ponte ad archi, mentre le mura, i bastioni e le torri che proteggevano la città dagli invasori, oggi la riparano dalle mareggiate e le donano un fascino unico. Questa cittadina offre molto ai turisti, chiese e musei da visitare e deliziosi vicoli per passeggiare. Anche il porto è un luogo dove sostare per assaporare l’autenticità della città, soprattutto quando i pescatori sono al lavoro.
Un’autentica perla dolcemente adagiata tra Punta Meliso e Punta Ristola, i due promontori dal panorama mozzafiato che abbracciano il lungomare, il Santuario e più di duemila anni di storia. Situata nel sud più a sud del Salento e, al tempo stesso, lo spartiacque fra Mar Ionio e Mare Adriatico: Santa Maria di Leuca. La città è nota per la sua chiesa e per i pellegrinaggi che vi si compiono, ma anche per le tante ville sontuose dalle architetture bizzarre e inusuali, volute da eccentrici proprietari amanti del mare. A passo di trekking, andate alla scoperta di chiese paleocristiane e frantoi ipogei e non perdete lo spettacolo naturale delle grotte marine di Santa Maria di Leuca.
La città messapica di Otranto si trova sul litorale adriatico della penisola salentina, incastonata in un paesaggio incantevole, domina il mare dalla roccia su cui è adagiata e può essere indicativamente divisa in due parti. La prima, che ospita il borgo vecchio, è protetta dalle mura aragonesi, è totalmente pedonale ed è attraversata da stradine e vicoli che vi fanno rivivere le atmosfere d’altri tempi di questa meravigliosa località. La zona vecchia della città è circondata da un muro possente ed è dominata dall’imponente Castello Asburgo.
Sulla strada per Otranto, si ha la possibilità di visitare la famosa grotta Zinzulusa. Un’altra sosta consigliata è a Santa Cesarea Terme, nota per le sue cure idroterapeutiche e per la fangoterapia radioattiva.
Si prosegue lungo la costa, attraverso innumerevoli coltivazioni di ulivi fino a Lecce, ultima tappa del viaggio. Una passeggiata a Lecce è un viaggio nel barocco, tra chiese e palazzi ricamati nella pietra, cortili, giardini segreti e la sorpresa di un anfiteatro romano nel cuore della città. Capitale del barocco pugliese e una delle città d’arte più suggestive d’Italia. Lecce ha una storia antichissima che, attraverso i secoli, ha visto susseguirsi i Messapi, i Romani, i Bizantini e infine i Normanni. Da visitare l’anfiteatro e il teatro d’epoca romana, entrambi costruiti sotto l’imperatore Augusto. Lecce è detta anche la “Firenze del Sud” e merita assolutamente una tappa. Il tenore Tito Schipa, nel Novecento, decantava Lecce come il paradiso in terra.
La Puglia è continua scoperta, stupore, respiro, tra mare, promontori, ulivi, trulli, masserie, chiese, castelli, vicoli, muretti a secco, terre selvagge, orizzonti illimitati e tramonti indimenticabili. Da queste parti hanno un Bianco così intenso – il cosiddetto “Bianco Puglia”.
Il Salento non lo puoi spiegare. Il Salento lo devi vivere, perché ti entra nell’anima, ti avvolge e non ti lascia più…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
San Martino di Licciorno e… i luoghi magici del cuore. C’è un posto in Liguria dove il cuore batte forte, dove si rimane senza fiato grazie all’impatto emozionale del contorno naturale: è la Chiesa di San Martino del Licciorno. Ma, ai piedi delle Rocche di Borzone, le sorprese sono molte. Un itinerario magico tra cascate, sorgenti sanguigne taumaturgiche, ruderi misteriosi come rovine Maya, volti scolpiti nella pietra.
Siamo nel cuore della Valle Stura, una vallata dell’Appennino ligure, attraversata dal torrente omonimo, che nasce presso i Piani di Praglia e confluisce nell’Orba all’altezza di Ovada.
Oggi vi porto in Val Penna, all’interno del Parco dell’Aveto a pochi chilometri da Lavagna. Usciti al casello di Lavagna dell’autostrada A12 Genova –Livorno, si prosegue in direzione Carasco per poi imboccare la provinciale che porta in direzione di Borzonasca. Dopo circa 10 km, appena entrati nel paese, si prende l’incrocio sulla destra per Prato Sopralacroce (provinciale n°49) e, quindi, si prosegue per altri 9 km.
Si arriva, facilmente a Prato Sopralacroce, il paese delle meraviglie, attraverso, però, una strada dalle numerose curve. Arrivati nella piazza (riconoscibile per un monumento di tubi Rossi e l’osteria ), si prosegue per 2,5 km lungo la strada provinciale.
