Minou…quello che mi manca di te sono io quando stavo con te. Sei riuscita a lasciarmi senza parole. Muta, con un dolore sordo, al petto. Mi sono sempre immaginata come sarebbe stata la mia vita senza di te e, alla fine, mi ci hai messo di fronte, davvero, alla tua morte. Le parole non scivolano, neppure in questo momento, ma sento di dovercele, oggi, un mese dopo.
Sei stata un grande esempio, il migliore, l’unica coinquilina possibile: adottarti, amarti, e prendermi cura di te, un privilegio. Mi hai insegnato, come solo tu potevi riuscirci, l’amore incondizionato, come ci si dedica, rinunciando anche alla libertà che tanto amo. Sono stati mesi difficili, questi ultimi, ma è valsa la pena ogni scambio d’amore, ogni cura “della speranza”, ogni paura del distacco, ogni sofferenza da abbandono, se penso alla vita da regine su e giù per l’Italia che abbiamo con-diviso fino a poco fa: zingare, sempre in movimento, sempre insieme, amata e fotografata da tutto il mondo. Eri tutto tranne che una gatta da appartamento. Ti sei abituata, subito, a vivere cavalcando la mia onda lunga.
Hai riempito la mia vita, senza annoiarla mai, anzi. Mi hai tenuto compagnia quando il mio mondo, dentro e fuori, era un incendio. Sei arrivata con la responsabilità di colmare un pesante vuoto materno e ci siamo scelte, da subito. Ci siamo investite di tutti i ruoli affettivi possibili. Hai dato un senso al mio continuare a vivere a Genova in anni dove, come dire, solo una spavalda e testarda come me poteva insistere in terra ligure, matrigna, ostile, ma così sfidante, al tempo stesso. Quanto daimoku hai respirato, accanto a me, quanta Buddità in ogni tuo gesto…
Minou…quello che mi manca di te…
L’inizio è dolce, assurdo, felice. L’intreccio pieno di buona volontà, forte e carico di tensioni emotive. La fine, una lacerazione. Per un po’ (…) continuerò a urlare il tuo nome a me stessa, nel cuore. Ma alla fine la ferita si cicatrizzerà – dicono. Non lo so, ma non voglio viverti solo nel dolore dell’assenza. Hai deciso tu quando scegliere di andar via, esattamente come quando hai scelto di entrare nella mia vita, avanzando sulle mie gambe per dimostrarmi che mi avevi scelto. Non mi ero mai sentita così “scelta”, prima di allora. Cose che nascono, e non l’avresti mai detto. Altre, poi, che finiscono, e non l’avresti mai neppure immaginato facesse così male.
Un grande immenso amore “che si è spento”, ma solo fisicamente, di morte naturale, nella mia terra, a 180 all’ora, in movimento, come abbiamo sempre vissuto noi, e su quelle stesse gambe dalle quali sei arrivata dritta come un fuso a soli due mesi, con lo sguardo rivolto a noi. Eravamo insieme, come siamo stati in tutti questi anni, con lo zio. Noi tre. E, poi, hai trovato il modo davvero “mistico” di lasciarmi traccia di te, oltre le ceneri: la tua vertebra dorsale, ancora intatta (?…), e a forma di cuore, quasi a rincuorarmi “ehi, io sono ancora qui, ti sostengo sempre, in un altro modo, ma continuerò a farlo” e lo hai ribadito con “un pezzo di te”, di quel corpicino diventato così esile in pochi mesi, come se sentissi che mi servisse quella urgente rassicurazione di continuità.
Un mese dopo…
Le parole, da quel lunedì nero 11 ottobre, se ne stanno zitte sulla soglia a un passo da te che resti fuori, e io non so come chiamarti e chiederti di tornare indietro. E’ così che nascono gli addii?
