Anziani ultra vulnerabili senza tutela. Identikit di un Italia sempre più divisa, in questa terza ondata Coronavirus, iniziata a gennaio, acutizzata a febbraio e fino a marzo inoltrato, mesi in cui la pandemia è riesplosa con grande violenza spinta dalle varianti.
Dal 2020 non si fa che con-vivere con la pesantezza sostenibile della Covid-19, assuefatti, abituati alla tragedia della pandemia, in termini di “conta” di casi attivi, ospedalizzati e morti e, non ultimo, in balia della costante percezione di una “guerra” sanitaria contro un “mostro” invisibile, ma così tangibile dentro e fuori le nostre case.
In questo contesto, rallenta, non di poco, la fotografia di un sentimento di armonia nazionale sulla tanto discussa campagna vaccinale. Si parla, non a caso, di “disunità vaccinale” delle regioni che racconta di un’Italia “indietro tutta” rispetto agli altri Paesi, a parità di dosi.
Una maratona al vaccino, tra favori, raccomandazioni e giochi di lobby che riescono a trasformare i diritti di tutti nel privilegio di chi rientra in una categoria che è riuscita ad imporsi su un’altra.
Eh sì, perché a conti fatti, le scelte delle regioni erano state effettuate nel rispetto delle linee guida del ministro della Salute Roberto Speranza sulla base di una disponibilità di dosi che sono, poi, state disattese.
Quindi? Chi aveva un’istituzione a protezione o una categoria di “appartenenza” ha ottenuto il vaccino e le categorie più fragili, e gli anziani ultra vulnerabili, non tutelate da nessuno, invece, sono rimaste senza. Una verità che fa male, ma così reale.
Una cosa è certa: in Italia oggi si muore di Covid-19 più di un mese fa, lo dicono i numeri, mentre le cifre della campagna vaccinale altrove è gestita in modo molto più efficace, in termini di contabilità dei decessi, puntando su una vera organizzazione. Germania, Francia e Spagna hanno saputo tutelare meglio i loro anziani grazie ai vaccini, e senza “criteri diseguali”: li hanno protetti ovunque allo stesso modo, dalle grandi città alle zone rurali, con il focus puntano sull’età e sulle rispettive priorità.
E in Italia? Beh, ogni regione ha agito “per conto proprio”, tra errori, incidenti, guasti informatici e corsie preferenziali per raccomandati e “potenti”. Siamo alle solite, a farne le spese i più deboli, quelli “fragili”, e lo dicono le statistiche. La campagna vaccinale è partita a febbraio e Francia, Germania e Spagna, pur nelle rispettive proporzioni, hanno al loro attivo un netto calo della mortalità da Covid-19.
Nel Belpaese, insomma, occhi sempre più puntati sulla curva epidemiologica che, a marzo, addirittura è tornata a salire. Ad aprile, poi, non è che il trend sia in discesa, anzi…
La media settimanale dei morti è tornata a superare i 300-400 morti al giorno. Una gestione italiana fallimentare della campagna vaccini contro le rigidissime misure imposte dal governo di Angela Merkel – il cui lockdown proseguirà fino a metà aprile -, francese e spagnolo.
A Berlino e in Francia, già da metà febbraio, la popolazione ultraottantenni aveva ottenuto la prima dose al 20 per cento contro il 40 per centro dei vaccini somministrati in Italia…
In Italia, alla fine, le regioni hanno “cambiato le carte”, rispetto alla “terna” di categorie prioritarie dettate dal decreto legge del governo Draghi (1.operatori sanitari e socio-sanitari, sia pubblici che privati, in prima linea, 2.residenti e personali delle Rsa e 3.persone in età avanzata). Così, hanno privilegiato centinaia di migliaia di dipendenti degli ospedali, non solo i sanitari, ma gli amministrativi (?!) che, si sa, non hanno alcun contatto con i malati.
Ecco che, dulcis, si sono aggiunti i professori universitari, gli insegnanti e un esercito di professionisti, dagli avvocati ai magistrati, senza distinguere tra quelli operativi, a rischio di contagio con i soggetti malati (ndr, come è avvenuto in Germania).
Questo perché le norme tedesche sono chiare e inequivocabili sulle categorie e sulle priorità per la vaccinazione mentre in Italia le regioni sono una babele di norme spesso così diverse tra loro da lasciare spazio a pericolose interpretazioni.
Chi sono gli ultra vulnerabili in sintesi? Sono persone alle quali “la natura ha tolto parte della loro salute, ma ciò è nella ‘natura’ delle cose della vita.
La non applicazione del piano vaccinale, però, non può toglierci anche la speranza alla salute” – come si racconta un 78 enne abbandonato a se stesso. Si tratta di centinaia di migliaia di anziani, “estremamente” vulnerabili, cittadini “normali” over 70 e 80 che, solo ad aprile, forse, non saranno più “eterni dimenticati”, in attesa di una chiamata che non arriva e, magari, riusciranno a ricevere la loro prima dose.
Tutta colpa, pare, della mancanza di una piattaforma digitale informata e aggiornata, per i medici di medicina generale e i loro assistiti, ma le risposte mancano, ancora, quando il vaccino “per e di tutti” è l’unica soluzione “salvezza”.