Lungo il sentiero che collega le frazioni di Vallepiana e Zolezzi, in prossimità della confluenza tra i torrenti Penna e Borzone, si incontrano i ruderi della chiesa medievale di San Martino di Licciorno, toponimo che sembra richiamare la presenza di boschi di lecci, mangiati dal tempo e dalla vegetazione. Brillano sulla cima piccole tegole di ardesia. Al di sotto, si svelano, appunto, i ruderi della chiesa, immersi nel bosco e che ci porta in un luogo da favola avvolto nel mistero.
Misteriosa e affascinante anche la storia della chiesa. Eretta dai monaci Benedettini dell’Abbazia di Borzone durante l’anno 1000, i ruderi della chiesa di San Martino di Licciorno sono un luogo unico e ricco di fascino nell’entroterra ligure. La muratura superstite sembra appartenere al XVII – XVIII secolo, ma la planimetria potrebbe essere medievale, anche IV secolo. Pare che un tempo ci fosse un nucleo abitato nei pressi, poi scomparso. San Martino fu abbandonata a metà dell’’800. Qui, passava la via del sale e la chiesa, probabilmente, fu costruita per offrire ospitalità a viandanti e pellegrini.
L’elemento di maggior spicco è il campanile, che svetta tra la vegetazione a sormontare i resti dell’abside e delle mura perimetrali, come un fantasma del passato, immobile e silenzioso. La tradizione popolare ricorda San Martino come la più antica parrocchia della valle, in seguito sostituita dalla chiesa di Santa Maria Assunta di Prato, alla quale risulta storicamente annessa almeno dal 1498. L’unico arredo superstite di San Martino di Licciorno, e qui conservato, è un dipinto che rappresenta i santi Lorenzo, Martino, Rocco, Sebastiano, Antonio Abate che intercedono presso la Vergine e la Santissima Trinità.
La chiesa nel bosco, risalente al 1298, aggrovigliata dagli alberi, avvolta dal mistero, non è l’unico luogo ad essere carico di energia: c’è anche la misteriosa Abbazia di Sant’Andrea di Borzone, dove sembra quasi di udire l’eco dei canti gregoriani, nel comune di Borzonasca, a 355 metri s.l.m. Il complesso religioso dall’eccezionale valore storico, riferibile al periodo romanico e tardo-romanico, è probabile che sia nato per opera dei monaci di Bobbio, preceduti nella loro missione evangelizzatrice dai fratelli di San Colombano. Prima di seguire la pista che porta a Zolezzi, borgo del XVI – XVII secolo, si abbraccia l’unico cipresso ultracentenario sopravvissuto, silenzioso testimone di secoli di storia insieme alla vicina abbazia. Un luogo solitario e suggestivo.
Proseguendo la passeggiata, attraverserete, sempre al fresco e all’ombra, il bosco, scendendo prima e risalendo poi verso la piccola frazione di Zolezzi.
Da qui, si trovano, via via, in successione, diversi ciliegi che, in stagione, vi attireranno col loro prezioso carico di frutti che propendono su una strada pubblica…
Proseguite lungo la strada asfaltata, che è completamente pianeggiante, per circa 1 chilometro. Anche in questo tratto sono presenti alberi da frutto mentre a bordo strada, faranno capolino, qua e là, e in stagione, anche le succose fragoline di bosco che possono essere tranquillamente raccolte.
Poco distante, presso il borgo di Zolezzi, in località Rocche di Borzone, e sotto la rupe, c’è un’enigmatica scultura si trova il famoso volto rupestre di Gesù Cristo, una delle sculture megalitiche più grandi d’Europa.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il Castello della Pietra e il Sentiero dei Castellani. Sulla provinciale che s’incunea nella gola scavata dal torrente Vobbia, all’interno del Parco dell’Antola si può scorgere un capolavoro di architettura castellana ligure: il Castello della Pietra.
Il millenario Castello della Pietra è un gioiello dell’entroterra genovese, non lontano dalla città, situato in una pittoresca e scenografica posizione elevata, mirabilmente incastonato tra due speroni di conglomerato roccioso che ne costituiscono i bastioni naturali. La struttura si nota dalla strada che costeggia il torrente Vobbia, risalendone il corso da Isola del Cantone. Un buon punto di riferimento per fare il percorso ad anello Torre (Vobbia) – Sentiero dei Castellani – Castello della Pietra, – Strada Provinciale per Vobbia – Torre (Vobbia).
Come arrivare al Castello della Pietra? Occorre uscire al casello di Isola del Cantone dell’autostrada A7 Genova – Serravalle. Seguire le indicazioni per Vobbia. Dopo qualche chilometro, a sinistra, troverete chiare le indicazioni del punto di partenza del sentiero e un piccolo posteggio. Si può percorrere il sentiero breve, che parte dalla provinciale tra Vobbia e Isola del Cantone e dura circa 20 minuti. Un altro modo per arrivare al castello è quello di raggiungere Vobbia, e in particolare la località Torre (attraverso una strada in salita che si apra alla vostra sinistra, poco prima dell’ingresso in paese) e, da lì, imboccare il Sentiero dei Castellani. In circa un’ora e trenta di cammino (massimo due), raggiungerete il Castello.