A partire da quel momento – da quel THE END – non so più chi fu a scrivere il libretto della nostra storia, però mi piacerebbe scoprirlo per dargli quel che si merita. Non riusciamo mai a capire davvero cosa ci fa innamorare di qualcuno, ma uno sguardo, una parola, un sorriso di colpo ci cambiano la vita e non torniamo più a essere quelli che eravamo.
Come abbiamo fatto a passare gli ultimi quasi 14 anni senza smettere mai di amarci e imparando sempre dall’altra? Come ha fatto, improvvisamente, la somma di tutta la presenza a trasformarsi in assenza?
Volenti o nolenti l’abbandono ci introduce, dal primo momento in cui lo subiamo, in una terra desolata che non conoscevamo, ci fa ascoltare un timbro inedito del dolore disperato e della fatica dell’esistere e del desiderare. Del sopravvivere.
L’assenza
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. E’ così che finiscono gli amori “fisici”. Le labbra si stancano, i respiri si placano, i battiti diminuiscono, gli orizzonti si restringono. Senti solo il peso delle cose non fatte, e ti scordi di quelle vissute. E dal soffitto le domande ti guardano e non cercano neanche più risposta. Mi hai detto addio, sei sparita dietro le “montagne”, in piena pianura padana, ma posso alzarmi in piedi sul mio cuore per vederti ancora. Gli occhi che guardavano altrove, l’orologio che faceva il giro del polso e la luce che cominciava a tremare. A volte gli addii (2008-2021) possono essere insostenibili, sai?
O, forse, mi stavi preparando, e insegnando, a ricominciare dall’inizio ogni giorno? Dirci addio e perderci di vista. E poi subito cercarci e ritrovarci. Bisognerebbe vivere soltanto di inizi. Come due sconosciuti, che si hanno senza aversi mai del tutto.
Senza di te…
Non sarà mai più la stessa cosa, senza di te, senza il tuo essere così esuberantemente femmina, geisha, intrigante, sempre attenta, sensibile e permalosa, viziata ma sempre così troppo adulta ed educata, fragile eppure forte per due, dolcissima e ingenua, alle volte. L’altra me, in tutto. Tu, sì, che solo guardandomi parlavi tutte le lettere dell’alfabeto. Un linguaggio – il nostro – fatto di gesti, di fisicità, quella che non tornerà più e di silenzi, quelli in compagnia dei quali mi hai lasciato, a litigare dentro di me. Ci devo proprio passare attraverso, eh già! Chi arriverà, dopo di te, non lo so ma, una cosa è certa, l’amore passionale e travolgente che ci ha “legate” in modo così simbiotico non sarà mai ripetibile, sarà diverso, un altro amore (?!). E’ stato un vero privilegio esser scelta a farti da mamma.
Trovo impronte di te ovunque, in casa, quella di Genova e poi a Modena, quando riuscirò a rimetterci piedi (…), fuori, in auto, dove abbiamo viaggiato insieme, appena un mese fa, quando ti hanno dimesso dal Pronto Soccorso modenese e mi illudevo ti avrei guarita, ancora una volta, come era già successo.
La morte per me è di difficile accettazione, ma tu lo sai bene, eh? Sei arrivata nove mesi dopo un altro durissimo abbandono, quello di mia mamma, e tu hai riempito ogni centimetro del mio cuore, della mia vita, degli spazi di casa con la tua ingombrante presenza d’amore. E’ difficile non cercarti, non percepire ancora il tuo sguardo, il tuo profumo di borotalco, i tuoi adorabili capricci, gli innumerevoli vizi dello zio ai quali mi sono sempre arresa. Trovo te in ogni dove e la tua “presenza” è davvero senza tempo e senza spazio.
