Tempo di…
Tempo nella perdita.
Tempo per recuperare.
Tempo di traguardi.
Tempo di bilancio.
Tempo per ricevere.
Tempo di regali.
Tempo di notizie.
Tempo di uragani.
Tempo di compleanni.
Quanta vita, e morte, scorre nel tempo?
Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più.
Il tempo non va misurato in ore e minuti, ma in trasformazioni. Non a caso, nella teoria della relatività non esiste un unico tempo assoluto, ma ogni singolo individuo ha una propria personale misura del tempo, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo.
Una volta a Stephen Hawking chiesero: “C’è stato un tempo, prima dell’inizio del tempo?” Rispose: “Man mano che andiamo a ritroso, il tempo si avvicina a raggiungere il niente, ma non è mai stato il niente”.
Il tempo è buon amico, il tempo è buon testimone, il tempo è galantuomo, il tempo è gran medico, il tempo è una lima sorda, il tempo consuma ogni cosa, il tempo vola, ma nessuno ha veramente capito a cosa serva il tempo.
Il tempo è spesso puntuale nel farci capire molte cose in ritardo. Io – confesso – ho capito più cose in questi ultimi quattro mesi che in cinquanta anni di vita.
Le ho capite in ritardo, sì, e pagando un duro prezzo. Perdendo dei pezzi per strada, acquisendone altri, di consapevolezza, e la strada è ancora in salita, sono sempre più “nelle curve”, sulle montagne russe nel cuore.
E’ passato un anno, dalla prima pagina di questo blog e del canale social. Nato in due, dalla mia voglia di mettermi in discussione, a tutto tondo, nel lavoro così come nel privato. Le due viaggiatrici nomade, zingare e solitarie il cui nome inizia per Emme: Milena e Minou.
Dieci mesi di me, di noi, a raccontare storie, viaggi, curiosità e spremute di cuore in cerca di altri viaggiatori, lettori e innamorati della vita come eravamo noi. Così rimaniamo, anche nel tempo.
Poi, mi sono ritrovata sola, senza la emme del mio cuore: Minou.
Un anno pieno di vita, di dolore nella perdita, di sfida a guardare in alto e in avanti, lottando col tempo. Poi, ti ritrovi sola ad imparare la ruota del mondo! E ti trilla nella mente e nel cuore la stessa domanda:” Perché deve continuamente girare al contrario? Dove si trova la retromarcia?”
Ecco, potendo, azionerei la retromarcia per fermare il tempo: prima di aprile, ottobre e dicembre. Mesi di macigni sul cuore, continui tsunami che non ne vogliono sapere di concedermi una “sana tregua”.
Ma, si sa, nella corsia del tempo non si può sorpassare né fare inversioni a U. Bisogna “stare” nel tempo.
Non so come sono chiamati gli spazi tra i secondi, ma è in quegli spazi che il dolore picchia più forte quando si sente la mancanza di una persona, la paura di una notizia che ti cambia la vita, o ti rimette a nudo, quando già stavi cercando di riprenderti.
Oggi il tempo è passato dappertutto, nelle stanze, nelle strade, negli alberi, nel mio diverso modo di scrivere e vivere. L’unico posto dove non è passato è in quella nuvola lassù nel tramonto, che mi chiama allo stesso di quattordici anni fa, quando sei arrivata tu, Minou, ma che ora si affaccia al mio cuore, in casa mia, con un’altra Emme.
E da due, poi una, ecco che torniamo ad essere tre, su queste pagine, nel mio cuore, nella mia vita.
Ti ho visto appena nata, avevi pochi giorni di vita, e i miei occhi ti hanno “scelta”, ma il mio cuore non era libero. Non lo è neppure oggi, ma sto facendo spazio. Quanti legami di cuore, sensibili e comprensivi, mi hanno portato a te e a chi ti ha allevato con tanto amore e dedizione: Sonia Fenu. Quanti mi hanno sostenuta, spronata ad aprirmi ad accogliere una nuova vita, ma io ancora troppo “ferita” per provare ad amare, a farmi amare.
Tutto è partito da Pier Luigi e Cristina, per passare da Sarina e, per finire, a Sonia: incontri significativi che hanno saputo lenire, un pochino, giorno dopo giorno, il rumore molesto del mio cuore. Sonia mi ha reso partecipe, ogni giorno, mattina e sera, della vita delle sue creature magiche, quali sono i gatti, dell’ultima cucciolata. Un racconto di bordo, giornaliero, dalla mia isola del cuore, la Sardegna, fin dentro casa mia, in Liguria.
Poi, sono entrata io in casa loro, alla scoperta della vita quotidiana e familiare di Sguardi Dolci Cattery , e sono stati tre giorni veloci, intensi, di emozioni conflittuali, di amore e di paura d’amare. Non avevo mai toccato con mano, così da vicino, la vita di un allevatore, non avevo mai visto tutto l’impegno, di energie ed economico, l’amore, la dedizione, le cure, le ansie, e le gioie di cui è fatta la vita, dal suo primo affaccio alla vita. Gli occhietti, da chiusi ad aperti, i primi passi, la tenerezza dei cuccioli e con la mamma, i video, l’attesa di quelle immagini che diventavano sempre più familiari, la vita che cresceva di pari passo con quella di chi, dall’altra parte, li osservava ‘a distanza’. Ho vissuto la loro evoluzione, ogni giorno, e sono cresciuta con loro. Anche il mio dolore si è nutrito di tutta quella vita.
Sono stati tre mesi d’amore, di coccole, di respiro, di rifugio, di cose da imparare, di vita imparata, di “cose da sapere”, e che non sapevo. Dietro alla selezione della razza, c’è tanto amore, tanta passione e voglia di vita, da donare più che da “vendere”. Dietro ad ognuno di quei cuccioli dagli “sguardi dolci” c’è tutta la passione che la vita e l’amore richiedono. A me, quei giorni, questi tre mesi, spesso, hanno salvato da quel buco nero, del lutto, che non se n’è andato, non se ne andrà mai, ma oggi posso dire che una sferzata di aria di primavera, profumata, soffice e invadente, è entrata nel mio “gelido” inverno, nel mese più freddo dell’anno, quello del mio compleanno: gennaio.
Il 16 gennaio è stato un tempo speciale, una data sul calendario che non scorderò mai, al tempo della Covid-19, ancora distanziati, un tempo di miei compleanni: un anno del mio blog, e i primi 50 anni di vita. E, non sono mancate le sorprese, ma lo avrei scoperto più tardi.
Il 29 gennaio sei arrivata tu, dopo un lunghissimo viaggio, viaggiando in aereo, in pullman, in treno e, per finire, in taxi in direzione della tua nuova casa, delle tue nuove case: mia e dello zio. Solo ora, diciamo, riesco a trovare il “tempo giusto” per scriverne.
E il triangolo magico, ancora una volta, è scandito dalle Emme. Emme come Milady. E’ passata una settimana, sei arrivata nel bel mezzo di un uragano, lo stesso che avevo già sperimentato quando arrivò la tua sorellina: Minou.
Sei arrivata tu, da lontano, ci stiamo conoscendo, ci siamo scelte? Forse. Ci stiamo misurando, credo, da dove partiamo. Ma oggi, posso dirlo, sei un centrifugato di tenerezza, dolcezza, intelligenza, un terremoto vivo di vita, però. La casa in disordine, ma più “accesa”. Hai stravolto i miei ritmi, le mie abitudini, tre mesi dopo. Sei una creatura speciale che non si spegne neppure mentre dorme, esattamente come chi scrive. Sei sensibile e timorosa. Sei rumorosa, ma non t’imponi sulla scena, un po’ come chi ti ha accolto in casa. Assomigli così tanto alla tua “sorellina” e a me. Oggi posso presentarti per come sei: il mio regalo di compleanno, dei miei primi 50 anni. E chi c’ha messo lo zampino se non lo zio?!
Hai portato nuova vita, faremo un po’ di strada insieme, per quanto tempo? Non lo so, a lungo, magari, ma oggi è un altro tempo. Il nostro tempo, insieme, ad imparare ad amarci da zingare. E, come mi ha scritto Sarina: “la gattina farà il suo mestiere e troverà la porta da sola, tu imponiti solo di accudirla. Non devi metterci il cuore o la testa. Solo le mani e il respiro. Perché lei farà il resto”. Queste parole sono state il mio balsamo, in quel profondo giorno di “spaesamento”.
Sarebbe bello riuscire a riempire almeno un giorno. Riempirlo di opere e brividi e dettagli, senza lasciare fuori neanche un minuto o un secondo. Chissà come tremerebbe il tempo a vederci così forti.
Forse, il tempo è troppo lento per coloro che aspettano, troppo rapido per coloro che temono, troppo lungo per coloro che soffrono, troppo breve per coloro che gioiscono, ma per coloro che amano il tempo è eternità. L’amore non può essere congelato nel freezer del lutto, l’amore può e deve continuare, in modo diverso, con chi arriva nella tua vita, accanto a chi se ne va.
Il paradosso del donare il proprio tempo e amore ad un altro: regali un pezzo della tua vita che non sarà più tuo,
ma che proprio per questo non andrà perduto.
E’ questo che ho imparato da Minou, dallo zio, da Sonia, da Milady, che sto imparando da me in questo viaggio in “solitaria” abbracciando chi arriva.
E tante altre “presenze d’amore” mi hanno portata fin qui. Una sorta di famiglia allargata nata dal ritrovarsi, ancora una volta, orfana. Alcuni sapranno riconoscersi in questo racconto…
Nankurunaisa.
Credo sia una delle parole più belle del mondo.
E’ giapponese e significa “con il tempo si sistema tutto”.
Il tempo, a volte, sembra che non passi, è come una rondine che fa il nido sulla grondaia, esce ed entra, va e viene, ma sempre sotto i nostri occhi.
Il tempo si muove in una direzione, i ricordi in un’altra.
Benvenuta First Milady Sguardi Dolci, in questo nuovo viaggio insieme. Milady, questo è il nome che, alla fine, ho scelto per te, in con-divisione, e sei un po’ come la rondine che annuncia la primavera “dentro casa”. Una nuova direzione che, allo stesso tempo, cavalca l’onda dei ricordi. Il tempo è un assassino e porta via con sé ogni nostro secondo. E ha sempre un alibi. Lui non c’era dove eravamo noi, esisteva in qualche altro luogo.
Oggi, in questo tempo, però, TU sei il mio regalo del cuore in questo mezzo secolo di vita, in mare aperto e con l’onda lunga, ma scriveremo altre pagine, un anno dopo. Insieme. Ci stai?
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Italia on the road, i viaggi coast to coast in macchina regalano un senso di libertà impareggiabile, l’euforia di sentirsi gli unici padroni della strada, quel brivido che nasce dal scoprire continuamente nuovi posti, ascoltando solo i propri desideri e le fantasie dell’avventuriero che alberga in noi.
Ecco, allora, un reportage speciale tutto ‘piezz’e core’, lungo le coste del Belpaese, che voglia essere una stuzzicante idea per un road trip, tra scorci di blu e paesaggi mediterranei.
Costiera Amalfitana
Sicilia Occidentale
Sicilia Orientale
Dalla riviera di Levante a quella di Ponente, Liguria
Da Ancona a San Benedetto del Tronto, Marche
Da Cagliari a Carloforte, Sardegna meridionale
Costa dei Trabocchi, Abruzzo
Basilicata coast to coast
Da Trani a Gallipoli, Puglia
Da San Nicola Arcella a Reggio Calabria, Calabria
La Costiera Amalfitana è un incanto tra natura, arte e bellezza riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Prende il suo nome proprio da questa cittadina, Amalfi, che fu la prima delle quattro repubbliche Marinare. Un tratto di 50 chilometri di costa a sud della Penisola Sorrentina, nella regione Campania, caratterizzata da ripide scogliere e da una costa frastagliata costellata di piccole spiagge e villaggi di pescatori color pastello.
Sospesa come una terrazza tra le acque blu del Tirreno e il blu del cielo, e soprannominata Divina Costiera, è diventata, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, meta prediletta delle vacanze, soprattutto del jet set mondiale.
La costiera è, inoltre, la terra delle zagare e dei limoni dove la macchia mediterranea digrada verso il mare tra borghi pittoreschi e antiche ville. La Costiera è percorsa dalla Strada Statale 163, considerata una delle più belle strade panoramiche d’Italia, e si snoda lungo il golfo di Salerno attraversando 14 borghi, uno più bello dell’altro: Amalfi, Atrani, Cetara, Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti, Vietri sul Mare e Agerola. In auto, percorrendo la mitica 163, vedrete cupole dorate, maioliche colorate, case color pastello, ville dai giardini lussureggianti e limoni.
Bastano almeno dieci giorni e, se volete evadere in un altro mondo, pur restando in Italia, visitare la Sicilia è quel che fa per voi. Un ricco patrimonio artistico e culturale, mare che rapisce il cuore e una cucina squisita, è quanto basta per l’ideale road trip estivo.
Ma, se non avete tempo da dedicarle, allora si può pensare di visitare la costa occidentale e quella orientale in due viaggi distinti. Iniziando dalla prima, il vostro viaggio potrebbe partire da Cefalù, incantevole borgo sul mare nella Sicilia settentrionale, per poi andare alla volta di Palermo, con una breve sosta a Bagheria per i cinefili che vogliono vedere i luoghi dove è stato girato Baarìa di Giuseppe Tornatore.
Poi, una volta arrivati a Palermo, concedetevi dei giorni per ammirare le sue bellezze, scoprire la Palermo arabo-normanna, la suggestiva cattedrale di Monreale e le spiagge di Mondello. A questo punto, riprendete l’auto, in direzione golfo di Castellammare, probabilmente il più bello di tutta la Sicilia.
La piccola città costiera di Castellammare vale una sosta, ma poi lasciate l’auto ed esplorate l’incontaminata Riserva Naturale dello Zingaro e il selvaggio paesaggio costiero costellato da invitanti calette e pittoreschi insediamenti rurali. Volendo fare una piccola deviazione verso l’interno, poi, si possono visitare le antiche rovine di Segesta.