Il sentiero è piuttosto lungo (circa 1 ora e 30 di cammino e 4 km di lunghezza), ma non particolarmente difficoltoso e molto panoramico in alcuni tratti. Per chi proviene da Genova, il sentiero si raggiunge percorrendo l’autostrada A7 Genova-Milano, uscire a Busalla, poi imboccare la strada provinciale 9 per Crocefieschi. La provinciale che giunge a Vobbia segue uno spettacolare canyon; superato il ponte sul torrente Vallenzona, si raggiunge in breve località Torre. In treno, dalla stazione ferroviaria di Busalla, coincidenza con il servizio extraurbano per Vobbia.
E’ un antico percorso medievale all’interno del cosiddetto “Conglomerato di Vobbia” nel quale sono ricostruite, passo dopo passo, la storia e le tradizionali pratiche della gente della valle. Il sentiero si snoda, infatti, lungo il canyon del torrente Vobbia, fra i calcari del Monte Antola e il conglomerato oligocenico, fra le antiche testimonianze della produzione del carbone da legna e l’utilizzo del castagno. L’ascesa non è particolarmente lunga, ma è piuttosto ripida. Se fatta in autunno, l’occasione può anche essere buona per una copiosa raccolta di castagne nei boschi della zona (la raccolta funghi, invece, è regolamentata). Molto bello il tratto finale, su passerelle in legno e metallo letteralmente “appese” all’enorme torrione roccioso che fa da supporto all’ardito castello.
Si può, poi, discendere attraverso il sentiero che porta sulla provinciale e, percorrendo circa 2,5 km sulla strada asfaltata, tornare a località Torre, completando così l’anello.
Il sentiero prevede 10 punti che parlano delle tradizione e delle peculiarità del luogo:
1. Il Poggetto su cui con ogni probabilità sorgeva una torre di avvistamento al servizio del castello;
2. La forra – profonda gola con affioramenti di argilloscisti – e flora rupestre;
3. La civiltà della castagna: ruderi di un secchereccio;
4. La produzione del carbone di legna: “piazzola da carbone”;
5. Panorama sul canyon della Val Vobbia (da non perdere);
6. Calcari del monte Antola e conglomerati di Savignone;
7. Il bosco;
8. Belvedere sul castello;
9. La zona umida;
10. Area di sosta attrezzata. (utile per una sosta o per un picnic nel verde)
Il Castello della Pietra, gioiello del Parco dell’Antola, è un esempio davvero unico di architettura medievale in cui l’elemento naturale si fonde magistralmente all’opera dell’uomo e lo completa. Anche se le mura si trovano strette tra due grandi torrioni di puddinga, l’appellativo dell’architettura difensiva medioevale deriva dal nome della famiglia della Pietra, che ne fu proprietaria fino al 1518, anno in cui il maniero passò agli Adorno fino ad essere abbandonato a seguito del trattato di Campoformio (1797) che sanciva la fine dell’epoca feudale. L’imprendibile roccaforte rappresenta il più originale dei manieri che durante l’epoca dei feudi imperiali dominavano le valli risalenti verso il Monte Antola.
Il castello, dal 1993, è visitabile negli ambienti interni grazie a interventi di recupero: cisterne, segrete, camini, scale, posti di guardia, camminamenti di ronda e l’ampia sala centrale che occasionalmente diventa protagonista di rappresentazioni teatrali, concerti, sagre e mostre. Nel 2014, si sono svolti lavori straordinari lungo il Sentiero dei Castellani e alla struttura con la temporanea chiusura del sito al pubblico. Questo castello nel parco dell’Antola si articola in due corpi impostati a quote differenti. Caratteristica è la cisterna scavata nella roccia ai piedi del torrione (sperone roccioso naturale) ovest, in cui erano convogliate le acque piovane dei tetti, anche per mezzo di canali di raccolta scavati nella roccia, ancora in parte visibili. La cisterna è accanto al salone centrale sotto il cui pavimento è presente una seconda cisterna.
Una bella notizia per gli amanti del trekking. A partire dal 15 maggio 2021 ha riaperto i battenti il Castello della Pietra di Vobbia, millenaria roccaforte che domina la valle, nel Parco Naturale Regionale dell’Antola. E’ nuovamente visitabile nelle giornate di sabato e domenica e nei festivi fino al 1 novembre 2021, ma vi si può accedere solo su prenotazione e con visite guidate alle ore 10:30 – 12 – 13:30 – 15 e 16:30 (con prenotazione obbligatoria entro le ore 12:30 del venerdì precedente la data prescelta). L’accesso è consentito previo pagamento anticipato dei biglietti d’ingresso e ad un massimo di 12 persone per turno di visita (qui il regolamento per accedere al Castello della Pietra). La prenotazione va effettuata contattando telefonicamente l’Ente Parco dell‘Antola al numero 010 944175 dal lunedì al venerdì dalle ore 8.30 alle 12:30.