C’è un momento in cui dal cuore qualcosa si stacca e cade
Per mare, in cielo, in terra, su due e quattro ruote… quante storie, quanti viaggi, quante case, quante città, quante emozioni, quanto amore abbiamo respirato e quanto donato… Quante vite abbiamo vissuto in una, quante emozioni allo stato puro, e l’adrenalina della nostra prima, e unica, vacanza in barca a vela di 30 giorni nella nostra amata isola: la Sardegna, la Maddalena. Siamo riuscite a convincere lo skipper amico a veleggiare con a bordo una gatta anche se, di fatto, ti faceva sempre un po’ di paura. Tante vite in una, ma chi se le scorda? Sarà tutto diverso, anche ritornarci, da sola, senza di te…
C’è un momento in cui dal cuore qualcosa si stacca e cade. Lo riconosci subito. Non fa nessun rumore, apparentemente, ma il sangue gela e il cielo scappa da un’altra parte. E, come tredici anni fa, c’era sempre qualcuno accanto a me, a tenermi la mano, ad abbracciarmi, a con-dividere con me, con noi il peso di quel dolore ingombrante, di un vuoto improvviso e lacerante, a cercarmi laddove mi ero persa “dentro”. Lei, l’altra emme biologica del mio cuore. E lui, la nostra famiglia d’adozione. Abbiamo il cuore a sinistra e non al centro del petto per un semplice motivo: quando abbracciamo chi amiamo, il battito del loro cuore riempie il nostro lato vuoto. Ti ho stretta a me fino all’ultimo istante. Addosso a me, nella scatola di carta nella quale ti hanno adagiata, con quell’espressione, improvvisamente serena, propria di chi, indiscussa lottatrice nella vita, sceglie il meritato riposo, con al collo una piccola rosa del roseto di mamma per mano dello zio. Il culmine del mio vuoto l’ho raggiunto arrampicandomi su una cima che non esiste. Il vuoto non è quello spazio dove cadi, ma quel tempo dove resti. Ad aspettare chi vorresti accanto.
Sei scivolata via troppo presto, da vecchietta, eppure, senza mai invecchiare, aggrappata a me, ascoltando, per tutto il tempo, quel mantra così familiare e al cui ritmo ti eri abituata a convivere: nam myoho renge kyo. Mi hai lasciato una specie di marchio, come se la mia pelle fosse quella di una vacca, una di quelle a cui hanno stampato una lettera sulla natica con un ferro rovente. La emme, la mia iniziale del cuore preferita, nel mio caso, indelebile e intima perché la riconosco solo io, ma c’è.
Storie e cicatrici: quello che manca
Emme come Minou, eri davvero l’aristocratica degli Aristogatti, che poi, dal 22 ottobre, il tuo nome ha preso la forma di un pigmento nero che rimarrà per tutta la vita sulla mia caviglia insieme alle impronte delle tue zampine, sì, perché il viaggio non si ferma. Continua…
Alle volte, come adesso, cerco di rimuovere tutto, di fuggire, di chiudermi in un mondo che costruisco come una storia d’avventura. E così continuo a essere divisa tra una realtà che non accetto e una trama che risulta sempre incompiuta. Per il resto non so. Non so che avventura mi aspetta, sai? Mi piace pensare che qualcosa accadrà, consapevole, da buddista, che tutto parte da me, ma forse è solo l’ennesima trama che sto costruendomi per prendere scorciatoie sul dolore vivo, per addolcire, piano piano, la mia cicatrice.
Dovrei lasciare, invece, che quella storia divenga davvero una cicatrice. Le cicatrici possono essere molto utili. E anche molto belle, affascinanti. E’ bello scorrere con le dita su un segno sottile e col pensiero su una traccia nell’anima. Con le cicatrici non ci si convive. Bisogna farne vanto, come i nobili tedeschi che ostentavano la mensur, la cicatrice dei duelli studenteschi, o i guerrieri che le mostrano con onore.
Mi ripeto:
“Fermati.
Respira.
Vai fino in fondo, stavolta!
Agisci!”