Ritornando sulla costa, vi consiglio di vedere Scopello, un piccolo borgo con poche case abitate, una piazzetta e profumo di “pane cunzato” per strada. Scopello, dal greco Scopelos, (letteralmente scogli), deve il suo nome alla presenza dei due bellissimi faraglioni che emergono fieri dalle acque cristalline. Continuando sulla punta di Capo San Vito sorge San Vito Lo Capo, rinomata località balneare che vanta una bellissima spiaggia a forma di mezzaluna.
Bene, si riparte verso Trapani, il cui centro storico sorge in una lingua di terra a forma di falce che un tempo rappresentava un importante crocevia nei traffici commerciali tra Cartagine e Venezia. Mettete in conto, assolutamente, di vedere il tramonto ad Erice, suggestivo borgo medievale che sovrasta il porto di Trapani.
Arroccato sulla cima del monte omonimo, il borgo medievale di Erice svetta dall’alto dei suoi 750 metri, godendosi un’eccezionale vista panoramica che guarda al golfo di Trapani ed alle isole Egadi da un lato ed alla vallata del Valderice dall’altro, abbracciando le campagne dell’entroterra siculo. Piccolo ed incredibilmente autentico, Erice è un dedalo di viuzze lastricate che scorrono tra chiese, piazze ed antichi cortili e che invoglia i suoi visitatori alla scoperta.
Da Trapani ci si può imbarcare su un traghetto diretto alle isole Egadi, tra cui l’imperdibile Favignana, oltre a Levanzo, Marettimo, l’isolotto di Formica e lo scoglio di Maraone. Oppure, proseguite scendendo alle saline di Trapani e Marsala, le più antiche d’Europa, tra distese bianche e mulini a vento.
Da qui, prendete una barca per un breve tragitto fino all’isola di Mozia, che custodisce uno dei siti archeologici fenici più belli d’Europa. Proseguite ancora per Marsala, la capitale di una delle maggiori regioni vitivinicole della Sicilia. Marsala, città di storia, di vino e di mare, offre tante attrazioni ai suoi visitatori.
E’ una città di grande fascino sia quando la si guarda dall’alto, arrivando con un aereo, sia quando la si raggiunge dal mare o dalla terra. La nave punica, il parco archeologico con i suoi preziosi reperti, lo storico sbarco di Garibaldi con i suoi Mille, il centro storico, curato e accogliente, con i suoi monumenti, le chiese, i musei raccontano la storia di una città dal passato importante e prestigioso.
Scendete ancora verso Mazara del Vallo, che fu una delle più importanti città della Sicilia saracena, per poi dirigervi verso Selinunte, importante sito archeologico. Si potrebbe poi fare una sosta a Sciacca, il borgo marinaro in provincia di Agrigento, in Sicilia, un museo a cielo aperto nonché città turistica e termale e, prima di continuare a scendere ancora verso Agrigento, dove vedere la Valle dei Templi e il suo parco archeologico caratterizzato dall’eccezionale stato di conservazione e da una serie di importanti templi dorici del periodo ellenico.
Non perdetevi per nessun motivo la Scala dei Turchi, una parete rocciosa che si erge a picco sul mare lungo la costa di Realmonte e che si presenta come uno splendido gioiello bianco abbagliante che fa da cornice all’azzurro limpido del mare. Nell’agosto del 2007 è stata presentata all’UNESCO, da parte del comune di Realmonte, una richiesta ufficiale affinché questo sito geologico, insieme alla villa romana, sia inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità.
Ora, vi suggerisco di esplorare l’altra costa della Sicilia, quella orientale, e il road trip può partire da Taormina, perla della Sicilia e tappa obbligata anche solo per vivere la magia di una serata al Teatro Greco, le cui rovine si stagliano sull’azzurro del mare. Dall’alto della sua collina, Taormina offre bellissimi scorci sul litorale con l’Etna sullo sfondo. Ora, si può fare tappa ad Acireale, nota per il suo carnevale, il barocco e le bellezze naturalistiche, prima di arrivare a Catania, la regina dello stile Barocco sullo Jonio: uno scrigno di palazzi barocchi e suggestive chiese, adagiata in una valle di agrumi.
Continuando a scendere si arriva a Siracusa, una città che nell’antichità gareggiava per importanza e bellezza con Atene. Il nome Siracusa deriva dal termine Syraka (abbondanza d’acqua), per la presenza di ricche sorgenti. Luogo affascinante e suggestivo che Cicerone definì “la più bella città della Magna Grecia”.
Da non perdere, a Siracusa, la zona più affascinante di Ortigia, la piccola isola di Ortigia rappresenta la zona più antica della città di Siracusa, ed è ricca di meraviglie naturali e architettoniche. Il suo nome deriverebbe dal greco antico ortyx che significa “quaglia”.
Si continua a scendere verso Noto, la capitale del barocco, e la Riserva naturale orientata Oasi Faunistica di Vendicari, famosa per la spiaggia di Calamosche. È un’area dove potrete trovare differenti ambienti naturali, zone di acqua dolce, saline, dune costiere e chilometri di spiagge
Scendendo ancora lungo la costa orientale si arriva a Marzamemi, un villaggio di pescatori oggi diventato un borgo alla moda. Marzamemi (nome che deriva dall’arabo “Marsà al hamen”, Rada delle Tortore), è un piccolo borgo marinaro della provincia di Siracusa, a pochi chilometri di distanza da Pachino e dalla barocca Noto.
Sorge e si sviluppa interamente sul mare. La sua nascita risale intorno all’anno mille, quando gli Arabi costruirono qui la Tonnara, che per molti secoli fu la principale dell’intera Sicilia Orientale. Questo borgo, per come oggi ci appare risale al ‘700 quando la Famiglia Villadorata, modificò la Tonnara ampliandone gli spazi, costruendo la chiesa di San Francesco di Paola, e le case dei pescatori.
Rientrando leggermente verso l’interno si arriva a Modica, dove assaggiare il suo rinomato cioccolato, e poi a Ragusa, altra città del barocco della Val di Noto, e il capoluogo più a sud d’Italia, che viene solitamente nominata come città dei due patroni, dei tre ponti e spesso definita l’isola nell’isola.
Ritornando sulla costa raggiungete Punta Secca, diventata famosa per Il commissario Montalbano. Qui, infatti, si trova la villa che nella serie è la casa del protagonista. A poca distanza si trova Donnalucata, un tempo villaggio di pescatori e, oggi, importante luogo di villeggiatura. Se, invece, si prosegue verso la costa occidentale si arriverà ad Agrigento.
Da quella di Levante a quella di Ponente, la riviera ligure offre un viaggio on the road tra profumo di pesto, blu del mare e borghi marinari con i tipici carruggi da scoprire con calma. Si parte da La Spezia che si affaccia sul meraviglioso Golfo dei Poeti per poi iniziare a risalire la costa e raggiungere le Cinque Terre, i famosissimi cinque borghi a picco sul mare, incastonati sulle alte scogliere di un’area naturalistica protetta dall’Unesco. In auto si incontrano nell’ordine Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza, Monterosso.
Si prosegue poi per Sestri Levante, conosciuto come “paese dei due mari” per la sua posizione tra le due baie, la baia delle favole, così soprannominata da Hans Christian Andersen, e la baia del silenzio, chiamata così da Giovanni Desclazo.
Continuate verso Chiavari e il suo centro ricco di storia, per proseguire verso Rapallo e le sue colline verdeggianti, e arrivare a Portofino, borgo di pescatori con case color pastello, boutique esclusive e ristoranti con specialità di pesce si affacciano sulla Piazzetta acciottolata che domina il porto, dove sono attraccati mega yacht.
Quindi, verso Santa Margherita Ligure, con paesaggi marini e collinari di suggestiva bellezza, incastonata tra la natura incontaminata e, dulcis, a Camogli, un vero gioiello della Riviera Ligure, abbracciata dalle acque limpide del Golfo Paradiso, all’estremità occidentale del promontorio di Portofino. La città dei mille bianchi velieri, della sagra del pesce e della Stella Maris.
Si prosegue poi per Genova, il capoluogo ligure, la Superba, dove scoprire il fascino dell’antica Repubblica marinara e della Lanterna. Il Porto Antico, la Cattedrale di San Lorenzo, il Palazzo Ducale, Acquario e la Biosfera. E i Palazzi dei Rolli, il Teatro Carlo Felice, Porta Soprana e la Casa di Colombo. Dal romantico borgo di Boccadasse al trenino di Casella e…tanto altro. Scriverei per ore della “mia città”. Vorrei parlarvi della sua gente, così “diffidente” verso i foresti (chiunque venga da fuori città come chi scrive), ma con così tanta voglia di aprirsi al mondo; vorrei raccontarvi della sua storia, quando i genovesi solcavano i mari con le loro barche; vorrei ricordare i suoi personaggi famosi, da Cristoforo Colombo a De André, a Don Gallo e… tante storie da raccontare.
E così, si giunge alla riviera di Ponente. Una delle prime soste potrebbe essere Celle Ligure, un borgo rinomato per il settecentesco palazzo Ferri. Sempre costeggiando il mare si arriva, poi a Savona, dove merita di fermarsi a vedere almeno le due icone della città: la Fortezza del Priamar, costruita nel ‘500 dai genovesi per proteggere la città, e la Torre del Brandale del XII secolo e poggia su archivolti gotici che, dal versante della Vecchia Darsena, sono l’ingresso al centro storico di Savona.
Continuate verso Noli, selezionato tra i borghi più belli d’Italia dove alcune delle 72 torri ricordano il suo glorioso passato da Repubblica marinara. Proseguite verso la Baia dei Saraceni e poi verso Varigotti, caratteristico “borgo saraceno”, con i vivaci colori dei suoi intonaci e gli edifici squadrati, e la qualità delle sue spiagge, diventato una famosa località turistica dal forte tratto distintivo marinaresco.
Proseguite verso Finale Ligure, oggi capitale del free climbing sulle numerose falesie di granito, e concludete l’itinerario a Sanremo, la città dei fiori e del Festival della Canzone Italiana, salvo non vogliate spingervi fino in Costa Azzurra, un nome, un mito. Eppure, un territorio ancora da scoprire, dietro alla Promenade des Anglais a Nizza e alle spiagge lungo il Mediterraneo.
Spiagge selvagge, antichi borghi e fitti boschi, le Marche sono una regione ancora poco esplorata, ideale da percorrere in auto. Partendo da Ancona, fondata dagli antichi Greci e importante porto durante l’Impero romano, è una città d’arte con un centro storico ricco di monumenti e con una storia millenaria e uno dei principali centri economici della regione. Quindi, proseguite verso sud per l’antico villaggio di pescatori di Portonovo e il meraviglioso Parco del Conero. Qui, verdeggianti pinete ricoprono pareti di roccia bianchissima che si stagliano su acque turchesi e cobalto. Scendendo ancora più a sud nel Parco del Conero si arriva alle spiagge di ghiaia di San Michele e dei Sassi Neri, completamente immerse nel verde e nella natura incontaminata.
Poco distante, il centro storico di Sirolo offre un bel panorama dalla terrazza della piazzetta. Lasciando il Parco del Conero alle spalle e dirigendosi verso l’entroterra, raggiungete Osimo, o Auximum ai tempi dell’Impero Romano, dove tutto racconta la storia dell’antica colonia.
Poi, una sosta a Filottrano, il cui centro storico, racchiuso all’interno delle mura castellane, è ricco di scorci suggestivi sulle valli circostanti. Proseguite, poi, per visitare gli antichi borghi sulle colline marchigiane tra cui Montefano, Loreto, Camerano e Recanati, che diede i natali a Giacomo Leopardi.
Ogni borgo ha un suo fascino e una storia da raccontare. Ritornando poi sulla costa dirigetevi verso Torre di Palme, un borgo romantico con stradine acciottolate, case in pietra, balconi fioriti e una spettacolare terrazza che domina il mare. Concludete il vostro road trip a San Benedetto del Tronto e Grottammare, incantevole cittadina dalla forte tradizione marinara e cuore pulsante della Riviera delle Palme.
Se, invece, da Ancona partite verso nord potrete raggiungere la storica strada panoramica di San Bartolo che collega Gabicce Mare, il comune più a settentrione della regione Marche, al confine con l’Emilia-Romagna, a Pesaro.
Nata in riva al mare alla fine del 1800, bagnata dall’Adriatico, con la sua cultura, la sua dimensione e i suoi ritmi a misura d’uomo, i suoi patrimoni di ieri e di oggi, ha fatto dell’ospitalità una vocazione che vuole ancora oggi crescere e conquistare l’attenzione dei turisti. È una strada molto suggestiva da percorrere in auto che attraversa il Parco Naturale del Monte San Bartolo tra il blu del mare e le colline ‘vestite’ di ginestre.
La Sardegna è tutta da scoprire, ma la parte meridionale è quella meno conosciuta, meno turistica e più selvaggia. Il sud dell’isola, dunque, è l’ideale da esplorare in auto, percorrendo la panoramica strada statale della Sulcitana che si snoda lungo tutto il litorale meridionale.
Partendo da Cagliari, affacciata sul Golfo degli Angeli e circondata dalle imponenti torri e bastioni del Quartiere del Castello, potreste percorrere la strada della Sulcitana verso est, attraversando la Costa Rei fino ad arrivare a Villasimius, rinomata per le sue spiagge bianchissime e il suo mare trasparente.
Oppure, potreste percorrere il litorale in senso opposto, verso ovest, passando per le caraibiche spiagge di Chia, Pula, dove vedere l’importante sito archeologico di Nora e gli antichi nuraghi, e Cala Cipolla, fino ad arrivare all‘isola di San Pietro e alla suggestiva Sant’Antioco.
L’isola di San Pietro di fronte alla costa sulcitana è un’isola suggestiva con scogliere alte e frastagliate che degradano in un mare cristallino, calette incantevoli e un unico centro abitato, Carloforte, uno splendido borgo fondato da famiglie liguri. A tutt’oggi, conserva lingua e cultura dei fondatori, le famiglie di pescatori originarie di Pegli. Sant’Antioco, invece, dà il nome all’isola maggiore del Sulcis, che fu colonia fenicio-punica, città romana e oggi borgo di mare dal fascino speciale. È un viaggio on the road in un paesaggio aspro, dalla vegetazione rigogliosa e il tempo scorre lento.