Raccontatemi le vostre esperienze, da qualsiasi parte vi troviate…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
L’emergenza cultura al tempo della Covid-19 è un tema “che scotta”, eppure silenzioso. I musei, i teatri, i cinema, la musica rivivono il tempo del silenzio. Un tempo che evidenzia ancor di più l’importanza della cultura per la resilienza delle nostre società.
Ignorati dalla legge e destinati ad un’attesa senza fine. Sono i lavoratori dello spettacolo, strangolati nella morsa della Covid, fase dopo fase, e il cui disagio avanza mentre si spengono i riflettori.
L’infrastruttura del settore culturale è adatta a gestire le grandi sfide di oggi? Il tema è molto attuale considerando la chiusura di teatri, cinema, e musei in molti Paesi europei, e ha come obiettivo quello di interrogarsi soprattutto su dove trovare le risorse per garantire una sopravvivenza del settore e anche come ridisegnare le infrastrutture culturali per garantirne la resilienza.
Come possiamo contribuire a creare a livello europeo un’Emergenza Cultura come è stato per il tema dell’ambiente? Sì, perché finché la Cultura (ndr, con la C maiuscola) non potrà sedere al tavolo delle priorità assolute nei programmi di emergenza insieme alla Salute e all’Istruzione, la Cultura (ibidem) è a rischio e agonizza fra manovre temporanee ed insufficienti a garantirne la sopravvivenza e a costruire le premesse per il suo presente e tanto più per il suo futuro.
In risposta alla crisi, il tema Being Present (Essere Presenti) diventa un importante chiave per esplorare le opportunità emergenti per i settori della cultura in Italia e nel Mondo, in un momento in cui stiamo rivalutando ciò che significa Essere presenti, sia nello spazio fisico che in quello virtuale.
Interessante, a tal riguardo, l’iniziativa UK/Italy Season 2020 ,un programma di eventi culturali, in formato digitale, ideato dal British Council e realizzato grazie alla collaborazione di partner nel Regno Unito e in Italia, con lo scopo di supportare scambi culturali a livello internazionale e di creare comunità più resilienti.
Tra le filiere produttive più colpite dal Coronavirus c’è quella del mondo dello spettacolo. Un settore che, in Italia, occuperebbe 570mila persone.
Il coronavirus dà la stretta finale al settore, soprattutto la compagine legata al teatro, al cinema (-98% di incassi al botteghino rispetto alla scorsa estate), alla musica classica e leggera, alla musica jazz, non ultimo, ormai da anni in crisi per mancanza di adeguati investimenti.
Si stima che il 70% delle aziende del comparto cultura e intrattenimento dovrà affrontare un calo sul fatturato di oltre il 40% e 840mila lavoratori temono per la mancanza di occupazione e per il loro futuro così incerto. Si sentono dimenticati, abbandonati da chi avrebbe dovuto tutelarli al momento opportuno, gli stessi attori chiave che sembrano non comprendere a pieno l’importanza e il ruolo della produzione culturale nel funzionamento dei sistemi sociali ed economici.
L’emergenza sanitaria ha dettato nuovi ritmi e nuove priorità, grazie a tecnologie e strumenti che hanno permesso anche di ampliare l’offerta culturale contribuendo a quella che è diventata, mai come da un anno, una vera e propria svolta digitale: è così che la cultura riparte e va a riprendersi con tenacia il ruolo di collante della società.
App e piattaforme progettate ad hoc saranno le risorse privilegiate che potenzieranno un approccio human-centric, amplificando l’esperienza immersiva delle persone nei luoghi, nelle opere, nella musica e negli eventi culturali in programma.
Ci viene chiesto, quindi, di imparare, sempre più, un nuovo modo di viaggiare, di spaziare, di vivere e viversi, grazie a un nuovo modo di pensare alla cultura, e nel pieno rispetto della norme di sicurezza, tutto questo sarà possibile. La tecnologia digitale può venire in soccorso della cultura, salvare il nostro patrimonio e risollevarlo da un incubo che sta durando troppo a lungo, con ricadute a 360 °gradi.
Sì, perché le questioni prettamente occupazionali, in questo settore, si intersecano costantemente con l’importanza di continuare a produrre e diffondere cultura. Se da un lato al pubblico viene preclusa la possibilità di distrarsi dal contingente, reso logorante dalla pandemia, a chi ci lavora, nel comparto culturale, dall’altro, viene sottratta ogni risorsa per vivere: economica e di dignità occupazionale. E, un mondo senza cultura, arte e musica è un mondo che perde colore e senso di appartenenza ad una comunità globale.
La Cultura, va detto, non si ferma – e non si è mai fermata – nemmeno al tempo della Covid-19, a quasi un anno da quando il presidente Conte ha firmato il Dpcm 23 febbraio 2020 che introduceva misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica, ma semplicemente cambia e muta le sue forme di espressione, la sua modalità di fruizione “virtuale”, appunto.
Anche da casa possiamo viaggiare (con la mente), leggere e cibarci di cultura, auspicando, presto, ad un ritorno – anche migliore – alla normalità.
Perché, alla fin fine, ogni volta che un teatro serra le porte, un cinema interrompe le proiezioni e un concerto viene annullato, beh, la sensazione netta che si avverte è che un pezzettino dell’impalcatura che sorregge la cultura italiana si arrugginisce. Non è lo stesso anche per voi?
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…