Sopravviverti
Il mio scoglio è la perdita, la separazione da chi si ama, l’abbandono, la morte. Penso davvero che per me sia impossibile adattarmi a questo vivere. Sento il richiamo di una foresta, una montagna, un deserto, un mare, un’avventura, di tutti quei momenti in cui metti in gioco solo il tuo corpo. Mi chiedo che cosa fare quando non sono da qualche parte nel mondo dove posso osservare senza intervenire. Il wu wei lo chiamano i cinesi questo atteggiamento mentale. E’ un concetto taoista molto sottile e interessante.
E’ la comunicazione, come l’energia, come il senso della storia: non segue una linea consequenziale rigorosa. E’ caotica, puro Caos, davvero. E questo non sono io a dirlo. A me piace pensarci, riflettere sul caos, sull’indeterminazione, sui nessi non causali ma casuali, sui principi stocastici. L’astrazione ci salverà. E’ la stessa che osservi in una foresta, in un deserto, in pieno mare o montagna, quando guardi scorrere le nubi, il movimento degli insetti, il cambiamento di colore su una foglia.
Un susseguirsi di cose, eventi, sensazioni, comparse che richiederebbero una scelta o una decisione, mentre io, qualche volta – come questa, orfana e smarrita, spero che le cose accadano. Forse, non mi resta che la scelta di non scegliere, la decisione di attendere. Darmi tempo, fare spazio, non accelerare, rallentare, imparare ad amarti, ed amarmi, cercandoti altrove, annusando il tuo odore, che è rimasto, qui, con me. Il Buddismo è azione….vincere o perdere. Voglio vincere. Voglio tornare a sor-ridere. Voglio trasformare la mia sofferenza in un blocco di creta con il quale giocare e trasformare in belle forme. Voglio strappare la bellezza, ovunque essa sia, e regalartela. Sei sempre stata l’altra me, e la conferma è inequivocabile, adesso.
Quello che mi manca di te sono io quando stavo con te
Non ho mai diviso la mia libertà e i miei spazi, così a stretto gomito, con nessuno, sin da quando ero piccola, ribelle quale ero e sono rimasta. Poi, sei arrivata tu e… hai cambiato la mia vita. In meglio. Hai infranto tutte le mie regole, insegnandomi ad essere meno assolutizzante. Sei stata la parte migliore di me, lo sei, ancora. Lo rimarrai. Sempre.
Chi ti ama conosce le pagine dei libri che hai sottolineato, il tuo modo di ridere di nascosto, le canzoni che vorresti ballare lentamente sotto la pioggia. Chi ti ama ti prende la mano e ti conduce negli angoli più bui di te e ti mostra che non c’è nulla di cui aver paura. Mai nessuno è tradito dall’amore puro.
E, detta alla Battisti… Nei tuoi occhi Innocenti Posso ancora ritrovare Il profumo di un amore puro Puro come il tuo amor.
Addio?
“Che cos’è quella sensazione quando ci si allontana dalle persone e loro restano sulla pianura finché le si vede appena come macchioline che si disperdono? È il mondo troppo vasto che ci sovrasta, ed è l’addio. Siamo sicuri? Eppure, devo iniziare a puntare avanti verso la prossima pazzesca avventura sotto i cieli”. Quella sensazione, tal quale, che ritrovo, ironia della sorte, quasi a dimenticarmene, nelle parole del grande viaggiatore Jack Kerouac. Quella strada in cui, ora, suona il silenzio, la stessa strada condannata a non esistere…
E, ancora, come scrive il mio maestro, Daisaku Ikeda, “Ogni cosa ha un inizio, passa attraverso tappe intermedie e arriva a una fine. La fine di una cosa significa l’inizio di un’altra. E’ necessaria una risoluta decisione per ripartire. E’ necessaria la luminosa fiamma dell’impegno e un voto appassionato”. (La nuova rivoluzione umana, Vol.30, p.71, Esperia).