La Costa dei Trabocchi è un tratto del litorale abruzzese, esteso lungo la strada statale 16 Adriatica che si può percorrere in auto per un bellissimo viaggio on the road. Il litorale è così chiamato per la diffusa presenza di trabocchi, antiche macchine da pesca su palafitta, oggi trasformate in ristoranti sull’acqua.
Si parte quindi da Vasto, all’estremo sud dell’Abruzzo, per cominciare a risalire la costa verso la riserva naturale di Punta Aderci, uno dei tratti costieri più suggestivi della regione. Si arriva a San Vito Chietino, un piccolo borgo che sorge su uno sperone roccioso da cui godere di un panorama mozzafiato sul mare sottostante.
Si raggiunge poi Ortona, antica città romana, oggi una delle più belle località balneari della Costa dei Trabocchi. Continuate a risalire il litorale abruzzese fino a Francavilla al Mare, un delizioso centro balneare, famoso già dalla seconda metà dell’800.
Ripartite poi in direzione Pescara, città natale di Gabriele D’Annunzio, per poi ripartire verso Montesilvano, grazioso borgo sul mare. Continuate a risalire la costa fino a Roseto degli Abruzzi.
Chi ha visto il film “Basilicata coast to coast” di Rocco Papaleo? Beh, viene voglia di esplorare la Basilicata, da una costa all’altra, alla scoperta di antichi borghi, natura incontaminata e spiagge meravigliose. C’è chi ha percorso l’itinerario a piedi, in bici, in moto o in auto, ma lascio voi la scelta.
Si parte da Maratea, perla del Tirreno, si sale verso la montuosa Trecchina, poi verso Lauria, paese natale dell’attore e regista Rocco Papaleo, quindi Latronico, paese noto per le acque termali, e Tramutola, dove l’allegria contagia le piazze del paese. Attraverso strade impervie e paesini arroccati si arriva poi ad Aliano, il paese di confino del grande poeta, scrittore e pittore, Carlo Levi. Si passa poi per Craco, il paese fantasma, e si punta poi verso la costa Jonica, raggiungendo Scanzano Jonico, nota località balneare, un tempo parte della Magna Grecia, e quindi Policoro e Nova Siri.
La Puglia è uno stato d’animo, almeno così dicono i pugliesi. E’ proprio così e, dunque, immergetevi in questa terra meravigliosa tra borghi bianchi, distese di ulivi e spiagge caraibiche. Si parte da Trani, che affascina per il castello svevo e la meravigliosa cattedrale sul mare.
Proseguendo verso l’interno si può raggiungere velocemente Castel del Monte con le sue affascinanti torri ottagonali, sito Unesco.
La fortezza del XIII secolo fatta costruire da Federico II di Svevia, Imperatore del Sacro Romano Impero e Re di Sicilia e ribattezzata “la fortezza dei misteri”. Ritornando sulla costa si raggiunge Bari, La Parigi del Mediterraneo, e il suo labirintico centro storico, Barivecchia, che occupa un promontorio tra due porti, per poi proseguire verso Polignano a Mare, arroccato su scogliere a picco sul mare.
Il nucleo più antico della cittadina sorge su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare Adriatico a 33 chilometri a sud del capoluogo. Si scende poi verso Ostuni, la citta bianca del Salento. Volendo fare una piccola deviazione verso l’interno, si può esplorare la Valle d’Itria o Terra dei Trulli, visitando incantevoli borghi come Locorotondo, Cisternino e Alberobello.
Si continua a scendere a sud verso Lecce, la perla del Salento nota per gli edifici stile barocco, e passando per Torre dell’Orso si raggiunge la bellissima Otranto, il punto più a Oriente d’Italia, a circa 30 km da Lecce, su uno sperone roccioso che scende a picco sul mare. Così si lascia la costa adriatica per raggiungere la costa ionica e concludere l’itinerario a Gallipoli, dove perdersi tra vicoli bianchi e spiagge da sogno.
E, per finire, un road trip lungo la costa tirrenica della Calabria vi farà scoprire la bellezza di una regione meravigliosa, ma spesso sottovalutata. Partite da San Nicola Arcella, un villaggio arroccato sulle colline della Riviera dei Cedri, celebre per le sue bellezze naturali e architettoniche, per vedere l’incantevole Arco Magno e poi iniziate a scendere lungo la costa. Ora, fate una deviazione verso l’interno per vedere Cosenza, città dal fascino decadente, detta anche Città dei Bruzi, è una delle città più antiche della Calabria e sorge sui sette colli nella valle del Crati, alla confluenza con il Busento, e poi tornate sulla costa e dirigetevi a Pizzo Calabro, in provincia di Vibo Valentia, un borgo rinomato per la produzione del tartufo, nonché punto d’inizio della Costa degli Dei.
La città ha un suggestivo centro storico arroccato sulla scogliera e delle ampie spiagge spesso deserte lambite da un mare cristallino. Continuate a scendere lungo la costa superando Vibo Marina, da cui ci si imbarca per le isole Eolie, e raggiungete Tropea, perla della Calabria, costruita su una roccia alta 60 metri a picco sul mar Tirreno. Dici Tropea e pensi subito a sole, mare, e panorami indimenticabili.
Sorge lungo la costa degli Dei, anche detta la Costa Bella per i panorami suggestivi e per la vicinanza alle splendide Isole Eolie. Esplorate le bellissime spiagge nei dintorni, da non perdere quelle di Capo Vaticano.
Proseguite così verso Scilla, pittoresco borgo della Costa Viola incastonato su uno sperone roccioso a picco sul mare e affacciato sullo stretto di Messina. La parte più antica e suggestiva è la località Chianalea, denominata anche piccola Venezia per le case galleggianti sull’acqua.
Fate una breve sosta nella vicina Favazzina per un tuffo al mare e per i suoi rinomati limoni da mangiare con il sale. Concludete l’itinerario a Reggio Calabria, la più antica colonia greca fondata in Italia meridionale, oggi una bella città dove vedere i famosi Bronzi di Riace al Museo Archeologico Nazionale.
I viaggi, la strada, l’avventura, l’andare verso. A volte si percorrono strade che il cuore non capisce
e la mente non sa spiegare.
Ma l’anima lo sa.
Camminando si apprende la vita,
camminando si conoscono le persone,
camminando si sanano le ferite del giorno prima.
E, per dirla alla Jack Kerouac, “le nostre valigie logore stavano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevano altro e più lungo cammino da percorrere. Ma non importa, la strada è vita”.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Borghi di mare (e non) da scoprire, incastonati su promontori rocciosi, adagiati su colline verdi o distesi lungo la costa. Sono borghi lontani dalle località più turistiche o sorti lungo i sentieri meno battuti nei quali vale la pena fare una sosta e, assolutamente, da inserire nel vostro viaggio, estivo e non. L’Italia, del resto, è disseminata di stupendi borghi. Castelli e paesini arrampicati sulla roccia. Casette antichissime, balconi e finestre ricoperti di fiori. Su tutti, quelli di mare esercitano un fascino irresistibile. Angoli meravigliosi che si inseriscono in modo armonioso in mezzo alla natura e offrono panorami eccezionali, rappresentando un vero e proprio patrimonio d’arte e cultura.
Ecco una (mia) lista dei 10 borghi sul mare (e non) più belli da visitare:
Sono decine e decine i piccoli paesini-gioiello a picco sul blu, dal sapore antico della Penisola. Tipici borghi marinari, dalla Liguria alla Sicilia. Luoghi incantevoli che tutto il mondo ci invidia, ognuno con le sue caratteristiche. Da quelli di casette colorate a quelli con le case tutte bianche. Dai borghi dove vivono e lavorano ancora i pescatori a quelli dediti soprattutto al turismo, ma che non hanno perso il loro fascino. Scopriamo insieme i borghi sul mare, bellissimi e imperdibili…
Grottammare Alta, l’originario borgo medievale a picco sul mare, raccolto sul ciglio di un colle, con rustiche case e piccole vie, inebriato dal profumo degli aranceti. Lungo il cammino che vi conduce troverete la seicentesca villa del Cardinale Decio Azzolino, dove soggiornò Cristina di Svezia. Definita la Perla dell’Adriatico, si trova al centro della Riviera delle Palme, a sud delle Marche. La cittadina sorprende il visitatore per il verde delle pinete e delle palme, appunto, lo spettacolo degli oleandri e degli aranceti, le ville liberty e le spiagge di sabbia finissima attrezzate con numerosi stabilimenti balneari. A seguito dell’espugnazione della città nel 1525 da parte del pirata Dulcigno, il borgo fu fortificato con mura, porte e un Torrione detto della battaglia. Attualmente ospita molte delle opere del nativo scultore del vento, uno dei più grandi artisti del Novecento, Pericle Fazzini. Nella chiesa di Sant’Agostino del XVI secolo è conservata una Madonna della Misericordia di Vincenzo Pagani. Nella vicina Piazzetta Peretti si gode di una vista eccezionale dal portico balconato dell’edificio che ospita lo storico Teatro dell’Arancio, nei cui pressi sorge la Torre dell’Orologio. Merita una visita la Chiesa di Santa Lucia fatta erigere da Camilla Peretti in memoria del fratello Felice Peretti, divenuto papa Sisto V. Sulla collina che domina il borgo, infine, si trovano i resti di una rocca eretta nei secoli IX-X.
Un antico borgo di pescatori che incanta per le sue viuzze e le casette colorate all’interno del Parco del Cònero. Numana si trova in provincia di Ancona ed è un vero gioiello della costa. Antico porto piceno rifondato dai siracusani, dal V sec. a. C. Numana è inclusa nelle rotte ateniesi: diviene così famoso emporio e centro di smistamento delle merci greche verso l’interno e il medio adriatico. Ribattezzata la Signora della Riviera del Conero, il centro pittoresco di Numana si divide in una parte Alta, sul pendio della collina, e una Bassa, lungo il porto e l’arenile. Il litorale ha conseguito l’ambito riconoscimento di Bandiera Blu per pulizia e vivibilità delle sue spiagge. Ha duplice conformazione: a nord del porticciolo presenta una costa a falesia, con spiagge nascoste tra insenature; a sud, fino a Marcelli, una larga spiaggia di ghiaia fine, più facilmente accessibile. Numana, precisamente, conserva la sua origine marinara nella parte alta, dove un fitto reticolo di viuzze abbraccia le colorate casette dei pescatori e si apre poi in un ampio belvedere affacciato sul mare. Una terrazza dal panorama unico che spazia su tutta la costa della Riviera del Conero. Dal centro si scende verso il porto attraverso l’antica via a gradoni, la Costarella, che i pescatori percorrevano ogni mattina all’alba. Quindi in pochi minuti dal centro si raggiunge la spiaggia dei Frati, dal porto di Numana invece partono le barche dirette alla celebre Spiaggia delle Due Sorelle.
San Vito Chietino si affaccia sull’Adriatico lungo la Costa dei Trabocchi, tra Ortona e Fossacesia, in Abruzzo. E’ adagiato su un crinale proteso verso il mare, tra il torrente Feltrino e il Rio Fontana. Il paese di origini romane, fu un riferimento importante grazie alla presenza del porto (già costruito in epoca Frentana), utilizzato per scambi mercantili con le popolazioni al di là del mare Adriatico. Dopo un periodo di decadenza, il borgo sul mare Sanvitese tornò ad essere valorizzato grazie alla presenza della chiesa dedicata a San Vito Martire ed al castello Medievale chiamato Castellato, ancora in parte visibile, che successivamente prese il nome del martire che già dava il nome al paese. Il borgo sorge su uno sperone roccioso e dalle sue balconate si gode un ampio panorama che spazia dalla Majella al Gargano alle Isole Tremiti.
“Il paese delle ginestre”, lo definì D’Annunzio che qui soggiornò, insieme alla sua amante Barbara Leoni, nell’estate del 1889 nell’eremo delle Portelle o eremo dannunziano. In questa residenza il poeta pescarese trovò ispirazione e ambientazione per il Trionfo della Morte, ultimo della cosiddetta trilogia dei Romanzi della Rosa. Il borgo, inoltre, racconta ancora del suo passato medievale attraverso i resti delle mura difensive e delle sue belle chiese. Spiagge di sabbia o ciottoli, dominate da maestose rupi di arenaria, mostrano poi il meglio della costa dei Trabocchi. La costa, particolarmente frastagliata, è caratterizzata dal Promontorio del Turchino, così chiamato per il mare limpidissimo che assume le intense sfumature del cielo. Questo angolo è reso ancora più suggestivo dalla presenza del Trabocco del Turchino.
Frazione di Arzachena, Cannigione è un rinomato borgo turistico della Costa Smeralda, nato come villaggio di pescatori agli inizi del Novecento. Oggi, però, è in grande sviluppo sia urbanistico che demografico, principalmente grazie al turismo balneare promosso soprattutto dalla vicina Costa Smeralda, mentre la pesca è divenuta oggi un settore secondario. Il Golfo di Arzachena è la ria più grande e profonda, ovvero un’insenatura creata da una foce, del nord-est della Sardegna. La linea di costa disegna una “V” sul versante occidentale della quale si trova il borgo di Cannigione. Il centro abitato si sviluppa sul mare ed è attraversato da due arterie principali: il Lungomare Andrea Doria e Via Nazionale. Il suo lungomare è occupato dalle banchine di un moderno e ampio porto. Accanto vedrete la spiaggia cittadina dalla sabbia chiara a grani grossi e il mare azzurro. Cannigione è diventato, inoltre, uno dei centri diving per eccellenza in Sardegna: da non perdere le visite nei banchi di posidonia in vari punti di immersione, in particolare allo scoglio di Mortoriotto.
Fanno capo al piccolo villaggio diverse spiagge, ubicate tra il golfo delle Saline e quello di Arzachena. Tra le più importanti oltre alla spiaggia del pontile di Cannigione troviamo, le diverse spiagge di La Conia, Isuledda, Tanca manna, Mannena, Barca bruciata, le piscine e le calette sino ad arrivare alla spiaggia delle Saline che si trova nel territorio di Palau. Da Cannigione, poi, partono inoltre le gite in barca per le escursioni al parco Nazione dell’Arcipelago di La Maddalena o, magari, raggiungere, ogni giorno, una località diversa tra le più esclusive della Costa: Porto Cervo, Baia Sardinia, Poltu Quatu.
