Una storia da raccontare: “le otto montagne”. Un film, o meglio un romanzo fotografico, in cui memoria e ricordi sono il filo conduttore di una storia di amicizia e amore dai confini labili, molto labili, palpabili tanto intensi, di figure paterne presenti e assenti, di sentieri, ruscelli, petraie, valli e cime innevate, sogni e illusioni mescolate a forme di dipendenze, e di silenzi parlanti.
La montagna non è solo natura incontaminata. “E’ un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura” (Paolo Cognetti). Il padre capo cordata che poi si farà vecchio e, a sua volta, verrà trascinato da quei bambini che diventeranno uomini.
Due bambini che si incontrano e non si lasciano più, anche quando la vita li allontana, apparentemente per sempre, e di un luogo in cui ritrovarsi e riconoscersi, da grandi come allora.
Due bambini così diversi, ma che sanno scegliersi, in quell’estate, tra i campi fioriti e le mucche da portare al pascolo.
Pietro è un ragazzino di città, nato e cresciuto in una famiglia borghese di Torino dove non si possono dire le parolacce.
Bruno, invece, è l’ultimo bambino di un paesino di montagna il cui padre non c’è mai e, quando ritorna, se lo porta via per fargli fare il muratore a dieci anni. E…le parolacce le dice eccome.
Passano gli anni, Bruno rimane fedele alle sue montagne, mentre Pietro andrà via per poi tornare sempre lì.
Una storia da raccontare: “le otto montagne”
Una centrifuga di emozioni: i loro dialoghi, le loro promesse, quella di un padre che diventa la loro eredità, i loro silenzi, gli sguardi, quegli abbracci, quel diario ritrovato in vetta, e ben nascosto tra le pietre, le corse e quel senso di appartenenza che non conosce confini.
Quel richiamo alle cime del Grenon, in Valle d’Aosta, il lago di Frudières, quel costante desiderio di sfidare la vita con i suoi schemi, di deviare dalla retta via (ha un nome, poi?…) li accomuna sempre, nonostante le partenze e gli arrivi e lo ‘stare’ di chi rimane sempre lì.
In una scena del film, in una notte di instancabili bevute e risate, Pietro disegna su un taccuino un cerchio che simboleggia il mondo. Al centro c’è la montagna più alta, il Sumeru, circondata da otto mari e otto montagne (ndr, ecco il senso del nome del film).
La domanda è: chi ha imparato di più? Chi ha visitato “le otto montagne” (Pietro) o chi ha raggiunto la vetta del Sumeru (Bruno)?
Un ambientazione da togliere il fiato, le Alpi e il Nepal, un sali e scendi dalle vette, un andare per conquistarsi un posto nel mondo, un rimanere che è ancorarsi alle radici del cuore.
Il film si snoda attraverso quella domanda e mette a nudo i percorsi opposti dei due.
I confini oltre le otto montagne
Se già il film “Le otto montagne” è ad alto impatto emotivo, la fotografia non è da meno: fatta di inquadrature fisse, zoom, campi larghissimi con i quali i due registi seguono il passare degli anni e delle stagioni scegliendo nel formato 4:3 di immortalare le montagne in tutta la loro maestosità tesa verso l’alto.
Di un amore che prova a sfidarsi sulle frequenze dell’altro, anche quando si è soli a sentire il diverso ritmo della vita e, giocoforza, a decidere che direzioni prendere.
Dal film
“Stavo imparando che cosa succede a uno che va via: che gli altri continuano a vivere senza di lui”. (Paolo Cognetti).
“Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa”. (Ibidem)
– P. ” Guarda che c’è un mondo fuori da qui. Questo confine te lo sei inventato tu”.
– B. ” Non ti preoccupare per me: questa montagna non mi ha mai fatto male”.
[…]
Non potevo farmi un regalo migliore ad inizio anno. Ma, si sa, nulla è casuale. Ogni giorno arriva con i propri doni. Oggi, ho scelto di sciogliere i suoi fiocchi.