La nostra storia non finisce qui, scriverò pagine di noi, racconti, romanzi, staremo insieme ancora, e ancora: te lo prometto “tubicina”. Il dolore non può togliermi anche la scrittura, non a lungo. La mia storia, da adesso in poi, non può essere di fogli bianchi. Tu non lo vorresti mai, lo so…anche se non ho mai capito quanto, e se, ti piacesse essere così sfacciatamente più social di me. Forse, il meglio di noi ha origine dal peggio di noi. Non è necessariamente un male. Ma è qualcosa che, forse, farei bene a mettere in conto.
L’ultimo gettito d’inchiostro per te è del 7 ottobre, davanti ad un tramonto da togliere il fiato sulle alture di Genova. Noi due, su due ruote, a sperimentare anche l’agopuntura come via alternativa a quella che speravo fosse “la cura” e scrivevo: “Non smetterò mai di sognare, avrò forza per vincere, coraggio per non mollare, pazienza per persistere”#minouandi
Quanto amore, bellezza, calore e vicinanza ha richiamato la “nostra” scomparsa: tu dalla mia vita, e io isolata nella mia tana fuori dal mondo. Nuove splendide amicizie cosmopolite, nate “davvero” e cresciute dal dolore di te, e dalla passione felina, ma verso le quali mi hai “traghettato” tu, per non lasciarmi annegare. Altre che ho lasciato andare, così, semplicemente. imparando ad osservare la mia nuova realtà ad occhi aperti. Un amore infinito, che non si può scrivere, ma solo vivere, in silenzio. Però, oggi, mi ripeto le stesse parole, quasi a darmi quella forza che mi merito, che meriti io faccia emergere.
Oggi
Non smetterò mai di sognare, avrò forza per vincere, coraggio per non mollare, pazienza per persistere#minouandi
Qual è il modo più importante di ricordarti? E’ essere la persona che tu mi hai reso, almeno in parte, e vivere la vita che tu hai contribuito a plasmare. Essere la persona che tu hai contribuito a formare e vivere la vita che tu hai contribuito a modellare non sono solo il modo in cui posso ricordarti: sono il modo in cui devo onorarti. Credo.
Mi manchi tantissimo, ma corri felice e libera… e portami sempre con te. Tra tutte le foglie dell’autunno saprò riconoscere l’unica che, invece di cadere, ha provato a volare. E me ne innamorerò ogni volta.
La tua assenza ha lasciato un vuoto che riempie tutto lo spazio del mio cuore. A distanza di un mese, temo davvero tanto il vuoto, non le catene, non il dolore, sai? La pura essenza del nulla che ti strangola dall’interno e non ti uccide mai. Che coraggio ha la speranza. Va a parlare con i sogni, con l’altrove e con le attese.
Però, va detto, mi sento una campionessa mondiale di vuoto sincronizzato. Hai presente come quando salti alle conclusioni e quelle si spostano, lasciandoti cadere nel vuoto? In quale tempo mi sono ritrovata oggi, in quale epoca? E perché questo sentore di tempesta e di vuoto non corrisponde al cielo azzurro che avevamo attorno?
Buon vento, amore mio. Questo siamo state noi. Siamo. Continueremo ad essere, per sempre.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Maggio, il mese della rosa e dell’amore. Il quinto mese dell’anno è, da sempre, considerato il mese della rosa, il contrassegno della rinascita, di ogni rinascita spirituale, e dell’amore. Questo fiore è da sempre stato associato al mondo femminile e possiamo indicare due figure icona, la dea Venere e, in ambito cristiano, la Vergine Maria.
Il mese della rosa e dell’amore, una nuova stagione
Perché si dice che maggio è il mese delle rose? Semplice, perché è il mese delle dichiarazioni d’amore: l’amore sboccia – si dice. Appendere un ramo fiorito (detto “maggio”) sulla porta della fanciulla amata voleva dire, insieme: sei bella come un fiore, e: il mio cuore è fiorito per te.