All’ultimo lembo del sud-est siciliano e all’estremità meridionale dell’Europa si trova Portopalo di Capopassero. È il comune più a sud dell’isola siciliana e più a sud di Tunisi. Raggiungibile tramite una spettacolare via panoramica adiacente al mare, Portopalo è un borgo di mare bagnato dallo Jonio e dal Mediterraneo. Via Vittorio Emanuele è la via principale che taglia in due il paese affacciato sui due mari. Nel centro si trova la chiesa di San Gaetano, dedicata al patrono di Portopalo. Il borgo vanta poi vanta la tonnara più grande d’Italia, ma che dagli anni ‘90 versa in stato di totale abbandono. Vicino si trova il castello Tafuri, dall’inconfondibile stile liberty, che risale al 1935 e sorge su un costone roccioso lungo la costa sud-orientale della Sicilia. Davanti si scorge l’isola di Capo Passero, che un tempo era una penisola, e l’isola delle Correnti, che tutt’ora lo diventa durante la bassa marea.
La naturale continuazione del tratto costiero che fronteggia l’Isola delle Correnti, Carratois è una delle spiagge da non perdere della zona di Portopalo. Si trova a circa sette chilometri dal centro abitato e si presenta con acque cristalline, basso fondale ed una lunghissima spiaggia dorata.
Punta delle Formiche, situata fra Costa dell’Ambra e l’isola delle correnti, è costituita da una punta di roccia arenaria, affiancata da un piccolo tratto di sabbia finissima che si interseca fra le rocce bianche. Il mare cristallino color cobalto fa da sfondo ad un panorama splendido che abbraccia anche l’isola delle Correnti. Il tramonto, poi, è un momento imperdibile. Il nome “Punta delle Formiche” deriva dalla conformazione degli scogli che si prolungano verso la terraferma e che, visti dall’alto, sembrano formare appunto una colonna di formiche. L’isola di Capo Passero è un proprio gioiello naturalistico, tanto da essere classificata dalla Società Botanica Italiana, come zona di rilevante interesse botanico. L’isola propone zone sabbiose nella parte fronteggiante il borgo di Portopalo a zone rocciose e impervie. L’affascinante zona sabbiosa, caratterizzata da mare cristallino e lingue di sabbia che degradano dolcemente a largo, è facilmente raggiungibile “a piedi”, attraversando il mare -quando c’è bassa marea – oppure con una piccola imbarcazione di pescatori che tutto il giorno, effettua il trasporto da e verso l’isola.
Sulla costa ionica, in provincia di Taranto, si trova Campomarino di Maruggio, l’unica frazione del comune di Maruggio popolata quasi esclusivamente d’estate. Il fulcro del piccolo borgo è il Piazzale Italia, più comunemente chiamato dagli abitanti del posto la rotonda o la piazzetta, costruito nel 1958 dove sorge la Torre delle Moline, una torre di avvistamento dei saraceni del XV secolo. Il porto, l’unico sulla costa tra Porto Cesareo e Taranto, è diviso in due aree, quella dedicata ai pescherecci e quella turistica. Il porto turistico dispone di un grande piazzale, dove d’estate si tengono concerti e spettacoli.
Se siete alla ricerca di una destinazione balneare con mare cristallino e natura incontaminata, vi consiglio la spiaggia di Campomarino di Maruggio nel Salento. Per il suo mare cangiante, Campomarino è definito il “mare dai sette colori”: le sue sfumature sono, infatti, incredibili e ogni giorno sono in grado di meravigliare il visitatore. Perché partire per mete esotiche, quando avete tutta questa bellezza in Puglia? Eh già, l’attrazione di Campomarino sono le sue spiagge bianche bagnate da un mare cristallino lungo la bellissima costa di 9 km. Attraversando dune di sabbia chiara, punteggiate dalla macchia mediterranea, arriverete a tuffarvi in un mare trasparente dal fondale basso. Se poi amate lo snorkeling e le immersioni, verso i 6 metri di profondità si possono ammirare numerosi sarcofagi marmorei di età romana.
Si arrocca su un colle calcareo dalla cui cima osserverete uno splendido panorama. Posada, paese di tremila abitanti insignito della Bandiera arancione del Touring club e inserito nel club dei borghi più belli d’Italia, è uno dei luoghi più suggestivi dell’Isola per storia. Borgo della Baronia, nella Sardegna nord-orientale, arroccato su una rupe e dominato da un castello, ai suoi piedi una valle verde che sfocia nel mare turchese. Posada è uno dei centri sardi più antichi. Probabilmente fu un insediamento italico-etrusco (V-IV secolo a.C.). In età romana tutto ruotava attorno al portus Liquidonis, attuale San Giovanni di Posada, borgo di mare dominato da una torre aragonese. Come annuncia il toponimo latino Pausata, il paese fu stazione di sosta e luogo di frontiera. Oggi, Posada conserva il fascino medievale con un labirinto di vicoli, scalette e piazzette. Al centro si trova la parrocchiale di Sant’Antonio Abate. A sovrastare il centro, il castello della Fava del XIII secolo. Ai piedi del borgo si estende la valle del rio Posada, che si può risalire in kayak, consigliata agli amanti di natura e archeologia. Intorno al lago di Maccheronis, invece, si snodano itinerari per bici nel parco di Tepilora, una delle aree verdi più grandi e belle della Sardegna. Qui, si possono ammirare i fenicotteri rosa nello stagno di San Giovanni o rilassarsi sulla spiaggia omonima.
Tortolì è la porta d’Ogliastra, dà accesso a un territorio multiforme e sorprendente: attorno alla città, abitata da undicimila residenti e animata da decine di migliaia di visitatori in estate, troverete spiagge tropicali, boschi e macchia mediterranea, fertili pianure e stagni, dolci colline coltivate e una particolarità, una striscia di porfido rosso che corre parallela alla costa. E’ la capitale sarda delle tortore e dei fiori. Le Rocce Rosse, poi, sono l’esempio più spettacolare. Il monumento naturale della frazione di Arbatax affiora da acque verdi smeraldo offrendo un suggestivo contrasto cromatico. Ulassai, nel Nuorese, poi, è scenario del festival musicale Rocce Rosse Blues. Accanto c’è il porto, punto d’arrivo dei turisti e luogo di imbarco alla scoperta delle splendide cale ogliastrine.
Il mare di Tortolì è un incanto, il litorale isolano più premiato con le ‘bandiere blu’. Dietro le Rocce Rosse spicca Cala Moresca, perla ‘cittadina’ con scogli granitici e sabbia dorata. Poco più a sud, ecco le tonalità azzurre di Porto Frailis e il lungo Lido di Orrì: sedici chilometri di insenature nascoste e spiaggette, tra cui la splendida Cala Ginepro, con sabbia fine, sassolini levigati e un boschetto di ginepri, e San Gemiliano. Gli scogli rossi affiorano anche nel paradiso di Cea, quattro chilometri di sabbia bianca e soffice. Lo spettacolo della natura è completato da accoglienti aree verdi: il parco urbano La Sughereta e il parco Batteria, in cime a una collina, con vista su tutto il golfo. L’età nuragica ha lasciato nel territorio più di 200 monumenti, il sito di s’Ortali ‘e su Monti ne è completa rappresentazione: nei suoi sette ettari sono compresi un nuraghe complesso, una tomba di Giganti, due menhir, capanne, una domu de Janas, un muro e resti di un altro nuraghe.
A circa 10 da Imperia si trova Cervo, o come viene spesso chiamato Cervo Ligure, sorto su una collina che si tuffa nel mare, inserito tra I borghi più belli d’Italia. Anche il suo nome ha origini lontane. Secondo alcune fonti storiche, pare che Cervo derivi dall’antica parola latina “servo” (letteralmente: offrire servizi). Questa parola era solitamente usata in epoca romana sulle insegne e sopra le entrate delle locande per indicare ospitalità. Solo nel tardo ‘500, con il diffondersi del volgare, Servo venne storpiato in Cervo. Questo borgo, il più pittoresco della Liguria, e a ridosso del mare, ha conservato nei tempi le sue caratteristiche medievali ed è oggi una vera e propria perla della Liguria apprezzata sia per la sua bellezza architettonica sia per il paesaggio unico che la circonda. Davanti abbiamo il blu e l’infinità del mare, mentre alle spalle il verde delle colline domina la scena.
Iniziate ad esplorare il centro dalla salita al castello, con la Porta Marina della Montà, che segna fino alla fine del XVIII secolo il limite meridionale delle mura del castello. Il palazzo del Cinquecento sopra i portici bassi e stretti riecheggia le costruzioni genovesi dell’epoca. Salendo, s’incontra palazzo Morchio, della fine del XVII secolo, ora municipio, appartenuto a Tommaso Morchio, ammiraglio comandante di dieci galee genovesi, che nel 1371 conquistò alla Repubblica l’isola di Malta e la città di Mazara in Sicilia. Nella piazza principale si affaccia la barocca chiesa di San Giovanni Battista. L’originale facciata concava si erge sul mare e la sera il suo campanile sembra un faro che indica l’approdo ai naviganti. Il castello del XII secolo fu costruito dai marchesi di Clavesana come propria dimora, ma nel XVII secolo fu sventrato e diviso in due parti: la superiore a volta unica conserva un affresco raffigurante Santa Caterina, l’inferiore, ridotta, ha ospitato l’ospedale e oggi è sede del Museo Etnografico. Merita anche l’antica parrocchiale dedicata a San Giorgio di Cappadocia, il cui culto i marinai avevano appreso in Oriente all’epoca delle crociate. Inoltre Cervo conta numerosi palazzi padronali come il palazzo Balleydier, una bella costruzione settecentesca affrescata dal Carrega.
Una visita didattica nel borgo di Cervo che consente di apprezzare la storia millenaria attraverso le sue evidenze architettoniche e culturali più significative. Le visite didattiche nel borgo di Cervo sono organizzate dalla Proloco Progetto Cervo in sinergia con il Comune. Percorsi alla scoperta di storia, architettura e paesaggio affacciati sul mare, scoprendo palazzi antichi e monumenti nel centro storico, e immergendosi nella natura intorno al borgo, tra i più belli d’Italia. Le visite didattiche sono curate dalla dott.ssa Elisa Bianchi, archeologa, il costo di partecipazione è di 7 euro (gratuito per bambini e ragazzi fino a 12 anni). Per i partecipanti è, inoltre, previsto l’ingresso ridotto al Museo Etnografico. Prenotazione obbligatoria: Elisa Bianchi 3385959641. Per informazioni: ufficio IAT 0183406462, int.3 infocervo@cervo.com.
La musica e Cervo hanno un legame profondo che dura ormai dal 1964; anno in cui è stato fondato il “Festival Internazionale di Musica da Camera”, anche soprannominato Cervo Festival, che richiama musicisti e spettatori da tutto il mondo. In questa cornice magica, nelle sere d’estate, è possibile lasciarsi trasportare dalle note di alcuni dei musicisti di musica classica più famosi al mondo. E’ nato grazie a Sandor Vegh, violinista ungherese, che vide grandi potenzialità nella caratteristica facciata concava della Chiesa di San Giovanni. Grazie a questa curiosa peculiarità architettonica, l’acustica della centrale Piazza dei Corallini è pressoché impeccabile. Oltre al Cervo Festival, molti altri eventi caratterizzano e scandiscono le giornate e le serate estive. Tra questi il “Cervo ti Strega“: un evento culturale e letterario di più giorni. I cinque scrittori finalisti dell’ambito “Premio Strega” sono i protagonisti di questa manifestazione.
Fare un viaggio a Campiglia Marittima significa visitare uno dei borghi più belli della Costa degli Etruschi. Adagiato su un colle dal quale guarda il mare Tirreno e la campagna circostante odorosa di aromi selvatici, Campiglia Marittima è uno dei borghi più belli della Val di Cornia, sebbene il nome “Marittima” richiami il mare. La sua storia è segnata dalla presenza di giacimenti minerari dai quali, a partire dagli etruschi, vennero estratti minerali e metalli, quali rame, piombo argentifero, ferro e marmo, essenziali per il commercio del paese fino ai giorni d’oggi. L’atmosfera medievale è stata protetta nel corso degli anni dalle mura che circondano il cuore della città e dalle tradizioni che tengono in vita sapori e pratiche perdute. Passeggiare per le caratteristiche vie del centro storico farà perdere al visitatore la cognizione del tempo, una volta varcata la cinta muraria da una delle tre entrate principali si è subito stupiti dall’armonia architettonica degli edifici storici, le botteghe artigianali, le locande, ed i musei si affacciano invitando i passanti ad entrare.
Il dominio di Firenze sulla città è impresso nei mattoni del Palazzo Pretorio sulla cui facciata sono ancora visibili gli stemmi dei podestà che si sono susseguiti in epoca rinascimentale. Dal borgo si scorge il promontorio dell’Argentario e nei giorni di cielo sereno anche la Corsica. A 281 metri si trova la Rocca di Campiglia, che comprende l’edificio del cassero, l’antica cisterna, l’imponente parete merlata con bifora dell’edificio gentilizio e l’acquedotto degli anni ‘30. Dentro le antiche mura si concentra poi il cuore del borgo. Il Palazzo Pretorio è il simbolo del potere politico e militare che sovrasta gli altri edifici con la sua torre dell’orologio completata da una bella campana. Oggi il Palazzo ospita l’Archivio Storico, la Biblioteca dei Ragazzi “Il palazzo dei Racconti”, il Museo Carlo Guarnieri e il Museo del Minerale. Tra le chiese vale la pena vedere la Pieve di San Giovanni, splendido esempio dello stile romanico-toscano, e la Chiesa di San Lorenzo, che ospita il Museo d’Arte Sacra. Notevole, infine, il Teatro dei Concordi, sede di importanti rappresentazioni.
I borghi, i piccoli paesi, gli angoli nascosti sembrano più leggeri la sera,
quando la gente lascia le spiagge
e il bagnino chiude gli ombrelloni, quando i colori appaiono più veri nell’aria fresca e il campanile segna un’ora
che esiste solo d’estate.