Nei giorni festivi dei mesi estivi, è possibile visitare il castello con una visita guidata molto interessante, anche per i bambini. La bravissima guida, infatti, vi accompagnerà lungo le stanze del castello, raccontandovi di come si svolgeva la vita all’interno, le battaglie che vi sono state e le leggende della zona, dal famoso ponte di Zan (o ponte del diavolo), a quella del pianoro dirimpetto da dove, nelle notti di luna piena, dal castello si possono vedere le streghe ballare!
Vi ricordate il castello incantato delle fiabe? Questo castello più che incantato, lo definirei “incastrato”, dove storia e natura si incontrano…
Degli antichi castelli mi incuriosisce la vita che hanno visto passare e che in parte trattengono ancora.
Chissà quanti sogni sono rimasti sulle torri…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Antola, è tempo di narcisi al Pian della Cavalla. Un anno bizzarro, nel segno della Covid-19 e con il meteo capriccioso in qualsiasi stagione ma, nonostante le eccezionali nevicate fino a maggio, anche quest’anno sono sbocciati i narcisi (narcissus poeticus) che imbiancano molti prati di alta quota del nostro appennino. Il luogo più celebre e spettacolare per godere della fioritura è nel cuore del Parco dell’Antola – un’area naturale protetta che si trova in Liguria e, precisamente, tra l’entroterra genovese e l’Appennino ligure vero e proprio -, al Pian della Cavalla.
Pian della Cavalla è un altopiano a 1200 m. s.l.m. che si trova tra Fascia e Fontanarossa, poco distante dalla SP 16 che porta fino a Casa del Romano. Più precisamente, si percorre la Statale 45 della Val Trebbia e, nel tratto compreso tra Isola e Gorreto, si prende la strada che varca il fiume in direzione nord e risale seguendo le indicazioni per Fontanarossa. Dalla piazza della chiesa del piccolo paesino si imbocca una stradina in salita che procede in direzione sud. Da qui la vista sul Monte Antola, la montagna dei genovesi, a 1597 m. s.l.m., la più celebre del gruppo omonimo, sulla Val Trebbia e sulle ormai prossime colline del Piacentino, è impagabile.
Giunti al paese di Fascia, ci sono due modi per arrivare a Pian della Cavalla:
Il Sentiero dei Narcisi si trova poco sopra l’abitato di Fascia, all’interno del parco dell‘Antola, a circa 1 ora e mezza di strada da Genova. Il percorso per raggiungere Fascia è abbastanza tortuoso. Il Sentiero dei Narcisi in trenta minuti, e senza particolare dislivello, da Fascia raggiunge Pian della Cavalla.
Il sentiero, una volta giunti sulla piana, è quasi tutto in pianura e facilmente percorribile da tutti: non ci sono buche e ruscelli. Dopo circa mezz’ora di cammino, se è il mese di maggio, vi ritroverete immersi in una distesa di narcisi fioriti che adorna, come un tappeto bianco, tutto l’estendersi dell’altopiano.
E’ severamente vietato reciderli, ma si può goderne, appieno, la bellezza semplicemente fotografandoli. La gita è comunque consigliata anche ad inizio primavera e tarda estate, anche senza la fioritura dei narcisi selvatici.
Il fascino nei confronti del Narciso risale addirittura alla mitologia greca. Il mito di Narciso è sicuramente il più conosciuto. Talmente famoso da diventare una parola di uso comune, a tratti inflazionata, per indicare una specifica caratteristica dell’uomo: l’amore smisurato per se stessi. Il mito di Narciso, infatti, narra la storia di un giovane bellissimo che perde la vita perché si innamora perdutamente del suo riflesso.
Narciso è il figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e di Liriope, una ninfa. La madre era però molto preoccupata perché aveva dato alla luce questo bambino bellissimo. Si recò così dall’oracolo Tiresia, che le consigliò di non fargli mai conoscere se stesso. Il bambino crebbe e divenne un adolescente bellissimo, del quale tutti si innamoravano. Narciso, però, respingeva tutti, forse per orgoglio o per forte personalità.
Ecco che Eco, una ninfa che non poteva parlare per prima perché punita da Giunone, si innamorò follemente di lui. Ella, però, non poteva dichiararsi in quanto con la sua voce poteva soltanto fare eco a quella di Narciso, che la rifiutò bruscamente. La fanciulla così trascorse il resto della sua esistenza a vagare nelle valli, fino a diventare soltanto una voce.
La dea della vendetta, Nemesi, decise di punire il giovane Narciso per il suo rifiuto alla ninfa. Lo condannò così a specchiarsi in un laghetto per bere. Quando lui si calò per bere l’acqua, vide il suo riflesso e se ne innamorò perdutamente. Dopo poco, capì di essere lui stesso il bellissimo ragazzo e realizzò che il suo era un amore impossibile.