Il mese della primavera e… della rinascita
A maggio l’arrivo della primavera, che nei mesi precedenti era stato solo un leggero accenno, una timida promessa, diventa viva conferma. Il pulsare della vita ritorna con i suoi riti negli orti, nei campi e in ogni forma di natura. L’aria si impregna di profumi veloci, nel senso che sono propri dei luoghi e cambiano in fretta come dal giardino al prato, dalla siepe all’aperto campo. Persino i suoni sembrano avere la stessa forma accelerata di una stagione femminile che va di fretta, piena di un vociare all’aperto, nelle serate tiepide e distese del fioretto con ronzii di preghiere attorno agli altari. Quei piccoli e teneri segni di devozione per manifestare un grande amore. E’ il mese della madre e lo era anche prima che maggio diventasse il mese di Maria madre di Gesù.
Maggio, dal Medioevo ad oggi
Il nome maggio deriva dal nome latino maius che avrebbe preso origine, secondo Ovidio, da majores: “gli adulti anziani” a cui i romani dedicavano questo mese. Secondo altri deriverebbe dal nome di Maja, la madre di Mercurio, a cui il mese sarebbe stato dedicato (secondo altri ancora, invece, esso era consacrato al dio Apollo).
Nel Medioevo, poi, il mese di maggio veniva rappresentato come un giovane che portava fiori, oppure come un giovane intento a tagliare il fieno. E’ il mese della fioritura, dell’esplosione della natura, del risveglio completo che segue la sonnolenza di aprile e che precede il fulgore della vicina estate.
Almeno fino alla metà del secolo scorso, il periodo della mezza primavera era ricco di riti, usanze e consuetudini. Un filo unico dalla piantumazione di un albero verde, l’albero de maio,che rappresentava la forza della nuova vegetazione, a el mariazo, che celebrava con la sposa del maio la fertilità della terra madre. Ed ancora la lode delle putele, la tradizione di contrassegnare con rami o altri simboli di lode le porte delle ragazze da maritare. Rituali romani dove i giovani maschi preparavano i “magi” da offrire alle ragazze prescelte che ricevevano dolci, ciambelle, confetti, fiori, rami d’albero impreziositi con nastri e fiori.
I rami d’albero significavano messaggi amorosi cifrati e dichiarazioni d’amore come il “ciliegio-saresara”- “morosa cara”, pioppo “morosa propria” “susino-amolaro” “moroso caro”, mentre le ragazze considerate poco serie, brutte o antipatiche ricevevano regali sgraditi.
Il Calendimaggio
Il Calendimaggio o Cantar maggio, che trae il nome dal periodo in cui ha luogo, cioè l’inizio di maggio, è una festa stagionale che si tiene per festeggiare l’arrivo della primavera. Il Calendimaggio è una tradizione viva ancor oggi in molte regioni d’Italia come simbolo del ritorno alla vita e della rinascita: fra queste la Liguria, la Lombardia, l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria. E’ su questo rituale di gioia e di abbondanza che si innestano anche le feste e le sagre paesane, sia come momento di scambio e vendita delle prime primizie di stagione: asparagi, piselli, ciliegie, fragole, ma anche come momento del ritorno alla vita sociale e dunque alla socialità.
Il mese delle spose
Maggio è anche il mese della ritualità nuziale che si collega, da sempre, al desiderio e quindi all’auspicio di fertilità, di prosperità e di abbondanza come richiamato nel celebre canto della tradizione popolare “Cossa gala magnà la sposa”.
La rosa: il significato, tra colori e numeri
La rosa ha rappresentato, e tuttora, il mondo della femminilità, della bellezza senza tempo, della purezza, dell’eleganza, e dell’amore sia quello innocente, ma anche quello passionale, assumendo così significati ambivalenti. Ogni singola specie racchiude in sé un mondo ed un significato preciso.
Anche ogni colore, del resto, rappresenta un significato particolare: la rosa bianca simboleggia la purezza, la castità, la segretezza e il silenzio. Quella color rosa simboleggia l’amicizia e i buoni sentimenti: la felicità, la stima e l’ammirazione. La rosa gialla rappresenta invece la gelosia, la vergogna, l’inganno e l’infedeltà. La rosa rossa significa amore puro, eterno e ardente, la passione. Quella arancio parla di energia e forza. Quella blu raffigura il mistero e la saggezza.