Un ottovolante – questo regalo a me stessa – di sentimenti liberi, e a spasso per il cuore. Come per ricominciare, anche io, un nuovo viaggio verso l’infinito.
Ti viene voglia di caricare lo zaino sulle spalle e partire alla conquista di una cima.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Caro Presi, vi sono al mondo famiglie di ogni sorta, ma non vi è mai una famiglia uguale all’altra.
Noi eravamo unici perché ci siamo scelti, da subito.
Tredici anni di vite, insieme, porta a porta, ogni giorno, mondi condivisi, amici, famiglie, lavoro e affetti comuni. Emigrata, orfana di mamma, e tu hai riempito ogni vuoto e ricoperto tutti i ruoli possibili.
Un compagno, un amico, un maestro, una guida, un faro nella notte in mare aperto con l’onda lunga, lo zio perfetto dei nostri amori felini. Un confidente, l’esempio migliore di Uomo che io abbia mai avuto la fortuna di conoscere e amare. Che privilegio!
Presi e adesso?
Ognuno di noi corre da solo verso l’amore, da solo verso i sogni e le delusioni. Ma se la famiglia – anche solo per un tratto – corre insieme, tutto è più facile.
Mi ritrovo aggrappata all’abitudine come ad uno scoglio, quando invece dovrei staccarmi e tuffarmi in mare. E vivere. Una vita completamente senza di te (…).
Non ti ho mai visto arreso. Sempre pronto a cavalcare l’onda.
Non ho mai visto le onde arrendersi, anche per questo amo, amavamo il mare.
E tu? Sempre a vedere la luce nel buio. Sempre a vedere e a non voler vedere, ma era pur sempre la prospettiva di vita più affine a te, di fatto.
A te che mi ha permesso di conoscere e scoprire Genova, oltre il mio campo ristretto ai due vicoli di casa/lavoro.
A te che mi ha preso, sempre, per mano, dicendomi “andrà tutto bene, ci sono io. Siamo una famiglia!”
Noi che, in questi ultimi difficili anni, siamo stati davvero l’uno la spalla dell’altro.
A te che mi hai fatto un regalo unico, a sorpresa, per i miei 50 anni: una nuova vita da crescere, insieme, lasciandomi, oggi, il compito di farlo da sola.
A te che sei caduto, sempre, in piedi, sognando. Come l’ultima volta che sei uscito da casa e non sei più tornato. E da dove? Nello stesso punto dei vicoli dove la mia vita genovese è iniziata quindici anni fa e tu, in gran stile, sei uscita dalla scena. Un caso? Le tue ultime parole, prima di uscire ” Vado a far due passi, mi accompagni o mi raggiungi dopo: sushi, stasera”? E ti ho raggiunto, sì, ma dove non potevi più sentire e vedere tutti i suoni e i colori del mondo (forse…), ma ho continuato a stringerti la mano sentendo la tua muoversi. Fino alla fine…
A te che mi hai fatto amare e “sentire” il mare, quello vero, mai da turista.
Sì, perché lo senti il rumore del mare, quella voce riconoscibile che si infrange sulla riva. Te la spiega in un attimo, la vita.
Poche persone sono capaci di venirti a cercare dove sei veramente. Per questo amo il suono delle onde. Loro sanno sempre dove sei.
Tu eri come le onde. Sapevi cercarmi dove ero veramente, e mi aiutavi, sempre, a trovarmi.
A te che, come me, amavi i bambini, gli animali, i viaggi e i sogni…
A te ,così sempre pubblico, ma gelosamente attaccato al tuo “viver lontano dai riflettori”.
Grazie Presi, grazie Pepè per l’immensità di un legame di cui non si può scrivere, ma solo vivere, per sentirsi davvero vivi, completi e migliori. Io, umilmente, ti regalo qualche getto d’inchiostro, in punta di piedi, solo per scrivere l’ultima lettera, ma non l’ultima. Ma, Presi, non potevo non scrivere di te, di noi, sebbene sia stato il racconto più difficile della mia vita…
Questo mi hai insegnato tu. Cos’è la famiglia.