Ovidio afferma che Narciso morì consumato dal fuoco di quell’amore irrealizzabile. Altre fonti invece riportano che egli si gettò nel fiume, nell’estremo tentativo di raggiungere l’amore. Quando le ninfe accorsero per seppellire il suo corpo, al suo posto trovarono dei fiori bellissimi. Si trattava di fiori bianchi e gialli, quelli conosciuti oggi come fiori del narciso. Questo termine deriva proprio dalla parola greca narke, che significa stupore (lo stupore di Narciso che vide per la prima volta la propria immagine).
I narcisisti sbocciano nell’amore altrui, senza mai mettere radici.
Ogni fiore che sboccia ci ricorda, però, che il mondo non è ancora stanco dei colori. Ci sono due fiori dentro il fiore. Uno è girato verso di noi, l’altro verso l’infinito…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il canyon della Val Gargassa con un giro ad anello capace di stupire per le sue caratteristiche peculiari. Un sentiero panoramico, dedicato agli aspetti geologici e geomorfologici, per escursionisti esperti, della durata di 4 ore per una lunghezza di 7 km con un dislivello di 180m. Siamo in Liguria, nel Parco naturale del Begua, poco lontano da Rossiglione, dove il torrente Gargassa forma una gola stretta tra curiose conformazioni di conglomerato.
La Val Gargassa si snoda tra sentieri sospesi, torrenti, canyon,dirupi, con una ricca vegetazione con boschi di rovere e pinete. Si possono ammirare paesaggi esposti su rocce, con sorgenti che sgorgano poco sopra il pelo d’acqua, per poi finire su prati dove sorge un villaggio abbandonato, Vereira (420m circa), il cui nome deriva da un’antica vetreria, dove le antiche attività pre-industriali testimoniano il passato sfruttamento di questi luoghi per la produzione, appunto, del vetro.
Dalle case di Vereira, risalendo per la valle per una decina di minuti in prossimità di una radura, si scorge una sorgente di acqua sulfurea che scaturisce dalla roccia a pochi metri dal torrente. Ritornando a valle del nucleo abitativo si riprende il sentiero, che porta lungo un crinale panoramico e alla fine di un castagneto ci si ritrova nuovamente all’inizio del percorso.
La Val Gargassa è una stupenda area, nelle vicinanze dell’abitato di Rossiglione, in provincia di Genova, il più esteso comune della Valle Stura, dove la presenza dei conglomerati Oligocenici della Formazione di Molare si traduce in uno spettacolare ambiente e panorami mozzafiato. In quest’area, all’interno del Parco del Beigua, tali rocce prendono il nome locale di Conglomerati del Rio Gargassa, ma in realtà fanno parte della Formazione di Molare.
Il piccolo torrentello, dalle acque cristalline, ha profondamente inciso queste rocce formando canyon, spettacolari forre e marmitte dei giganti. Le numerose discontinuità strutturali (faglie) hanno accentuato le evidenze dell’erosione, chiamata selettiva in quanto si esplica con modalità ed effetti differenti a seconda dei materiali rocciosi interessati.
Il così detto Muso del Gatto è un buon esempio di tale azione, ma sono anche presenti numerosissime guglie, crepaci e cavità che richiamano, su differente scala, ai famosissimi panorami dei parchi americani.
Il “Sentiero Natura” della Val Gargassa offre angoli di incontaminata bellezza, tra placidi laghetti, canyons e suggestive conformazioni rocciose. In questo angolo del Geoparco le tipiche rocce ofiolitiche, altrove più abbondanti, cedono il passo ai conglomerati, nei quali l’acqua ha scavato forme erosive di grande suggestione. A metà del percorso ad anello i segni dell’antica presenza dell’uomo: il borgo di Vereira, appunto.
Da Rossiglione si percorre la strada provinciale SP per Tiglieto a circa 3 km, oltrepassata la Cappelletta di S. Bernardo, un bivio a sinistra conduce in soli 50 metri al campo sportivo in località Gargassino al fianco del quale vi è un ampio parcheggio e l’inizio del Sentiero Natura (44°33’39″N – 8°39’00″E).
Il Sentiero Natura si snoda ad anello attorno alla valle del Torrente Gargassa ed è marcato con il segnavia XX sino a Case Vereira. All’inizio brevi sali e scendi in un bosco caratterizzato da castagni, querce, noccioli e aceri montani corrono in prossimità del torrente.
Usciti dal bosco, il percorso segue per un tratto la sponda sinistra del Gargassa, tra spettacolari laghetti inseriti in un ambiente roccioso con scarsa vegetazione e pendii acclivi. In queste condizioni ambientali possono crescere e sopravvivere solo poche essenze come pini ed eriche. Le rocce che costituiscono il substrato su cui camminiamo sono le serpentiniti.
1°stop (338 /20′).