Io, ogni volta, me li immagino e li vivo così, ma il paese per me è il luogo del futuro, è il luogo dove impiantare la sagra del futuro, non è la conservazione del passato.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
In cammino sul sentiero balcone il Golfo Paradiso. La Liguria offre tanti itinerari escursionistici. Oltre al mare, questo sentiero permette, infatti, di ammirare borghi caratteristici, uliveti e paesaggi collinari. Una passeggiata tra natura, storia e vedute panoramiche sul golfo Paradiso.
In questo itinerario, a pochi passi dal mare, dove le scogliere incontrano i terrazzamenti dedicati alla ovicultura, si concentrano molte delle caratteristiche endemiche della costa ligure: il mare, la macchia mediterranea, i terrazzamenti, gli olivi, i castagni. Salendo le antiche e ripide ‘creuse’, alle spalle della spiaggia di Sori, si arriva a Sant’Apollinare per ammirare la bellezza del promontorio di Portofino.
Ma anche le antiche mulattiere, le chiese, i santuari, le cappelle. Un itinerario tra Sori e Recco alla riscoperta, quindi, delle antiche “creuse” , le mulattiere che si inerpicano tra macchie di flora mediterranea e fasce coltivate ad ulivi. Si perché in questa zona l’olivo ha una lunga ed importante storia, come testimoniato dalla località Mulinetti, presso Recco, la cui toponomastica rinvia all’originaria presenza di due mulini idraulici ubicati nella valletta del rio Sonega che servivano ad azionare le macine e le presse dei frantoi.
Con i suoi giardini che nascondono le ville agli sguardi indiscreti, il mare che lambisce le scogliere su cui queste appoggiano e la piccola spiaggetta cinta dalle colline verdi, Mulinetti può ben definirsi una oasi di pace dove immergersi nell’azzurro del mare e nel verde della pineta mentre si respira il profumo del mare abbronzandosi sul bagnasciuga. In inverno diventa una nicchia suggestiva dove scaldarsi ai raggi tiepidi del sole invernale col profumo dei pini marittimi, protetti dai venti dal nord in una piccola insenatura tranquilla. Chi non la conosce, beh, la custodisce gelosamente nel cuore, come chi scrive, anche se tentata di con-dividerla…
Da Sori si segue l’Aurelia in direzione Recco individuando a sinistra via Dante Alighieri, bella via scalinata su cui sono evidenti i segnavia della Federazione Italiana Escursionismo (F.I.E.) per Sant’Apollinare. La via sale tra case e terrazzi ad olivo e lungo questa vanno trascurate le vie laterali arrivando nel piazzale di un gruppo di case. Si continua lungo il crinale tra olivi e terrazze per poi affrontare l’ultimo tratto nel bosco e arrivare…
a Sant’Apollinare, a cui giunge una strada asfaltata. La Chiesa di Sant’Apollinare, già nominata in un rogito del 1195, ha mantenuto la sua semplice ed austera struttura di pieve romanica, nonostante i corpi aggiunti posteriormente. Si sale a destra, lasciando la pista sterrata per Sant’Uberto e prendendo a destra l’ampia via che si dirige verso alcune case.
Davvero seducente, in questo tratto, il panorama sul mare. Dopo poche decine di metri si è ad un importante bivio. Si lascia la pista a destra e si continua dritti.
L’ampia mulattiera, vero e proprio balcone naturale su questo tratto di costa, passa sopra la Torre saracena di Polanesi, punto nevralgico del sistema difensivo che, fin dall’Alto Medioevo, fronteggiava le minacce nemiche provenienti dal mare, avvistando le navi dei pirati barbareschi salpate dalle coste del Nord Africa, Algeria e Tunisia in particolare.
Si giunge così in località La Costa, grande versante terrazzato, dove si trascura una scalinata che scende a destra e si continua in quota arrivando ad una dorsale da cui appare buona parte della costa ligure verso il Promontorio di Portofino, con Recco in primo piano e poi Camogli.
Si continua in costa, sempre accompagnati dai panorami sul mare sia verso il Promontorio di Portofino sia verso ….il tratto di costa di Polanesi. Dopo un paio di tornanti in discesa, si prosegue nel bosco, ora in leggera salita, fino ad arrivare…..al fresco impluvio principale, nei pressi del quale vi è un antico fontanile.
Si continua sempre sulla traccia più importante ma, poco dopo, si è ad un bivio. Ora va trascurata la pista a destra, per Ageno, per continuare dritti e passare sul retro di alcune case. La pista, una bella mulattiera ampia e facile da seguire sale fino ad una aperta dorsale. Qui, si trascura il sentiero che sale a sinistra per continuare sulla via dritta incontrando, poco dopo, un’ampia traccia che taglia la mulattiera. Anche questa va trascurata, continuando dritti, in costa.
Il percorso scorre ora quasi in piano fino a raggiungere la mulattiera per la chiesetta dell’Ascensione ad una quota di 300 metri che sovrasta l’abitato di Faveto. L’edificio, però, resta a destra, più in basso. Vale comunque la pena raggiungerlo, con una breve discesa di pochi minuti. Tornati ora al bivio di quota 300 metri… si sale dritti, nel bosco, (segnavia rossi FIE), seguendo un’antica mulattiera fiancheggiata da muretti in pietra.
Quando si esce dal bosco appare la dorsale da raggiungere, su cui svetta l’alta Croce di Sant’Uberto. Raggiunto un crinale secondario si percorre un tratto più aperto e, senza possibilità di errore, si confluisce infine sul crinale principale, quello che scende dal Monte Castelletto e dalle Case Cornua. Il percorso è ora piacevole e pressoché pianeggiante: ignorato il bivio sulla sinistra per Capreno, poco dopo abbandoniamo il crinale per scendere sotto costa sul lato opposto, seguendo le indicazioni per Sori (segnavia cerchio rosso barrato).
Il sentiero perde leggermente quota con splendide viste sia in direzione della riviera, sia verso l’entroterra dove sono facilmente riconoscibili le più evidenti sagome dei monti Caucaso e Ramaceto. Si inizia a scendere con più decisione tra la vegetazione arbustiva, fino ad un punto in cui, un po’ a sorpresa, il sentiero – fino a quel punto panoramico – svolta a sinistra, transitando nei pressi di un casone, e continuando a scendere su una vecchia mulattiera nel bosco, accompagnata da muretti in pietra.
Dopo un primo tratto asfaltato, inizia finalmente una evidente sterrata che seguiamo per un tratto, prima di abbandonarla a favore di un piccolo sentierino che si stacca sulla destra, e in direzione del quale proseguono le segnalazioni. Su una sottile traccia lastricata, ci si inerpica tra i ruderi di un antico muro in pietra, che il percorso costeggia per un buon tratto, prima di piegare verso sinistra e salire con alcuni stretti tornanti su un versante piuttosto ripido.
Oltrepassato il primo e più faticoso tratto, il percorso modera le proprie pendenze e avanza quasi in piano una volta raggiunto il crinale: di fronte a noi, ecco comparire il Redentore di Sant’Uberto, che spunta tra gli alberi a dominare il paesaggio. Raggiungiamo un tratto aperto, dove finalmente gli alberi diradano lasciando intravedere un bello scorcio del promontorio di Punta Chiappa e della riviera da Recco a Camogli e, in direzione opposta, da Sori fino al Monte Fasce. Il sentiero riprende a salire leggermente, avviandosi deciso verso la statua di fronte a noi, che raggiungiamo senza ulteriore fatica e della quale possiamo ammirare, una volta giunti ai suoi piedi, la grandiosa imponenza.
Ecco che si raggiunge la chiesetta di Sant’Uberto, posta su un aperto e panoramico spiazzo dominata da un grande pilone votivo. Ora si inizia a scendere sempre lungo il crinale principale, utilizzando un ampio sentiero segnalato. Questo perde quota lungo i boscosi fianchi di Poggio Montone ed infine confluisce su una stradella.
Tra crose e scalette, si scende incrociando più volte l’asfalto e perdendo quota sempre più seguendo sempre il segnavia cerchio rosso barrato, attraverso via Faveto e salita Faveto. Raggiunto il bivio per Ageno, lo si imbocca tornando per un tratto a salire, quindi abbandoniamo l’asfalto per tenerci a sinistra su una viuzza a tratti sterrata che, con splendide viste sui sottostanti tetti di Recco e sul promontorio di Punta Chiappa, ci accompagna fino alla caratteristica Chiesa di Megli, situata in splendida posizione panoramica sulla riviera.
Si svolta a sinistra e, in breve, si chiude l’anello tornando a Sant’Apollinare e da qui, con il viaggio dell’andata, a Sori.
A volte si percorrono strade che il cuore non capisce
e la mente non sa spiegare.
Ma l’anima lo sa.
Esistono strade piccole, strette, riservate, nascoste. Quelle che notano in pochi. Quelle che non urlano per rendersi visibili. Sono fatte di passi semplici, muri scrostati, colori segreti e luminosi. E da qualche parte c’è sempre un’emozione che aspetta di essere raccontata.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Luca, il nuovo film Disney Pixar sbarca in Liguria. Anzi, per la prima volta, Pixar ambienta un film interamente in Italia. Luca racconta di un’incredibile estate, vista attraverso gli occhi di un mostro marino di nome Luca, nella città di mare italiana Portorosso, ispirata alle Cinque Terre e immersa nelle atmosfere tipiche della Liguria.
La Liguria e i suoi luoghi, non a caso, hanno accompagnato l’infanzia del genovese Enrico Casarosa, regista del film e il cui cortometraggio La Luna era stato candidato all‘Academy Award. Si è trasferito a New York all’età di vent’anni ed è il primo italiano a dirigere un film Pixar. Il trailer di Luca rimanda tanti particolari che riportano a Genova e alla Liguria: la vespa, il pesto, il gattone di Boccadasse Seppia, tuffi nel mare azzurro delle Cinque Terre. E, ancora, si riconoscono creuze, piazzette tipiche dei borghi sul mare, scorci inconfondibili della Liguria, le trenette al pesto, i pescatori e la focaccia. Nel trailer è presente il Bar Pittaluga (nelle foto c’era anche una focacceria), al suo fianco c’è la Latteria San Giorgio, che ricorda il simbolo di Genova. Poi, una grotta sul mare e gli immancabili gabbiani, ad accompagnare le avventura di Luca.
Luca è una storia tutta italiana: i due protagonisti, Alberto e Luca, sono due amici adolescenti, che, nel cuore di un paesino della Liguria, nascondono uno strano e bizzarro segreto: sono infatti due tritoni. Di recente un comunicato stampa ci ha rivelato l’intero cast vocale del titolo, composto da nomi noti dello star system, ma non solo: ce n’è per tutti i gusti! Cominciamo con i doppiatori che partecipano sia alla versione originale del film che a quella italiana: abbiamo Luca Argentero (Lorenzo Paguro), Giacomo Gianniotti (Giacomo), Marina Massironi (Signora Marsigliese) e Saverio Raimondo (Ercole Visconti). Sono presenti, inoltre, a doppiare il titolo anche: Fabio Fazio (Don Eugenio, Prete di Portorosso), Orietta Berti (Concetta), Luciana Litizzetto (Pinuccia Aragosta), Alberto Vannini (Luca), Luca Tesei (Alberto), Sara Ciocca (Giulia), Alberto, il migliore amico d’infanzia di Casarosa (Pescatore), Luciano Spinelli (Contadino di mare) e Nick Pescetto (Contadino di mare).
Luca porta nei cinema degli Stati Uniti d’America un po’ di riviera ligure, in versione cartoon. Uscirà nei cinema americani il 18 giugno 2021. In Italia, il film non uscirà nei cinema, ma sarà disponibile solo sulla piattaforma Disney+ a partire dalla stessa data.
In vista dell’uscita del nuovo film Disney e Pixar Luca, con la Liguria di Levante protagonista, The Walt Disney Company Italia e MediCinema Italia si uniscono a favore della missione della Organizzazione no profit: portare la cinematerapia negli ospedali e nei luoghi di cura. E, proprio per questo, che MediCinema, con il supporto di Disney Italia, sta organizzando proprio in Liguria alcune proiezioni speciali del film per raccogliere fondi e ampliare le iniziative di cinematerapia a Genova e nel territorio, proseguendo la collaborazione con l’Istituto Gaslini.
Dove vedere in anteprima mondiale il film Disney-Pixar Luca? Le proiezioni si tengono all‘Acquario di Genova domenica 13, lunedì 14 e martedì 15 giugno 2021, con accesso riservato ai soli donatori che hanno partecipato alla raccolta fondi. Le donazioni possono essere effettuate dal sito MediCinema.
Le proiezioni di Luca hanno come scopo il sostegno alle attività di Medicinema che sviluppa progetti terapeutici costruendo sale cinematografiche nelle strutture ospedaliere e case di cura italiane per offrire la terapia del sollievo attraverso il cinema. Sale Medicinema sono già presenti al Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di MiIano e al Policlinico Gemelli di Roma. Ora, anche grazie alla raccolta di questi fondi, verranno sviluppate nuove iniziative anche a Genova.
MediCinema è partner charity di lunga data di Disney Italia e, ormai da diversi anni, promuovono insieme la terapia del sollievo attraverso il cinema portando la magia delle storie e dei personaggi Disney in ospedale.
Un sogno animato i cui protagonisti sono la Liguria e… tante storie da raccontare …
Quando i sogni e le speranze si fan veri, nella realtà come nella fantasia, beh, allora, fate largo ai sognatori!
…
I sogni son desideri di felicità
Nel sonno non hai pensieri
Li esprimi con sincerità
Se hai fede chissà che un giorno
La sorte non ti arriderà
Tu sogna e spera fermamente
Dimentica il presente
E il sogno realtà diverrà!
(Cenerentola)
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
San Martino di Licciorno e… i luoghi magici del cuore. C’è un posto in Liguria dove il cuore batte forte, dove si rimane senza fiato grazie all’impatto emozionale del contorno naturale: è la Chiesa di San Martino del Licciorno. Ma, ai piedi delle Rocche di Borzone, le sorprese sono molte. Un itinerario magico tra cascate, sorgenti sanguigne taumaturgiche, ruderi misteriosi come rovine Maya, volti scolpiti nella pietra.
Siamo nel cuore della Valle Stura, una vallata dell’Appennino ligure, attraversata dal torrente omonimo, che nasce presso i Piani di Praglia e confluisce nell’Orba all’altezza di Ovada.