Tutto questo sei tu e rimarrai tu.
Questo siamo Noi.
Buon vento capitano
Mi chiedo, però, chi conforta il mare quando è in burrasca e le sirene cercano un rifugio in qualche faro abbandonato.
Sopravviverti, non sarà affatto facile, lo sai?! Il corpo da una parte, il cuore da un’altra. Senza testa. In mezzo il vuoto. Ecco, la mancanza deve essere quella cosa qui.
Il vuoto non è vuoto. È pieno di rimpianti, amori finiti, lacrime, rabbia, paure, incubi, tramonti bruciati, follia, confusione, discussioni inutili, di cose dette non dette, scritte e non scritte, ansia e braccia tese aggrappate a un amore che non c’è più.
Chissà di cosa è fatto questo vuoto per essere così denso?!
Adesso, vestiti di cielo e stupore.
Ti porto al mare.
Buon vento capitano del mio cuore, nuota libero da tutto e tutti e fai tanta strada, ancora, oltre ogni confine…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Forest Bathing nel Parco dell’Antola. Immaginati di camminare scalzo in un bosco o, semplicemente in silenzio, ascoltando il rumore del vento e il profumo della resina su un sentiero che passa in mezzo ad abeti e larici rigogliosi.
Immaginati di toccarne la corteccia ruvida, magari tenendo gli occhi chiusi per poter concentrare meglio l’attenzione sul senso del tatto. Inspira profondamente, aprendo bene il petto.
Lo spirito è quello di poter ritrovare pace, armonia e benessere fisico e mentale, ma anche, pur nel rispetto delle misure anti contagio, di riscoprire il piacere di stare insieme e condividere con altre persone momenti unici.
Lungo i dolci pendii del Parco Naturale dell’Antola, un’area naturale protetta che si trova in Liguria e precisamente tra l’entroterra genovese e l’Appennino ligure vero e proprio, fatevi accompagnare da un’esperienza interamente dedicata a sperimentare un profondo stato di connessione con se stessi, con la natura e con gli altri.
Poi, nel B&B Il Castello di Caprile, alle porte del Parco si potrà gustare un ottimo apericena in relax. Per chi volesse proseguire il soggiorno nella suggestiva frazione di Caprile, in provincia di Genova, c’è la possibilità di prenotare anche il pernottamento presso la struttura.
E per i bimbi dai 3 anni in su è organizzato un laboratorio di riciclo creativo in modo da poter partecipare con tutta la famiglia.
I benefici, fin dall’antichità, della natura
Molti studi ormai confermano i benefici che traggono il nostro corpo e la nostra mente nello stare a contatto con gli elementi naturali.
Queste conoscenze sono ben note ai giapponesi, non a caso uno dei popoli più longevi del mondo. Fin dall’antichità, infatti, conservano nel vocabolario e nei gesti, la pratica dello shinrin-yoku, tradotto in occidente come forest bathing.
Tale disciplina insegna a trarre giovamento da attività all’apparenza semplici, come una passeggiata nel bosco, respirando le essenze degli alberi e delle piante, che possono avere effetti rinvigorenti o rilassanti, in base alla loro natura.
Insomma, quest’estate, per trovare ristoro dopo lo stress e la tensione accumulati negli ultimi mesi, in un’Italia scandita dai “colori” di un’emergenza sanitaria, un bagno di bosco nel Parco naturale dell’Antola sarà molto più che fare una semplice passeggiata…
Ogni filo d’erba sembra contenere una biblioteca dedicata alla meraviglia, al silenzio e alla bontà. C’è una gioia nei boschi inesplorati, c’è un’estasi sulla spiaggia solitaria, c’è vita dove nessuno arriva vicino al mare profondo, e c’è musica nel suo boato…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Anche i bambini soffrono della sindrome del «Long Covid». Eh, sì, anche i bambini e i ragazzi che si ammalano di Covid-19 possono non recuperare del tutto e continuare a soffrire di uno o più disturbi per mesi, dopo la fase acuta. Possono, cioè, soffrire di quella che viene chiamata sindrome del Long Covid, presente in un malato adulto su dieci.