Passato il tratto tra le “roccette” aiutandosi con l’apposita catena, il percorso prosegue in piano sino ad una zona caratterizzata da rimboschimenti a pini neri dalla quale si scorgono i primi torrioni rocciosi bruno-nerastri, talvolta rossastri, e le ripide pareti del canyon inciso nei conglomerati. Dopo alcuni limpidi laghetti, accoglienti spiaggette ed erte pareti di roccia, si giunge al…
2° stop (351 /40′)
per godere di un panorama suggestivo ed osservare meglio la formazione rocciosa in conglomerati. Ci accompagnano, lungo il cammino, pareti rocciose verticali in cui è facile distinguere i ciottoli e le stratificazioni tipiche di queste rocce. Le incisioni fluviali con pareti verticali (canyons) scavate nelle dure rocce conglomeratiche diventano sempre più suggestive, ma per godere delle vedute migliori del canyon bisogna proseguire sino al…
3° stop (360 /1h)
In questa zona il torrente scorre ed incide le sue forme tra due ripide pareti molto vicine tra loro, rendendo ancora più suggestivo lo scorrere dell’acqua. Giunti al primo guado, posto sotto un torrione di roccia dall’aspetto particolare che da origine al toponimo “Muso del Gatto”, si passa sulla sponda destra idrografica del Rio Gargassa.
L’attraversamento su grossi massi arrotondati può risultare difficoltoso se non praticato con calzature idonee ed è comunque sconsigliato dopo forti piogge. Dopo un tratto in salita dal quale si scorgono ad ovest scorci sui torrioni della “Rocca dra Crava” e “Rocca Giana“, si ridiscende per giungere nuovamente a guadare il rio Gargassa. Risaliti pochi metri dal guado si apre di fronte a noi un ampio prato con alberi da frutta inselvatichiti e alcuni edifici rurali sulla sinistra: siamo giunti all’antico borgo di
Case Vereira – 4° stop (401 /1h30′) (44°32’33″N – 8°39’22″E)
Dalle case Vereira si può percorrere il sentiero che prosegue verso sud, senza segnavia specifico, ma ben tracciato, e proseguire nel bosco per circa 600 metri per giungere alla
Sorgente sulfurea – 5° stop (401 /2h).
Una zona aperta dove tra rocce affioranti e bassi arbusti, scendendo verso il corso d’acqua si individua la sorgente con tipiche concrezioni attorno e un debole odore di zolfo.
Il percorso del ritorno permette di ammirare scenografici panorami sui canyon sottostanti, riportandoci nuovamente al campo sportivo dopo aver percorso il crinale sinistro della Val Gargassa. Il sentiero è marcato con un segnavia tre bolli gialli disposti a triangolo e si imbocca a nord del prato di Case Vereira.
Un’erta salita conduce in breve in quota dove tra gli scorci lasciati liberi dal bosco si può osservare il “Balcone della Signora”, una frattura verticale originatasi in un bastione di roccia bruno-rossastra attraverso la quale si osserva l’azzurro del cielo. Un tratto di sentiero di pochi metri molto esposto conduce ad una sella
6° stop (510 /3h)
consentendo il godimento di scorci mozzafiato sui canyon e sugli spettacolari torrioni di roccia presenti nell’area, forme decisamente inconsuete nel panorama ligure. Scesi a valle verso Case Camilla, sempre seguendo il segnavia con i tre bolli giallini si osservano i contrasti tra i rilievi della Val Gargassa e le forme montano-collinari delle valli Stura. Superate Case Camilla si giunge al…
7° stop (410 /3h40′)
Un punto in cui si possono trovare molti degli alberi che costituiscono il bosco misto di latifoglie (rovere, roverella, acero, sorbo). Il sentiero scende, quindi, ripidamente per giungere in circa 10 minuti al campo sportivo da cui siamo partiti.
Come scriveva il filosofo Nietzsche “Tutti i più grandi pensieri sono concepiti mentre si cammina”.
Camminare per me significa entrare nella natura. Ed è per questo che, quando posso, cammino lentamente. Quando le mie gambe sono stanche, allora, cammino con il cuore.
Io vado per vedere, per sentire, con tutti i miei sensi. Così il mio spirito entra negli alberi, nel prato, nei fiori, nel mare, in un lago, in collina. Le alte montagne, però, sono per me un sentimento fortissimo…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Anello Camogli – San Fruttuoso – Portofino a piedi. Siamo nel Parco Naturale di Portofino la cui rete sentieristica, oltre ad essere molto varia, è anche ben segnalata. Stretto tra il mare e la montagna, il nostro sentiero si fa strada tra fasce di ulivi, boschetti e rocce a strapiombo sul mare.
Quanti sanno che anche a Camogli ci sono i laghetti? Laghetti e cascate che davvero in poco conoscono, fuori dai percorsi escursionistici, ricchi di specie inaspettate. Sicuri di conoscere tutte le fortificazioni della Batteria Chiappa, anche quelle fuori dalla vista e dai soliti itinerari? E quelle su cui si cammina sopra senza accorgersene? In questa escursione ad anello si può toccare con mano un po’ tutto questo…
Che ne dite di un’altra suggestiva gita nella riviera ligure di Levante, adatta solo ai camminatori più esperti e allenati? Però, non mancano le varianti, decisamente meno impegnative e alla portata di tutti.