Oggi vi porto in Val Penna, all’interno del Parco dell’Aveto a pochi chilometri da Lavagna. Usciti al casello di Lavagna dell’autostrada A12 Genova –Livorno, si prosegue in direzione Carasco per poi imboccare la provinciale che porta in direzione di Borzonasca. Dopo circa 10 km, appena entrati nel paese, si prende l’incrocio sulla destra per Prato Sopralacroce (provinciale n°49) e, quindi, si prosegue per altri 9 km.
Si arriva, facilmente a Prato Sopralacroce, il paese delle meraviglie, attraverso, però, una strada dalle numerose curve. Arrivati nella piazza (riconoscibile per un monumento di tubi Rossi e l’osteria ), si prosegue per 2,5 km lungo la strada provinciale.
Lungo il sentiero che collega le frazioni di Vallepiana e Zolezzi, in prossimità della confluenza tra i torrenti Penna e Borzone, si incontrano i ruderi della chiesa medievale di San Martino di Licciorno, toponimo che sembra richiamare la presenza di boschi di lecci, mangiati dal tempo e dalla vegetazione. Brillano sulla cima piccole tegole di ardesia. Al di sotto, si svelano, appunto, i ruderi della chiesa, immersi nel bosco e che ci porta in un luogo da favola avvolto nel mistero.
Misteriosa e affascinante anche la storia della chiesa. Eretta dai monaci Benedettini dell’Abbazia di Borzone durante l’anno 1000, i ruderi della chiesa di San Martino di Licciorno sono un luogo unico e ricco di fascino nell’entroterra ligure. La muratura superstite sembra appartenere al XVII – XVIII secolo, ma la planimetria potrebbe essere medievale, anche IV secolo. Pare che un tempo ci fosse un nucleo abitato nei pressi, poi scomparso. San Martino fu abbandonata a metà dell’’800. Qui, passava la via del sale e la chiesa, probabilmente, fu costruita per offrire ospitalità a viandanti e pellegrini.
L’elemento di maggior spicco è il campanile, che svetta tra la vegetazione a sormontare i resti dell’abside e delle mura perimetrali, come un fantasma del passato, immobile e silenzioso. La tradizione popolare ricorda San Martino come la più antica parrocchia della valle, in seguito sostituita dalla chiesa di Santa Maria Assunta di Prato, alla quale risulta storicamente annessa almeno dal 1498. L’unico arredo superstite di San Martino di Licciorno, e qui conservato, è un dipinto che rappresenta i santi Lorenzo, Martino, Rocco, Sebastiano, Antonio Abate che intercedono presso la Vergine e la Santissima Trinità.
La chiesa nel bosco, risalente al 1298, aggrovigliata dagli alberi, avvolta dal mistero, non è l’unico luogo ad essere carico di energia: c’è anche la misteriosa Abbazia di Sant’Andrea di Borzone, dove sembra quasi di udire l’eco dei canti gregoriani, nel comune di Borzonasca, a 355 metri s.l.m. Il complesso religioso dall’eccezionale valore storico, riferibile al periodo romanico e tardo-romanico, è probabile che sia nato per opera dei monaci di Bobbio, preceduti nella loro missione evangelizzatrice dai fratelli di San Colombano. Prima di seguire la pista che porta a Zolezzi, borgo del XVI – XVII secolo, si abbraccia l’unico cipresso ultracentenario sopravvissuto, silenzioso testimone di secoli di storia insieme alla vicina abbazia. Un luogo solitario e suggestivo.
Proseguendo la passeggiata, attraverserete, sempre al fresco e all’ombra, il bosco, scendendo prima e risalendo poi verso la piccola frazione di Zolezzi.
Da qui, si trovano, via via, in successione, diversi ciliegi che, in stagione, vi attireranno col loro prezioso carico di frutti che propendono su una strada pubblica…
Proseguite lungo la strada asfaltata, che è completamente pianeggiante, per circa 1 chilometro. Anche in questo tratto sono presenti alberi da frutto mentre a bordo strada, faranno capolino, qua e là, e in stagione, anche le succose fragoline di bosco che possono essere tranquillamente raccolte.
Poco distante, presso il borgo di Zolezzi, in località Rocche di Borzone, e sotto la rupe, c’è un’enigmatica scultura si trova il famoso volto rupestre di Gesù Cristo, una delle sculture megalitiche più grandi d’Europa.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Enchantè! Je suis Marc Peillon…Ma davvero la musica ha il potere di unire in un modo così unico e magico? C’è un detto latino che parla per tutti. “Vis unita fortior. – La forza unita è più forte”. Personalmente, la musica mi ha “cresciuta” così, a sentirmi unita con i miei “pezzi” sparsi, mi ha insegnato a farne un collante naturale. Non nei numeri, ma nell’unità sta la nostra grande forza. E, la musica, lo sa bene…
Provengo da una formazione musicale classica, che mi ha accompagnato per anni e anni, per poi interrompersi bruscamente, ma questa è un’altra storia. Così che, dieci anni dopo e, per motivi di lavoro, è tornata – la classica – nella mia vita anche se, di fatto, non aveva mai traslocato, non dal cuore. Vivevo a Modena, dove sono nata e ho vissuto per 35 anni. Sono stati bei momenti e …”i migliori anni della mia vita”.
In seguito, a Genova, la mia terra d’adozione, ho iniziato a frequentare l’ambiente cantautorale e jazzistico: davvero un altro mondo, più ruvido, più matrigno, meno romantico, diciamo. Spesso, ascoltavo i discorsi che nascevano tra i jazzisti e, con grande rammarico, perdevo, via via, un po’ di incanto, di poesia, di leggerezza perché tra una critica e l’altra verso quel jazzista o tal altro, a farne le spese era sempre e solo la musica. Sì, perché dei nomi te ne scordi, presto, ma le note e i colori della musica ti rimangono sotto pelle…
La musica è una macchina che alcuni usano per entrare in un altro mondo, altri per danzare, altri per trovare la pace e altri per sentire che sapore hanno le ferite.
Poi, succede che vengo invitata ad un concerto ad Ospedaletti, una piccola cittadina in provincia di Imperia, nell’estremo ponente ligure, disposta ad anfiteatro sulle pendici soprastanti l’insenatura. Ed è proprio l’Auditorium Comunale la cornice che mi accoglie per quella indimenticabile serata musicale. Lì, finalmente, respiro un’aria familiare, intima, che riconosco appartenermi, trovo un gruppo di musicisti, sì, ma anche amici fraterni, si parla, si raccontano storie – le loro -, si torna indietro nel tempo, ma unità, complicità e magia sovrastano la scena e mi lasciano quella sensazione di “tornare a casa”.
Il gruppo è formato dal pianista Alessandro Collina, dal contrabbassista Marc Peillon e dal batterista Rodolfo Cervetto, ospite Philippe Petrucciani, uno dei maestri indiscussi della chitarra jazz e fratello del geniale Michel, pianista jazz tra i più apprezzati di tutti i tempi scomparso prematuramente. Un genio umano e sovrumano.
E come dimenticarsi di quell’incontro con Marc, un “ragazzo” così elegante, allegro e pieno di vita che si presenta così: “Enchantè! Je suis Marc Peillon…”. Di lui ricordo tutto, ma una cosa su tutte: quella “joie de vivre” che ti fa toccare il cielo con un dito. Prima della sua ‘ricca’ biografia, arrivava il suo sorriso disarmante, la gentilezza, l’allegria, l’eccentricità della sua vita a colori. Insomma, ad essere triste, con lui, c’era da vergognarsi. Eh già, non è così difficile riconoscere qualcosa di prezioso, quando lo incontri. Non brilla, riempie. La sensazione che mi rimandava lui era così tattile e netta. Lui sapeva, davvero, leggere oltre le righe, oltre le note, oltre i colori, lui non aveva bisogno di capire, di chiedere. No, lui sentiva con gli occhi, con il cuore, nel silenzio e con l’ascolto: erano i suoi principali strumenti da affiancare al contrabbasso. E, quando un musicista cerca questo “contatto profondo” nel pubblico, in chi lo ascolta, allora, arriva prima la persona che la sua arte. Lui ci riusciva.
Con loro ci sono anche due fotografi, che percepisco, da subito, essere parte integrante di quella famiglia: Umberto Germinale, che lì era di casa, e Lello Carriere, sanremese ma, da anni, trasferito a Lanzarote. L’armonia e il divertimento sfociano in una bellissima serata piena di racconti e note. Quelle serate destinate, immediatamente, a lasciarti un segno e a non esser più dimenticate. Erano davvero – con loro – una sorta di “5 a.m.” in un tutt’uno che parla di amicizia, tra musica e immagini sempre evocative perché scattate, prima di tutto, con l’otturatore del cuore.
Mi colpisce moltissimo la fisicità ‘maschile’ con cui si abbracciano e che parla di un legame molto profondo, “antico” e ti rimbalza sensazioni forti, fortissime.
Te ne accorgi subito e l’attenzione si sposta su Marc che, con il suo modo di porsi, è decisamente un catalizzatore. Era l’estate del 2009. Nasce un amicizia meravigliosa che purtroppo si interrompe bruscamente con una violenta notizia, arrivata via messaggio, il 16 maggio 2020, in pieno lockdown…
Quella data si porta via tanta ricchezza umana, tanta vita e racconti di vite, sogni ancora da realizzare e … qualche promessa. Il trio “On air” cessa di esistere.
La cosa mi stupisce perché nel jazz solitamente c’è una grande rotazione, al di là dei rapporti di amicizia, ma Rodolfo (ndr, Rudy) e Alessandro (ndr, Ale) decidono di rendere l’ultimo omaggio ad una persona che era molto di più di un amico. Tra loro si era, immediatamente, instaurato un modo di viversi intenso, pelle su pelle, cuore-cuore e con una complicità eccezionale.
Esce così in rete un loro live del 2012 con book fotografico di Umberto Germinale, della Phocus Agency. Proprio il noto fotografo di Ospedaletti e amico fraterno nonché direttore artistico del festival “Jazz sotto le Stelle”.
Partiamo dall’inizio, facciamo un passo indietro, ai 5 a.m. Il nome del loro primo gruppo lo aveva scelto Marc: 5 perché erano in 5. E, ancora, 5 come le iniziali dei loro nomi: A per Andy e M per Mike. E, non solo, 5 a.m. come le cinque del mattino: “la sveglia che avevamo messo dopo un concerto”.
Ma per raccontare questo concerto, che è anche stato l’ultimo di questa formazione, bisogna andare ancora un po’ più indietro e coinvolgere, da vicino, Alessandro e Rudy che mi raccontano come nasce questa storia.
Ale incontra Marc a Nizza. Era il 1998 ma, nonostante la stima reciproca, non collaboreranno fino al 2008, per un concerto al Borgo Club, che li vede suonare tutti e tre insieme nello storico Jazz Club genovese di via Vernazza, che ha chiuso qualche anno fa.
Rudy, invece, incontra Alessandro nel 2000 e la loro collaborazione è, da subito, molto assidua ma, ancora una volta, l’incontro con Marc diventa determinante per maturare ancora. Insieme.
Il primo concerto è del 2008, ad Alassio, “Città degli Innamorati” e famosa per il suo Muretto, uno dei simboli della cittadina ligure, il cui concorso di bellezza nacque nel 1953 e continuò fino al 2014. Del resto, ad Alassio, nel Savonese, tutto parla d’amore. Basti pensare alle numerose opere d’arte presenti nella cittadina: gli Innamorati in bronzo di Eros Pellini, Les amoureux di Reymond Peynet, le Cicogne di acciaio di Umberto Mastroianni e i romantici Pesciolini che si baciano ideati da Mario Berrino, il promotore delle attività legate al Muretto. Insomma, la città degli innamorati a tutti gli effetti, con tanto di specialità tipica dal nome davvero lovely: i Baci di Alassio.
E, proprio in questa cornice così romantica, inizia la loro frequentazione. Suonano spesso insieme e nascono, di fatto, i 5 a.m. Il gruppo si completa di due musicisti americani: il trombettista jazz Andy Gravish e dal sax tenore Michael (ndr, Mike) Campagna, uno tra i più originali nuovi talenti nel jazz di oggi, che ha condiviso palcoscenici con una vasta gamma di musicisti leggendari come Charlie Haden, Maria Schneider, Bobby Short, The Toshiko Akiyoshi Big Band e The Duke Ellington Orchestra, ma l’elenco continua. Il sound del gruppo ricorda i gruppi hard bop degli anni ’60.
Le composizioni sono tutte originali e nel 2009 registrano il primo disco. Dopo tanti anni insieme, e tanti tour, il gruppo è costretto a sciogliersi perché Andy, che per un certo periodo ha vissuto a Roma, torna a New York e Mike a Miami. E, come spesso succede, nel mondo dell’arte e della cultura, le spese per portare avanti il progetto diventano insostenibili e, nonostante il repertorio pronto per un nuovo disco, tutto sfuma. Ma resta una registrazione dell’ultimo concerto. Negli anni successivi, però, Marc, tenace e determinato com’è, proverà a convincere tutti a stampare il disco, ma invano. Resta un “sogno nel cassetto”. Il trio non si ferma, continua a “macinare” concerti, anche con altri artisti, ed è così che la collaborazione con il trombettista e compositore torinese Fabrizio Bosso porta ad un altro disco.
Un altro disco, “Michel On Air”, dedicato a Michel Petrucciani. La musica vola alto e, ormai, il sodalizio a tre è consolidato, musicalmente, con una propria identità sonora tanto che l’etichetta Egea Records propone di accelerare la comunicazione in questa direzione. Nasce così il trio “On Air”, il disco ha un successo inaspettato, soprattutto in America.
Il trio On Air, che ha al suo attivo 4 cd prodotti da Egea, uno dei quali dedicato a Michel che nel 2014 raggiunge il 28esimo posto nella classifica jazz statunitense. Il linguaggio di Fabrizio Bosso va, così, ad incastrarsi alla perfezione nelle sonorità del trio permettendo alle quattro personalità di esprimersi in piena libertà e ascolto dell’altro dando vita ad un mondo sonoro in continuo movimento che passa da ambienti rarefatti ad una pulsazione tipica della black music.