Regalare le rose: il significato dei numeri
1 ROSA: Amore a prima vista 2 ROSE: L’inizio dell’innamoramento 3 ROSE: Per celebrare il primo mese di fidanzamento 6 ROSE: Nostalgia, mancanza 9 ROSE: La promessa di rimanere per sempre insieme 10 ROSE: L’unione è solida e perfetta 12 ROSE: Dichiarano amore eterno
13 ROSE: Simbolo di amicizia eterna 18 ROSE: Per chiedere scusa 20 ROSE: Si dichiara un sentimento 25 ROSE: Congratulazioni 36 ROSE: Innamoramento folle
E il significato del numero delle rose rosse?
La rosa rossa è il simbolo per eccellenza dell’amore, ma non bisogna sottovalutare il significato del numero di rose rosse da regalare. Scopriamo insieme tutti i significati del numero di rose rosse:
regalare una rosa rossa significa dichiarare un amore nato dal primo sguardo;
tre rose rosse esprimono un semplice, ma profondo ti amo;
cinque rose rosse sono una dichiarazione d’amore profonda che mettete nelle mani della vostra amata;
regalare sette rose rosse esprimono un messaggio chiaro: voglio essere solo tuo;
nove rose rosse esprimono un sentimento puro e sincero: tu mi completi;
regala undici rose rosse alla tua amata per dirle: sei il mio unico tesoro;
dodici rose rosse esprimono un messaggio molto romantico: resta per sempre con me;
quindici rosse per dire: perdonami;
regala ventiquattro rose rosse per dire alla tua amata: sei sempre nei miei pensieri;
trentatré rose rosse per dichiarare un amore profondo e inestimabile;
scegli trentasei rose rosse per ricordare insieme alla tua dolce metà i momenti più belli vissuti insieme;
quarantatré rose rosse per affidare tutto il tuo amore alla persona amata;
un mazzo di quarantotto rose rosse per dire: sono innamorato folle di te;
cinquanta rose rosse per esprimere un amore senza rimpianti;
cento rose rosse è amore eterno.
Forse in amore le rose non si usano più? Comunque sia, questi fiori sono parlanti e il cuore lo sa cosa vogliono dire….
La rosa è la regina di tutti i fiori, da sempre il suo profumo e la sua bellezza incantano e la rendono tra i fiori più amati di tutti i tempi. Coltivata fin dall’antichità è sempre stata usata non solo come dono, ma anche a scopo ornamentale per gli ambienti ed anche per cosmesi e cure. I petali di rosa e le gemme sono, infatti, ricchi di vitamina C, di minerali come il potassio, il rame, lo iodio, inoltre contengono vitamine del gruppo B, vitamina K, fondamentale per le cellule del sangue.
E, inoltre, si possono utilizzare come estratti, fitoestratti, gemmoderivati, decotti, oli essenziali e L’impiego delle rose si perde, davvero, nella notte dei tempi, in particolar modo per quanto ne concerne le essenze e i profumi.
Lo sapevate che?
La rosa è un fiore originario dell’Asia e dell’Europa appartenente alla famiglia delle Rosacee. Si tratta di un arbusto dai fiori profumati e che può raggiungere anche i tre metri di altezza ed il suo diametro variare dai 2 ai 20 centimetri.
Esistono davvero tantissime varietà di rose le quali vengono classificate in base alla forma, al fogliame, ai colori, al profumo. Da ricordare che lo sviluppo dell’ibridazione delle rose è iniziato con l’importazione in Europa, all’incirca due secoli fa, di alcune rose cinesi; l’incrocio fatto diede la nascita delle grandi varietà di questo fiore nel XIX secolo.