Mi piace raggiungere Camogli in treno e, uscendo dalla stazione, teniamo la sinistra fino ad imboccare Via San Bartolomeo dove si trovano subito i cartelli a segnalarci la direzione per l’ingresso al Parco.
Camogli, la “Città dei Mille Bianchi Velieri”. Camogli è la traduzione in italiano del nome della cittadina, dal genovese Camoggi (pronuncia Camúggi). Il nome significa Case ammucchiate (Camoggi = Cà a mûggi,) cioè Case a mucchi); difatti, guardando la città da fuori, possiamo notare come sia caratterizzata da case le une addossate alle altre. Questo piccolo borgo marinaro affacciato sul Golfo Paradiso fa parte del parco naturale regionale di Portofino e sarà il punto di partenza della nostra camminata, di un diverso modo di viaggiare, a piedi.
All’ingresso del centro storico, un’enorme padella accoglie i turisti e ne attira l’attenzione. Viene utilizzata per friggere il pesce in occasione della grande festa che in maggio celebra il patrono dei pescatori, San Fortunato. Vale la pena addentrarsi nel budello e percorrere la passeggiata sul mare, per ammirare le case variopinte, rifornirsi di focaccia e salire fino alla Basilica di Santa Maria Assunta e al Castello della Dragonara, o anche Castel Dragone, la fortezza del centro di Camogli che si arrampica su delle rocce a picco sul mare.
Appena fuori dal centro, proseguendo verso levante e superando un parcheggio, inizia il sentiero che, nel primo tratto, costeggia il Rio Gentile. Ecco che si inizia a salire per una stradina che si snoda tra fasce di ulivi e case isolate; l’ultima scalinata ci porta nella frazione di San Rocco.
Dal piazzale della chiesa, si abbraccia con lo sguardo tutto il litorale del Golfo Paradiso. A destra della chiesa, una fontanella d’acqua ci viene in soccorso per il nostro viaggio “in salita” e…si riparte.
Da San Rocco partono due sentieri per San Fruttuoso. Il primo tratto è riparato dagli alberi e non presenta particolari difficoltà mentre il secondo, che vi propongo, quello a ridosso sul mare, presenta maggiori difficoltà, ma è anche il più panoramico. Il percorso inizia con la strada che, partendo dal sagrato della chiesa di San Rocco, prosegue a sbalzo mare. Dopo qualche minuto, oltrepassata la scalinata che scende a Punta Chiappa, si attraversa località Mortola, un piccolo nucleo di case molto caratteristico.
Allontanandosi dall’abitato il sentiero si inoltra nel bosco e arriva, dopo circa 20 minuti, in località Fornelli, da cui, a sinistra, si può salire a località Pietre Strette. Proseguendo, invece, diritti, dopo un tratto in falso piano seguono alcuni saliscendi su scalini di roccia irregolari, ma facilmente percorribili che, uscendo dalla boscaglia, si affacciano su Punta Chiappa e Camogli. Dopo circa 40′ dalla partenza si arriva alla località Batterie, magnifico belvedere sul golfo, che ospita il Centro Batterie “Silvio Somazzi”, nato per valorizzare i resti dei manufatti bellici, risalenti alla Seconda Guerra Mondiale.
Arrivati a Batterie, incontriamo il primo di una serie di bunker usati dai tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale. Qui, si può fare una deviazione e scendere a Punta Chiappa imboccando un sentiero sulla sinistra che, ben presto, si trasforma in scalinata. La Punta è formata dal tipico conglomerato di Portofino e delimita il Golfo Paradiso. Prende il nome dalla singolare roccia di puddinga che si estende sul mare, chiamata appunto Punta Chiappa che in genovese vuol dire Punta piatta. La Batteria di Punta Chiappa è il complesso difensivo della 202ª Batteria costiera del Regio Esercito, costruito verso la fine degli anni trenta sul versante occidentale della penisola di Portofino concepita come sistema antinave a protezione del levante del golfo di Genova.
Il primo agosto di ogni anno si celebra la Stella Maris, la Madonna protettrice dei navigatori, a cui è dedicato il mosaico sull’altare che si trova all’inizio della punta. La mattina, almeno pre Covid-19, ha luogo una processione via mare e via terra che termina con la benedizione delle imbarcazioni; la sera centinaia di lumini colorati vengono affidati alle onde, in ricordo delle vittime del mare.
Dopo essere risaliti sul sentiero principale, si prosegue sino a Passo del Bacio. Qui il paesaggio cambia: il sentiero attraversa punti molto esposti, rocce a strapiombo sul mare dove è possibile aggrapparsi a delle catene.
Arrivati a Passo del Bacio (il nome deriva da una leggenda secondo cui due giovani innamorati, per non separarsi come avrebbero voluto le famiglie, morirono lanciandosi insieme in questo punto, dopo un ultimo bacio) il percorso si fa un po’ più impegnativo per alcuni punti in cui bisogna passare direttamente sulla roccia a strapiombo sul mare. L’uso delle catene (a volte superfluo) facilita il passaggio, soprattutto in un breve tratto in cui la roccia presenta pochi punti di appoggio per il piede.
