Fast Liguria scende in campo, e a gamba tesa, per gli autoferrotranvieri, in differente linea di tendenza, sull’attuale e discussa questione dell’eventuale obbligo vaccinale, nel posto di lavoro non sanitario, con un comunicato, dell’11 agosto scorso, indirizzato agli autoferrotranvieri, con il quale si dichiara contraria – in assenza di una precisa legge dello Stato – ad imposizioni aziendali, o di altra natura, che mettano in pericolo quel diritto di scelta dei conducenti di bus e metropolitane, protetto dalla Costituzione all’art. 32 secondo comma.
E, precisamente: “In assenza di una legge dello Stato – un eventuale obbligo vaccinale imposto agli autoferrotranvieri non soltanto costituirebbe un pericoloso precedente per un diritto costituzionale, ma sarebbe discutibile, anche alla luce dei comportamenti prudenziali, peraltro adottati da oltre un anno, che hanno visto i conducenti di bus isolati, con un distanziamento sul mezzo, assicurato da una catenella, e con il costante utilizzo della mascherina. Ciò detto non va inteso come un modo per NON assicurare il diritto alla salute e alla mobilità, sia per i dipendenti delle aziende di trasporto pubblico come l’AMT sia per gli utenti che quotidianamente salgono a bordo di bus e metro, in questo periodo caratterizzato dalla pandemia da Coronavirus che si protrae da marzo 2020.”
Fast/Confsal non è nuova a prese di posizioni nette e chiare sui diritti degli autoferrotranvieri tanto che, da circa due mesi, e a livello nazionale, ha contestato l’attuale sistema del conteggio delle ore lavorate dagli autoferrotranvieri, dove vengono segnate e pagate soltanto quelle alla guida e non le soste, oltre a tutte le ore – in cui il conducente resta a disposizione dell’azienda. Questo produce una stortura nel salario effettivo” – sostiene Fast/Confsal -, ma, soprattutto, genera un maggiore sfruttamento psico-fisico del conducente e, con maggior rischio, alla lunga, di inidoneità fisica.
“Proseguiremo sulla linea di chiara e netta tutela e promozione dei diritti degli autoferrotranvieri – conclude il Segretario Regionale della Fast/Confsal Liguria, Mario Pino, sulla questione dei tentativi di obbligo anticostituzionale, sul tema dell’orario di lavoro, su una maggior tutela contro le aggressioni sui mezzi pubblici, sulla pulizia degli automezzi e, non solo, sulle cento questioni, grandi e piccole, che condizionano la vita di lavoro della categoria, sia attraverso la costituzione della nostra nuova rappresentanza sindacale aziendale, in AMT, sia attraverso tutti gli altri strumenti sindacali a nostra disposizione”.
Pertanto, gli autoferrotranvieri, sia vaccinati che non vaccinati, che approvino tali nostre posizioni, troveranno, certamente, ascolto e tutela nella Fast Liguria, la quale, come Sindacato, ha il dovere di difendere il posto di lavoro e i diritti dei lavoratori. Fast Liguria, ribadisce, quindi, la propria contrarietà ad ogni tipo di obbligo anticostituzionale per i lavoratori, dei quali va garantita la libertà e la tutela di tutti i diritti.
Le scelte parlano di noi, si sa. Sono le nostre scelte, che ci mostrano chi siamo veramente, molto più delle nostre capacità. Ma si sceglie per proseguire, non per essere compresi.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Nasce in Liguria il Centro Italiano dedicato alla Lavanda. Nella riviera di Ponente il primo Centro Italiano di formazione, cultura, ricerca e produzione della lavanda: una novità assoluta per fornire a livello nazionale tutto il supporto scientifico e culturale, ma anche di esperienza, necessario allo sviluppo delle attività di coltivazione, diffusione e promozione della lavanda.