Il successo ha dell’incredibile come i risultati perché l’etichetta è canadese, nel gruppo non ci sono musicisti americani e le musiche sono dei fratelli Petrucciani. Anche DownBeat, la rivista statunitense dedicata alla musica jazz, nata a Chicago nel 1935, recensisce il disco dando 4 stelle su 5. E, non è tutto, ci sarebbe anche l’opportunità di fare un tour negli States ma, per ragioni manageriali, questo sogno non si realizza.
Nel 2015, poi, si torna in studio di registrazione, lo Zerodieci Studio del musicista, produttore e fonico genovese Roberto Vigo. Questa volta il trio decide di rendere omaggio alle canzoni italiane famose in Francia e a quelle francesi famose in Italia. Ci vuole un suono graffiante e malinconico così la scelta cade su Max Ionata, uno dei maggiori sassofonisti italiani della scena jazz contemporanea che, in pochi anni, ha conquistato l’approvazione di critica e pubblico riscuotendo sempre grandi successi in Italia e all’estero.
Il 2016 è la volta delle musiche di Thelonious Monk, pianista e compositore statunitense, un gigante indimenticato del jazz. Alessandro Collina, che ha suonato con Paul Jeffrey, ultimo sassofonista di Theloniouis, mi racconta che durante i loro tanti viaggi si parlava spesso di come il suono di un sax alto sarebbe stato perfetto per quei pezzi, sebbene Monk usasse sempre tenoristi. Ecco che si pensa a Mattia Cigalini, uno dei più affermati saxofonisti italiani, nonostante la giovane età. Una decisione felice, il disco funziona e il progetto andrà avanti con alcuni piccoli tour.
Dal 2017, il trio continua a lavorare insieme e registrano due dischi per il trombettista Marco Vezzoso. Nel 2018, prende l’avvio la collaborazione con Philippe Petrucciani (che già suonava con Rudy e Alessandro ) e si inizia a lavorare per un nuovo progetto, ma due implacabili tsunami ne interrompono la continuità: il fermo imposto dalla Covid-19 e la scomparsa di Marc.
Marc Peillon nasce a Nizza nel 1959, si diploma al Conservatorio nizzardo per poi insegnare basso e contrabbasso al Conservatorio di Antibes e ricoprire il ruolo di vice direttore di quello di Beaulieu sur Mer. Di rilievo il suo contributo nell’associazione “Pepita Musiques et Cultures“ come direttore artistico e ideatore dei festival “Saint Jazz Cap Ferrat”, “Cap Jazz” e più recentemente “Jazz Entrevoux” a Entrevaux con il supporto di Philippe Déjardin, suo braccio destro.
Un malore improvviso e assassino, un ictus, se l’è portato via, di domenica, a soli 61 anni di età. La notizia fa eco, il mondo della musica jazz piange un grande personaggio, protagonista assoluto della scena jazzistica della Costa Azzurra e il suo ricordo è, ancora oggi, più vivo che mai.
Né Rudy né Alessandro hanno più alcuna voglia di “andare avanti”, ma non per la mancanza di musicisti che possano sostituire Marc. No, no, semplicemente perché quello che non si può sostituire è il rapporto umano con-diviso in anni di viaggi in auto, sveglie, pernottamenti in hotel alle 5 del mattino, in aeroporti, in autogrill, di bevute, di scambi di opinioni, di nottate passate nella stessa camera “per ridurre le spese”, a confidarsi dei tanti problemi, ma tutto affrontato, sempre, insieme. Anche le vicende personali. Eh, sì, perché On Air era una famiglia. Ed è rimasta tale nel cuore. I ricordi sono tanti, alcuni dei quali me li raccontano, tra sorrisi e malinconia, soffocando in gola le lacrime, rendendomi partecipe privilegiata di tanta intimità e passione, in tutto e per tutto.
“Di notte – racconta Alessandro – gli piaceva guidare, nonostante la stanchezza, che sembrava non avvertire mai. La notte la viveva in modo totalizzante. L’altra cosa geniale – di lui – durante i nostri tanti viaggi, guardando il cielo, le stelle, gli veniva l’ispirazione per tanti progetti. E mi costringeva a registrare tutto sul cellulare per non perdere la vena creativa e fissare l’attimo. Poi, il sorriso, le sue risate, la sua energia inesauribile: vissuti davvero irrepetibili”…
“Di Marc – ricorda Rudy – mi colpì, da subito, la sua diplomazia e la capacità di fare squadra, la voglia di superare le avversità senza mai alzare i toni. Anche la fantasia faceva parte delle sue caratteristiche principali, aveva sempre idee, forse anche troppe; infatti, beh, alle volte, sul palco si lasciava andare e, diciamocelo (ndr, sorride) Ale ed io faticavamo un sacco per “tenere in piedi la baracca”. Alla fine del concerto, gli facevamo notare le sue “licenze poetiche “, eppure “ci facevamo un sacco di risate”…
Il ricordo più intenso che ho – di Marc – è ad Ospedaletti, quando lo conobbi, su una panchina, al tramonto inoltrato aspettando l’inizio del concerto, a parlare di vita, di filosofia di vita, e del senso della vita, con quel suo sorriso capace, sempre, di convincerti, oltre ogni dubbio, con il mio debole francese parlato al quale lui rispondeva con un inglese italianizzato. Parlammo di musica, del ritmo della musica, di cercare lo stesso ritmo anche nella vita, nei legami che ci mettono più a nudo. Mi disse che lui non scindeva mai, ma viveva tutto “in musica”: ascoltava, leggeva e viveva al ritmo della musica. Gli piacque, da subito, leggermi, la mia scrittura, le recensioni musicali che scrivevo alla fine di ogni concerto. Poi, fissandomi dritto negli occhi, serissimo e fermo, alla penombra, come un cambio di scena destabilizzante, mi paralizzò con tanta ricchezza responsabilizzante: “Je lis au-delà des mots. Votre écriture est musicale, sonore et passionnée. N’arrêtez jamais de chercher ce rythme: pouvez-vous me le promettre?” Capivo bene il francese, sebbene lo parlassi peggio, e mi fu molto chiaro il messaggio, sebbene facesse ormai buio, ma gli occhi non avevamo bisogno di luce ‘esterna’: “Leggo oltre le parole. La tua scrittura è musicale, sonora e appassionata. Non smettere mai di ricercare quel ritmo: me lo prometti?”.
E, allora, dopo un anno, ti dovevo una promessa “segreta”, Marc. Non ho smesso, mai, di cercare quel ritmo, l’ho perso, però, più di una volta, e mi succede spesso, ma riascoltando quell’ultimo concerto del 2012, che grazie ad Alessandro ho intercettato sui social, e rivendendo tanta e tale vita, gioia e amore in tutte queste foto nel rigoroso bianco e nero di Umberto Germinale, degli attimi di vita dei 5 a.m., ho voluto mantenere la mia promessa. Come? Raccontandovi un pezzo della sua storia, della loro storia, in punta di piedi e umilmente, perché lui è stato molte cose, molte musiche, tante vite. Un grande e carismatico comunicatore di suoni.
E…questo viaggio nel ricordo di chi è Marc, di chi era, non sarebbe stato possibile senza gli altri “pezzi” viventi di Marc Peillon: Alessandro Collina e Rodolfo Cervetto.
Nei loro dischi c’è tanto di quella vita con-divisa e, un orecchio attento e occhi spalancanti all’incanto, sapranno sicuramente cogliere quella magia e quel sentire di “tante storie da raccontare”. E, allora, come è successo a me, “per caso”, vi consiglio di ri-ascoltare quel concerto Live at Saint Jazz Cap Ferrat del 12/08/2012, uscito all’indomani della scomparsa di Marc, il 17 maggio 2020, e capirete perché, come dicono Alessandro e Rudy, “anche questa volta Marc aveva ragione”.
È necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme.
Marc è nel cuore e come diceva lui “si tu n’es pas silencieux tu ne peux écouter”. Il silenzio della notte, delle tanti notti insieme ai suoi compagni di “viaggi“, a mordere la vita, a raccontarsi le loro vite. Alle cinque del mattino, anno dopo anno, per quasi vent’anni. E, proprio nel silenzio, nella notte o, magari, alle 5 del mattino (?!…), ironia della sorte, Marc ci ha lasciati, improvvisamente, senza far rumore, per l’ultimo “coup de théâtre“…
I momenti più belli della vita sono quelli che, uniti insieme, formano un percorso.
Beh, Marc, non volevo mettermi fretta, però la parola data va mantenuta entro questa vita – come scherzammo sulla panchina -, ricordi?
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il Castello della Pietra e il Sentiero dei Castellani. Sulla provinciale che s’incunea nella gola scavata dal torrente Vobbia, all’interno del Parco dell’Antola si può scorgere un capolavoro di architettura castellana ligure: il Castello della Pietra.
Il millenario Castello della Pietra è un gioiello dell’entroterra genovese, non lontano dalla città, situato in una pittoresca e scenografica posizione elevata, mirabilmente incastonato tra due speroni di conglomerato roccioso che ne costituiscono i bastioni naturali. La struttura si nota dalla strada che costeggia il torrente Vobbia, risalendone il corso da Isola del Cantone. Un buon punto di riferimento per fare il percorso ad anello Torre (Vobbia) – Sentiero dei Castellani – Castello della Pietra, – Strada Provinciale per Vobbia – Torre (Vobbia).
Come arrivare al Castello della Pietra? Occorre uscire al casello di Isola del Cantone dell’autostrada A7 Genova – Serravalle. Seguire le indicazioni per Vobbia. Dopo qualche chilometro, a sinistra, troverete chiare le indicazioni del punto di partenza del sentiero e un piccolo posteggio. Si può percorrere il sentiero breve, che parte dalla provinciale tra Vobbia e Isola del Cantone e dura circa 20 minuti. Un altro modo per arrivare al castello è quello di raggiungere Vobbia, e in particolare la località Torre (attraverso una strada in salita che si apra alla vostra sinistra, poco prima dell’ingresso in paese) e, da lì, imboccare il Sentiero dei Castellani. In circa un’ora e trenta di cammino (massimo due), raggiungerete il Castello.
Il sentiero è piuttosto lungo (circa 1 ora e 30 di cammino e 4 km di lunghezza), ma non particolarmente difficoltoso e molto panoramico in alcuni tratti. Per chi proviene da Genova, il sentiero si raggiunge percorrendo l’autostrada A7 Genova-Milano, uscire a Busalla, poi imboccare la strada provinciale 9 per Crocefieschi. La provinciale che giunge a Vobbia segue uno spettacolare canyon; superato il ponte sul torrente Vallenzona, si raggiunge in breve località Torre. In treno, dalla stazione ferroviaria di Busalla, coincidenza con il servizio extraurbano per Vobbia.
E’ un antico percorso medievale all’interno del cosiddetto “Conglomerato di Vobbia” nel quale sono ricostruite, passo dopo passo, la storia e le tradizionali pratiche della gente della valle. Il sentiero si snoda, infatti, lungo il canyon del torrente Vobbia, fra i calcari del Monte Antola e il conglomerato oligocenico, fra le antiche testimonianze della produzione del carbone da legna e l’utilizzo del castagno. L’ascesa non è particolarmente lunga, ma è piuttosto ripida. Se fatta in autunno, l’occasione può anche essere buona per una copiosa raccolta di castagne nei boschi della zona (la raccolta funghi, invece, è regolamentata). Molto bello il tratto finale, su passerelle in legno e metallo letteralmente “appese” all’enorme torrione roccioso che fa da supporto all’ardito castello.
Si può, poi, discendere attraverso il sentiero che porta sulla provinciale e, percorrendo circa 2,5 km sulla strada asfaltata, tornare a località Torre, completando così l’anello.
Il sentiero prevede 10 punti che parlano delle tradizione e delle peculiarità del luogo:
1. Il Poggetto su cui con ogni probabilità sorgeva una torre di avvistamento al servizio del castello;
2. La forra – profonda gola con affioramenti di argilloscisti – e flora rupestre;
3. La civiltà della castagna: ruderi di un secchereccio;
4. La produzione del carbone di legna: “piazzola da carbone”;
5. Panorama sul canyon della Val Vobbia (da non perdere);
6. Calcari del monte Antola e conglomerati di Savignone;
7. Il bosco;
8. Belvedere sul castello;
9. La zona umida;
10. Area di sosta attrezzata. (utile per una sosta o per un picnic nel verde)
Il Castello della Pietra, gioiello del Parco dell’Antola, è un esempio davvero unico di architettura medievale in cui l’elemento naturale si fonde magistralmente all’opera dell’uomo e lo completa. Anche se le mura si trovano strette tra due grandi torrioni di puddinga, l’appellativo dell’architettura difensiva medioevale deriva dal nome della famiglia della Pietra, che ne fu proprietaria fino al 1518, anno in cui il maniero passò agli Adorno fino ad essere abbandonato a seguito del trattato di Campoformio (1797) che sanciva la fine dell’epoca feudale. L’imprendibile roccaforte rappresenta il più originale dei manieri che durante l’epoca dei feudi imperiali dominavano le valli risalenti verso il Monte Antola.
Il castello, dal 1993, è visitabile negli ambienti interni grazie a interventi di recupero: cisterne, segrete, camini, scale, posti di guardia, camminamenti di ronda e l’ampia sala centrale che occasionalmente diventa protagonista di rappresentazioni teatrali, concerti, sagre e mostre. Nel 2014, si sono svolti lavori straordinari lungo il Sentiero dei Castellani e alla struttura con la temporanea chiusura del sito al pubblico. Questo castello nel parco dell’Antola si articola in due corpi impostati a quote differenti. Caratteristica è la cisterna scavata nella roccia ai piedi del torrione (sperone roccioso naturale) ovest, in cui erano convogliate le acque piovane dei tetti, anche per mezzo di canali di raccolta scavati nella roccia, ancora in parte visibili. La cisterna è accanto al salone centrale sotto il cui pavimento è presente una seconda cisterna.