A questo punto affrontiamo una salita molto ripida e faticosa con un primo tratto molto soleggiato per inoltrarci poi in mezzo al bosco che ci porta, in circa 40 minuti, in vetta da cui si può godere della vista mozzafiato su Cala dell’Oro e Punta Torretta (accessibile solo con visite guidate). Quindi, si svalica per iniziare la discesa verso San Fruttuoso e, in prossimità dell’Abbazia, il paesaggio sembra addomesticarsi nuovamente.
L’ultima parte del percorso, tutto in discesa, si sviluppa in mezzo ad alberi secolari e termina, dopo 25 minuti, all’imbarcadero di San Fruttuoso di Camogli, proprio di fronte alla spettacolare Abbazia di san Fruttuoso di Camogli, ed ecco apparire le prime case tra la vegetazione. Passando sotto agli archi dietro alla spiaggia, si accede ad una zona più interna. Il paesaggio è stupendo, i suoi colori qualcosa di speciale.
Questo monastero benedettino fu costruito intorno all’anno Mille. Il luogo ha un fascino immortale. Le scogliere a precipizio, tra la terra e i boschi impenetrabili del monte di Portofino e il mare azzurro della Liguria di Levante, sono tutti elementi che rendono l’Abbazia di San Fruttuoso unica.
Le origini risalgono addirittura all’VIII secolo dopo Cristo. Fu un vescovo spagnolo, in fuga dai mori, a scegliere il luogo per fondare una chiesa e intitolarla a San Fruttuoso, che pare gli avesse indicato questa preziosa baia in sogno.
L‘Abbazia di San Fruttuoso, non collegata alla rete stradale, ma raggiungibile solo a piedi o in battello, è proprietà del FAI grazie alla donazione della famiglia Doria. Nel 1984 l’Abbazia fu donata da Frank e Orietta Pogson Doria Pamphilj al FAI, che l’ha ristrutturata e resa visitabile.
Potete consultare gli orari di visita sul sito del FAI. Ci sono proposte particolari per le visite di gruppo e scolastiche e un interessante calendario di eventi, tra cui la stagione concertistica.
Il fatto che ci sia una sorgente d’acqua dolce, ha reso il tutto più agevole. L’abbazia è stata usata anche come covo dei pirati e come borgo di pescatori.
Dopo la sosta all’Abbazia e il meritato riposo sulla spiaggia, è ora di ripartire, attraverso il bosco, ammirando nuovamente i colori, e le loro sfumature, della luce che precede il tramonto. Si riparte con una ripida salita; ogni tanto la vegetazione lascia intravedere bellissimi scorci panoramici. Dopo una serie di tornanti, arriviamo nella località Base 0, che nella Seconda Guerra Mondiale fu utilizzata come postazione militare. Da qui si potrebbe raggiungere Pietre Strette, dove passa il sentiero che attraversa il parco più internamente. Noi proseguiamo invece verso Portofino.
Via via la strada diventa più pianeggiante e si addentra in un boschetto ombroso con la vegetazione tipica della macchia mediterranea. Arrivati a Case di Prato ammiriamo il mare di ulivi della collina di Portofino.
Si continua sino a Vessinaro, dove ignoriamo la deviazione per la splendida Cala degli Inglesi. Un sentiero sterrato e pianeggiante serpeggia per la collina, punteggiandola con la dolce luce dei lampioni. Il crepuscolo avanza e “cammina” con noi. A Capelletta si scende a San Sebastiano e poi a Palara dove, superato un cancello per allontanare gli animali selvatici, inizia una gradinata che ci porterà alla nostra meta.
Arrivati a Portofino, passeggiamo immersi nel silenzio, tipico della stagione autunnale/primaverile, complice la pienezza delle sensazioni assorbite lungo il cammino, appagati da tanta bellezza.
Servirsi dei battelli può essere un’ottima soluzione alternativa per abbreviare il percorso e renderlo adatto a tutta la famiglia. Un esempio: si potrebbe arrivare a san Fruttuoso in battello, camminare sino a Portofino e tornare indietro in treno.
Le linee coprono la tratta Camogli – San Fruttuoso – Portofino. Alcuni siti utili in proposito sono: golfoparadiso.it e traghettiportofino.it.
Molti altri sentieri attraversano il parco i cui percorsi sono ben segnalati. Il sito portofino trek offre moltissimi spunti, descrizioni dettagliate e cartine.
Un altro giro, un altro assaggio della Liguria da scoprire.
Liguria. Il mare nei capelli, l’odore e i colori dell’estate nelle vene, e le bougainville negli occhi.
La Liguria è quel luogo dove il blu del mare si mescola con l’argento degli ulivi, e il tuo sguardo è pieno di stupore e gratitudine.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…