Sindrome del «Long Covid», gli studi
Le conseguenze del contagio non passano in fretta: il Long Covid, ovvero i sintomi di malattia che continuano per diverso tempo anche dopo la fine dell’infezione virale, colpisce anche i più piccoli e i giovanissimi. Circa uno su 3 a distanza di mesi dalla fase acuta della malattia, sembra avere ancora almeno un sintomo, dal mal di testa all’insonnia.
Primo del suo genere, lo studio, ha preso in esame uno scaglione di 129 bambini e ragazzi tra 5 e 18 anni con diagnosi di Covid-19 e valutati in pronto soccorso, reparto o in ambulatorio durante la prima e la seconda ondata pandemica. La maggior parte aveva sintomi lievi al momento della diagnosi e 33 erano asintomatici.
Un terzo del campione iniziale ha riportato sintomi, più o meno evidenti, a distanza di mesi e i più frequenti erano dolori muscolari o articolari, cefalea, disturbi del sonno, dolore toracico o sensazione di costrizione toracica, palpitazioni. In particolare, 68 bambini sono stati valutati anche a distanza di 120 giorni e il 51% di questi riportava almeno un sintomo persistente, in molti casi con ripercussioni nelle attività quotidiane. Rivalutati a 160 giorni, il numero di chi riportava un sintomo era sceso al 36%.
Quali sono i pericoli per la salute infantile?
In generale, i virus appartenenti alla famiglia dei coronavirus sono responsabili di circa 1/5 delle polmoniti virali, e la polmonite è tuttora la prima causa diretta di mortalità infantile a livello globale, con circa 800.000 decessi annui tra i bambini di età compresa tra 0 e 5 anni (153.000 tra neonati di età inferiore a un mese), pari a un decesso ogni 39 secondi. La polmonite è una malattia killer dell’infanzia perché i bambini, insieme agli anziani e ai malati cronici, sono i soggetti più vulnerabili alle infezioni respiratorie acute. A essere a rischio sono soprattutto i neonati e i bambini sotto i 2 anni di età, a causa della fisiologica immaturità del sistema immunitario. I bambini immunodepressi sono esposti a un rischio particolarmente elevato.
Tuttavia, nell’epidemia di Covid-19 in corso si rileva un numero di infezioni tra i bambini e i ragazzi di gran lunga inferiore rispetto a quanto avviene in altri contesti epidemici. L’età media dei contagi nel nostro paese è di 62 anni, mentre l’età media dei decessi è 79 anni.
Bambini e Covid-19: l’impatto sul benessere e altri aspetti di salute
Ma cos’è esattamente la paura e perché la proviamo? Come riuscire a sconfiggere questo senso di impotenza e di ansia e tornare a condurre una vita normale? Non sappiamo ancora quando potremo tornare alla normalità e, neppure, se davvero potrà tornare tutto come prima.
Una limitata dose di paura e allerta sono necessarie, anzi fondamentali, a ben pensarci, in questa situazione per potersi attivare, senza perdere lucidità, anche solo per osservare le regole idonee di protezione come usare la mascherina, lavarsi bene e spesso le mani, rispettare la distanza sociale.
Come potrebbero affrontare i bambini delle modifiche delle nostre abitudini come, per esempio, l’utilizzo della mascherina prolungata nel tempo? Sicuramente i bambini possono adattarsi a delle norme, quindi alle norme di igiene e di prevenzione: anche alla mascherina. Se dovesse diventare una normalità per tutti, adulti e amici, diventerebbe una normalità anche per loro.
Ovvio, però, che una cosa del genere genererebbe una percezione del rischio maggiore: c’è un messaggio che viene veicolato di “pericolosità” nei rapporti umani. L’attenzione, quindi, dovrebbe correre sul trovare il giusto equilibrio tra la norma che tutela la nostra salute e la necessità di non esagerare nel veicolare troppo il messaggio di pericolosità, figlio della paura, dello stress e dell’ansia.