Una bella notizia per gli amanti del trekking. A partire dal 15 maggio 2021 ha riaperto i battenti il Castello della Pietra di Vobbia, millenaria roccaforte che domina la valle, nel Parco Naturale Regionale dell’Antola. E’ nuovamente visitabile nelle giornate di sabato e domenica e nei festivi fino al 1 novembre 2021, ma vi si può accedere solo su prenotazione e con visite guidate alle ore 10:30 – 12 – 13:30 – 15 e 16:30 (con prenotazione obbligatoria entro le ore 12:30 del venerdì precedente la data prescelta). L’accesso è consentito previo pagamento anticipato dei biglietti d’ingresso e ad un massimo di 12 persone per turno di visita (qui il regolamento per accedere al Castello della Pietra). La prenotazione va effettuata contattando telefonicamente l’Ente Parco dell‘Antola al numero 010 944175 dal lunedì al venerdì dalle ore 8.30 alle 12:30.
Nei giorni festivi dei mesi estivi, è possibile visitare il castello con una visita guidata molto interessante, anche per i bambini. La bravissima guida, infatti, vi accompagnerà lungo le stanze del castello, raccontandovi di come si svolgeva la vita all’interno, le battaglie che vi sono state e le leggende della zona, dal famoso ponte di Zan (o ponte del diavolo), a quella del pianoro dirimpetto da dove, nelle notti di luna piena, dal castello si possono vedere le streghe ballare!
Vi ricordate il castello incantato delle fiabe? Questo castello più che incantato, lo definirei “incastrato”, dove storia e natura si incontrano…
Degli antichi castelli mi incuriosisce la vita che hanno visto passare e che in parte trattengono ancora.
Chissà quanti sogni sono rimasti sulle torri…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Antola, è tempo di narcisi al Pian della Cavalla. Un anno bizzarro, nel segno della Covid-19 e con il meteo capriccioso in qualsiasi stagione ma, nonostante le eccezionali nevicate fino a maggio, anche quest’anno sono sbocciati i narcisi (narcissus poeticus) che imbiancano molti prati di alta quota del nostro appennino. Il luogo più celebre e spettacolare per godere della fioritura è nel cuore del Parco dell’Antola – un’area naturale protetta che si trova in Liguria e, precisamente, tra l’entroterra genovese e l’Appennino ligure vero e proprio -, al Pian della Cavalla.
Pian della Cavalla è un altopiano a 1200 m. s.l.m. che si trova tra Fascia e Fontanarossa, poco distante dalla SP 16 che porta fino a Casa del Romano. Più precisamente, si percorre la Statale 45 della Val Trebbia e, nel tratto compreso tra Isola e Gorreto, si prende la strada che varca il fiume in direzione nord e risale seguendo le indicazioni per Fontanarossa. Dalla piazza della chiesa del piccolo paesino si imbocca una stradina in salita che procede in direzione sud. Da qui la vista sul Monte Antola, la montagna dei genovesi, a 1597 m. s.l.m., la più celebre del gruppo omonimo, sulla Val Trebbia e sulle ormai prossime colline del Piacentino, è impagabile.
Giunti al paese di Fascia, ci sono due modi per arrivare a Pian della Cavalla:
Il Sentiero dei Narcisi si trova poco sopra l’abitato di Fascia, all’interno del parco dell‘Antola, a circa 1 ora e mezza di strada da Genova. Il percorso per raggiungere Fascia è abbastanza tortuoso. Il Sentiero dei Narcisi in trenta minuti, e senza particolare dislivello, da Fascia raggiunge Pian della Cavalla.
Il sentiero, una volta giunti sulla piana, è quasi tutto in pianura e facilmente percorribile da tutti: non ci sono buche e ruscelli. Dopo circa mezz’ora di cammino, se è il mese di maggio, vi ritroverete immersi in una distesa di narcisi fioriti che adorna, come un tappeto bianco, tutto l’estendersi dell’altopiano.
E’ severamente vietato reciderli, ma si può goderne, appieno, la bellezza semplicemente fotografandoli. La gita è comunque consigliata anche ad inizio primavera e tarda estate, anche senza la fioritura dei narcisi selvatici.
Il fascino nei confronti del Narciso risale addirittura alla mitologia greca. Il mito di Narciso è sicuramente il più conosciuto. Talmente famoso da diventare una parola di uso comune, a tratti inflazionata, per indicare una specifica caratteristica dell’uomo: l’amore smisurato per se stessi. Il mito di Narciso, infatti, narra la storia di un giovane bellissimo che perde la vita perché si innamora perdutamente del suo riflesso.
Narciso è il figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e di Liriope, una ninfa. La madre era però molto preoccupata perché aveva dato alla luce questo bambino bellissimo. Si recò così dall’oracolo Tiresia, che le consigliò di non fargli mai conoscere se stesso. Il bambino crebbe e divenne un adolescente bellissimo, del quale tutti si innamoravano. Narciso, però, respingeva tutti, forse per orgoglio o per forte personalità.
Ecco che Eco, una ninfa che non poteva parlare per prima perché punita da Giunone, si innamorò follemente di lui. Ella, però, non poteva dichiararsi in quanto con la sua voce poteva soltanto fare eco a quella di Narciso, che la rifiutò bruscamente. La fanciulla così trascorse il resto della sua esistenza a vagare nelle valli, fino a diventare soltanto una voce.
La dea della vendetta, Nemesi, decise di punire il giovane Narciso per il suo rifiuto alla ninfa. Lo condannò così a specchiarsi in un laghetto per bere. Quando lui si calò per bere l’acqua, vide il suo riflesso e se ne innamorò perdutamente. Dopo poco, capì di essere lui stesso il bellissimo ragazzo e realizzò che il suo era un amore impossibile.
Ovidio afferma che Narciso morì consumato dal fuoco di quell’amore irrealizzabile. Altre fonti invece riportano che egli si gettò nel fiume, nell’estremo tentativo di raggiungere l’amore. Quando le ninfe accorsero per seppellire il suo corpo, al suo posto trovarono dei fiori bellissimi. Si trattava di fiori bianchi e gialli, quelli conosciuti oggi come fiori del narciso. Questo termine deriva proprio dalla parola greca narke, che significa stupore (lo stupore di Narciso che vide per la prima volta la propria immagine).
I narcisisti sbocciano nell’amore altrui, senza mai mettere radici.
Ogni fiore che sboccia ci ricorda, però, che il mondo non è ancora stanco dei colori. Ci sono due fiori dentro il fiore. Uno è girato verso di noi, l’altro verso l’infinito…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il canyon della Val Gargassa con un giro ad anello capace di stupire per le sue caratteristiche peculiari. Un sentiero panoramico, dedicato agli aspetti geologici e geomorfologici, per escursionisti esperti, della durata di 4 ore per una lunghezza di 7 km con un dislivello di 180m. Siamo in Liguria, nel Parco naturale del Begua, poco lontano da Rossiglione, dove il torrente Gargassa forma una gola stretta tra curiose conformazioni di conglomerato.
La Val Gargassa si snoda tra sentieri sospesi, torrenti, canyon,dirupi, con una ricca vegetazione con boschi di rovere e pinete. Si possono ammirare paesaggi esposti su rocce, con sorgenti che sgorgano poco sopra il pelo d’acqua, per poi finire su prati dove sorge un villaggio abbandonato, Vereira (420m circa), il cui nome deriva da un’antica vetreria, dove le antiche attività pre-industriali testimoniano il passato sfruttamento di questi luoghi per la produzione, appunto, del vetro.
Dalle case di Vereira, risalendo per la valle per una decina di minuti in prossimità di una radura, si scorge una sorgente di acqua sulfurea che scaturisce dalla roccia a pochi metri dal torrente. Ritornando a valle del nucleo abitativo si riprende il sentiero, che porta lungo un crinale panoramico e alla fine di un castagneto ci si ritrova nuovamente all’inizio del percorso.
La Val Gargassa è una stupenda area, nelle vicinanze dell’abitato di Rossiglione, in provincia di Genova, il più esteso comune della Valle Stura, dove la presenza dei conglomerati Oligocenici della Formazione di Molare si traduce in uno spettacolare ambiente e panorami mozzafiato. In quest’area, all’interno del Parco del Beigua, tali rocce prendono il nome locale di Conglomerati del Rio Gargassa, ma in realtà fanno parte della Formazione di Molare.
Il piccolo torrentello, dalle acque cristalline, ha profondamente inciso queste rocce formando canyon, spettacolari forre e marmitte dei giganti. Le numerose discontinuità strutturali (faglie) hanno accentuato le evidenze dell’erosione, chiamata selettiva in quanto si esplica con modalità ed effetti differenti a seconda dei materiali rocciosi interessati.
Il così detto Muso del Gatto è un buon esempio di tale azione, ma sono anche presenti numerosissime guglie, crepaci e cavità che richiamano, su differente scala, ai famosissimi panorami dei parchi americani.
Il “Sentiero Natura” della Val Gargassa offre angoli di incontaminata bellezza, tra placidi laghetti, canyons e suggestive conformazioni rocciose. In questo angolo del Geoparco le tipiche rocce ofiolitiche, altrove più abbondanti, cedono il passo ai conglomerati, nei quali l’acqua ha scavato forme erosive di grande suggestione. A metà del percorso ad anello i segni dell’antica presenza dell’uomo: il borgo di Vereira, appunto.
Da Rossiglione si percorre la strada provinciale SP per Tiglieto a circa 3 km, oltrepassata la Cappelletta di S. Bernardo, un bivio a sinistra conduce in soli 50 metri al campo sportivo in località Gargassino al fianco del quale vi è un ampio parcheggio e l’inizio del Sentiero Natura (44°33’39″N – 8°39’00″E).
Il Sentiero Natura si snoda ad anello attorno alla valle del Torrente Gargassa ed è marcato con il segnavia XX sino a Case Vereira. All’inizio brevi sali e scendi in un bosco caratterizzato da castagni, querce, noccioli e aceri montani corrono in prossimità del torrente.
Usciti dal bosco, il percorso segue per un tratto la sponda sinistra del Gargassa, tra spettacolari laghetti inseriti in un ambiente roccioso con scarsa vegetazione e pendii acclivi. In queste condizioni ambientali possono crescere e sopravvivere solo poche essenze come pini ed eriche. Le rocce che costituiscono il substrato su cui camminiamo sono le serpentiniti.
1°stop (338 /20′).
Passato il tratto tra le “roccette” aiutandosi con l’apposita catena, il percorso prosegue in piano sino ad una zona caratterizzata da rimboschimenti a pini neri dalla quale si scorgono i primi torrioni rocciosi bruno-nerastri, talvolta rossastri, e le ripide pareti del canyon inciso nei conglomerati. Dopo alcuni limpidi laghetti, accoglienti spiaggette ed erte pareti di roccia, si giunge al…
2° stop (351 /40′)
per godere di un panorama suggestivo ed osservare meglio la formazione rocciosa in conglomerati. Ci accompagnano, lungo il cammino, pareti rocciose verticali in cui è facile distinguere i ciottoli e le stratificazioni tipiche di queste rocce. Le incisioni fluviali con pareti verticali (canyons) scavate nelle dure rocce conglomeratiche diventano sempre più suggestive, ma per godere delle vedute migliori del canyon bisogna proseguire sino al…
3° stop (360 /1h)
In questa zona il torrente scorre ed incide le sue forme tra due ripide pareti molto vicine tra loro, rendendo ancora più suggestivo lo scorrere dell’acqua. Giunti al primo guado, posto sotto un torrione di roccia dall’aspetto particolare che da origine al toponimo “Muso del Gatto”, si passa sulla sponda destra idrografica del Rio Gargassa.
L’attraversamento su grossi massi arrotondati può risultare difficoltoso se non praticato con calzature idonee ed è comunque sconsigliato dopo forti piogge. Dopo un tratto in salita dal quale si scorgono ad ovest scorci sui torrioni della “Rocca dra Crava” e “Rocca Giana“, si ridiscende per giungere nuovamente a guadare il rio Gargassa. Risaliti pochi metri dal guado si apre di fronte a noi un ampio prato con alberi da frutta inselvatichiti e alcuni edifici rurali sulla sinistra: siamo giunti all’antico borgo di
Case Vereira – 4° stop (401 /1h30′) (44°32’33″N – 8°39’22″E)
Dalle case Vereira si può percorrere il sentiero che prosegue verso sud, senza segnavia specifico, ma ben tracciato, e proseguire nel bosco per circa 600 metri per giungere alla
Sorgente sulfurea – 5° stop (401 /2h).
Una zona aperta dove tra rocce affioranti e bassi arbusti, scendendo verso il corso d’acqua si individua la sorgente con tipiche concrezioni attorno e un debole odore di zolfo.
Il percorso del ritorno permette di ammirare scenografici panorami sui canyon sottostanti, riportandoci nuovamente al campo sportivo dopo aver percorso il crinale sinistro della Val Gargassa. Il sentiero è marcato con un segnavia tre bolli gialli disposti a triangolo e si imbocca a nord del prato di Case Vereira.
Un’erta salita conduce in breve in quota dove tra gli scorci lasciati liberi dal bosco si può osservare il “Balcone della Signora”, una frattura verticale originatasi in un bastione di roccia bruno-rossastra attraverso la quale si osserva l’azzurro del cielo. Un tratto di sentiero di pochi metri molto esposto conduce ad una sella
6° stop (510 /3h)
consentendo il godimento di scorci mozzafiato sui canyon e sugli spettacolari torrioni di roccia presenti nell’area, forme decisamente inconsuete nel panorama ligure. Scesi a valle verso Case Camilla, sempre seguendo il segnavia con i tre bolli giallini si osservano i contrasti tra i rilievi della Val Gargassa e le forme montano-collinari delle valli Stura. Superate Case Camilla si giunge al…
7° stop (410 /3h40′)
Un punto in cui si possono trovare molti degli alberi che costituiscono il bosco misto di latifoglie (rovere, roverella, acero, sorbo). Il sentiero scende, quindi, ripidamente per giungere in circa 10 minuti al campo sportivo da cui siamo partiti.
Come scriveva il filosofo Nietzsche “Tutti i più grandi pensieri sono concepiti mentre si cammina”.
Camminare per me significa entrare nella natura. Ed è per questo che, quando posso, cammino lentamente. Quando le mie gambe sono stanche, allora, cammino con il cuore.
Io vado per vedere, per sentire, con tutti i miei sensi. Così il mio spirito entra negli alberi, nel prato, nei fiori, nel mare, in un lago, in collina. Le alte montagne, però, sono per me un sentimento fortissimo…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…