Alla scoperta del fiore di maggio
Si stimano circa 150 specie di rosa, ma sono quattro le tipologie di rose da considerarsi tra le più utilizzate: ecco quali.
Rosa Canina
E’ la rosa spontanea più diffusa in Italia, molto frequente nelle siepi e ai margini dei boschi. Talvolta viene chiamata rosa di macchia, oppure rosa selvatica. Questa pianta deve il nome canina a Plinio il Vecchio, che affermava che un soldato romano fu guarito dalla rabbia con un decotto di radici. È l’antenata delle rose coltivate, quella di partenza per le varietà oggi conosciute. Fiorisce da maggio a luglio mentre la maturazione delle bacche si ha in ottobre-novembre.
Rosa Damascena
E’ la regina di tutte le rose, chiamata anche “Rosa dei Profumieri”. Originaria del Medio Oriente ed è coltivata principalmente in Marocco e in Bulgaria. Lavorata completamente a mano, è ritenuta una rosa preziosa, pensate che per produrre un chilo di essenza sono necessari all’incirca 3 tonnellate di petali, i quali verranno poi versati in grandi vasche con acqua dove si avvierà il processo di distillazione per mezzo del vapore. Si dice che ogni fiore abbia 36 petali.
Utilizzata in aromaterapia, questa essenza lavora principalmente sul cuore armonizzando anche tutti gli altri canali energetici, rilassa l’anima, dispone alla tenerezza e apre all’amore, pur donando un certo equilibrio. Il suo profumo infonde gioia e dona coraggio, regala gioia di vivere e serenità. Incoraggia l’amore e l’accettazione di noi. Scioglie i blocchi emotivi causati da traumi o delusioni vissute.
Rosa Mosqueta
Questa tipologia di rosa nasce spontaneamente nel Sud del Cile e nell’America Meridionale e dai suoi semi (ricchi di acidi linoleico e alfalinolenico, carotenoidi, tocoferolo, fitosteroli) viene estratto l’olio. Un vero elisir di giovinezza, per le sue virtù rivitalizzanti, addolcenti e aromaterapiche.
Rosa Centifolia
Originaria della Persia, può essere utilizzata come antidepressivo, antiflogistico, antisettico, antispasmodico, antivirale, afrodisiaco, astringente, battericida, cicatrizzante, depurativo, emostatico, epatico, lassativo, regolatore dell’appetito, stomachico, tonico.
Alleata nei disturbi femminili di menopausa, irregolarità mestruale e dolori legati al ciclo. Tra la fine del XVI e l’inizio del XVIII secolo avvenne un fatto straordinario: i Paesi Bassi introdussero sul mercato circa 200 varietà e variazioni di questo tipo di rosa. Nelle Centifolia c’è un tale addensamento di petali intorno agli stami che li rende praticamente irraggiungibili da parte degli insetti e della mano dell’uomo, e la fecondazione e produzione di semi non è per nulla facile.
Siamo a maggio, il mese della rosa che, nella sua pienezza, è un fiore che lavora sull’energia femminile ed è in grado di riequilibrare mente e corpo. Giorni in cui freschezza, speranza, gioia e fiducia dovrebbero stimolarci ad accendere i nostri cuori, dopo mesi e mesi in ostaggio “dentro casa”, per via delle misure imposte dall’emergenza Covid-19, impegnandoci a 360 gradi per un benessere che solo la natura nei suoi cicli, nelle sue stagioni, nei suoi frutti sa regalarci.
Ogni rosa è uguale a una rosa? Chissà se, dal punto di vista della rosa, noi siamo diversi: se la mano allungata verso il fiore, la narice che ne aspira il profumo, lo sguardo che contempla i petali sono ogni volta differenti per la rosa.
Un fiore selvaggio non dovrebbe dire a una rosa che è la più bella e un soffione non dovrebbe scusarsi con gli alberi se al primo colpo di vento ha perso la sua corolla. Fioriamo tutti in modo unico e originale.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
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