L’esperienza familiare
I bambini vivono le stesse esperienze delle loro famiglie: hanno quindi sperimentato la scomparsa di persone care – per lo più i nonni; hanno genitori che lavorano “in prima linea” contro il virus, o che hanno smesso di lavorare da tempo, o che hanno perso il lavoro o che lavorano da casa. Possiamo, comprensibilmente, aspettarci che queste esperienze impattino o impatteranno sulla loro salute, soprattutto mentale.
Le associazioni per i diritti dei bambini, la chiusura delle scuole e dei servizi per l’infanzia
Più in generale, e fin dalle prime fasi della pandemia, associazioni come Human Rights Watch che indaga su abusi, minoranze e soggetti fragili all’interno di diverse società hanno preso in considerazione diversi aspetti che impattano sulla vita dei bambini del mondo, dal 2020, sotto il segno della Covid-19 e i passi che i governi dovrebbero intraprendere per mitigarne gli effetti e migliorare in senso lato la salute dei bambini anche dopo l’epidemia. Un lungo elenco di altre associazioni: WHO,Unicef, the Global Partnership to End Violence Against Children – solo per citarne alcune – hanno puntato sulle famiglie, soprattutto quelle più fragili, con lo scopo di aiutare i genitori a comunicare con i bambini per diversi aspetti dell’epidemia e come aiutarli.
Un aspetto a cui solo recentemente è stata posta attenzione anche in Italia è quello della chiusura delle scuole e dei servizi per l’infanzia e delle ricadute sulla salute dei bambini, dai piccolissimi agli adolescenti. In Italia hanno interrotto la scuola oltre 9.040.000 bambini e ragazzi e oltre un milione di bimbi dei nidi e dei servizi educativi della prima infanzia.
Una cosa è certa ovvero che la situazione di confinamento, lockdown prima e quella della semi-libertà “del dopo”, ha determinato una condizione di stress notevolmente diffusa con ripercussioni significative a livello non solo della salute fisica, ma anche di quella emozionale-psichica, dei genitori e dei bambini.
Il linguaggio dei bambini, però, alla fin fine, viene, spesso, in soccorso con il suo carico di bellezza, speranza, magia fatta di colori, fantasia, analogie, storie e favole. Corona Virus rimanda alla parola “Corona” perché il virus si comporta come un Re tiranno, rendendo i popoli suoi sudditi, costringendoli a piegarsi alla sua volontà feroce…
Eppure, mi piace pensare che, in ogni storia/favola che si rispetti, ci sia sempre un finale, il tanto atteso “happy-end”«…e vissero per sempre felici e contenti».
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
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L’esperienza familiare
Le associazioni per i diritti dei bambini, la chiusura delle scuole e dei servizi per l’infanzia
Un aspetto a cui solo recentemente è stata posta attenzione anche in Italia è quello della chiusura delle scuole e dei servizi per l’infanzia e delle ricadute sulla salute dei bambini, dai piccolissimi agli adolescenti. In Italia hanno interrotto la scuola oltre 9.040.000 bambini e ragazzi e oltre un milione di bimbi dei nidi e dei servizi educativi della prima infanzia.
Una cosa è certa ovvero che la situazione di confinamento, lockdown prima e quella della semi-libertà “del dopo”, ha determinato una condizione di stress notevolmente diffusa con ripercussioni significative a livello non solo della salute fisica, ma anche di quella emozionale-psichica, dei genitori e dei bambini.
Il linguaggio dei bambini, però, alla fin fine, viene, spesso, in soccorso con il suo carico di bellezza, speranza, magia fatta di colori, fantasia, analogie, storie e favole. Corona Virus rimanda alla parola “Corona” perché il virus si comporta come un Re tiranno, rendendo i popoli suoi sudditi, costringendoli a piegarsi alla sua volontà feroce…
Eppure, mi piace pensare che, in ogni storia/favola che si rispetti, ci sia sempre un finale, il tanto atteso “happy-end”«…e vissero per sempre felici e contenti».