Il Centro Italiano di Formazione Cultura Ricerca e Produzione Lavanda nasce in questi giorni, ma è figlio delle solide basi dell’esperienza maturata negli ultimi sei anni con il progetto Lavanda della Riviera dei Fiori, grazie alla collaborazione dei Comuni delle province di Imperia, Savona e Cuneo. La finalità è quella di “fare rete” o “fare sistema” e costituire un valido e reale punto di riferimento per la tutela e lo sviluppo di una produzione come quella della Lavanda.
La lavanda è una pianta meravigliosa, dal colore viola e il profumo intenso, utilizzata in campo estetico, erboristico e casalingo e il cui utilizzo affonda le proprie radici nell’antica tradizione nel nostro Paese.
Il nome francese lavande deriva dal verbo lavare e la pianta è originaria della zona del mediterraneo anche se si coltiva in tutto il mondo. E’ solo in Provenza però che possiamo ammirare dei paesaggi unici con infinite distese di campi di lavanda tanto che a giugno e luglio si festeggia la Festa della Lavanda.
Questa pianta ha una storia molto interessante e delle usanze davvero curiose. Già nel medioevo si utilizzava per lavare e disinfettare i pavimenti e al tempo degli antichi romani si mettevano dei rametti di lavanda nell’acqua dei bagni termali e si usavano per preparare infusi e decotti per la bellezza della pelle e dei capelli. Lo sapevate che la lavanda era la pianta degli innamorati che, per dimostrare il loro affetto, si scambiavano mazzolini di lavanda?
L’utilizzo della lavanda era molto usata anche per aromatizzare il cibo e per curare le malattie. Una leggenda provenzale narra che i guantai di Grasse utilizzavano l’olio di lavanda per profumare i pellami e grazie a questo divennero immuni dalla peste. Nell’800 venivano usate alcune gocce di essenza di lavanda nell’acqua del bucato e ancora oggi si utilizza per profumare gli ambienti. L’olio di lavanda, non a caso, è indicato per le palpitazioni di origine nervosa. Secondo alcuni studi, inoltre, il profumo della lavanda calma l’ansia e stimola addirittura la produttività in un ambiente di lavoro.
La lavanda, poi, ancora oggi, è considerata un portafortuna e una sorta di amuleto per garantire prosperità e fecondità a chi la indossa…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Neet: chi e quanti sono in Italia e in Europa? Sono chiamati Neet, acronimo inglese che sta per “neither in employment nor in education or training” o “not in education, employment or training”, e sono i giovani del terzo millennio, figli dei mutamenti sociali, economici e culturali, e le loro situazioni sono molto diverse tra loro.
Nello specifico, sono gli inattivi, coloro che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi formativi. L’acronimo compare per la prima volta nel 1999 in uno studio della Social Exclusion Unit, un dipartimento del
governo del Regno Unito preoccupato che i giovani “Not in Education, Employment or Training” fossero in una condizione di esclusione tale da favorire l’avvio di carriere criminali.
In Italia sono 2.116.000 i giovani NEET, secondo gli ultimi dati dell’Istat, e la loro condizione è strettamente associata alla fase di transizione all’età
adulta, in cui si passa da giovane ad adulto. La sociologia ci insegna che la transizione nel modello di società occidentale è segnata da cinque tappe: l’uscita dalla casa dei genitori, il completamento del percorso educativo, l’ingresso nel mercato del lavoro, la formazione di una famiglia ed infine l’assunzione di responsabilità verso i figli.
A partire dagli anni ’70-’80 questa fase ha cominciato a diventare sempre più lunga. Se prima il modello era “scuola-lavoro-famiglia”, più o meno alla stessa età per tutti, oggi, però, il percorso è molto più disuguale, personalizzato e imprevedibile.
Se da un lato è più difficile, oggi, per loro, entrare nel mondo del lavoro, è vero anche che, rispetto a prima, si studia di più, si viaggia di più, ci si diverte di più. Insomma, si diventa grandi più tardi per necessità ma, diciamolo, anche per piacere o, per meglio dire, per “dolcefarniente”.
L’influente rapporto dedicato ai NEET da Eurofound, un’agenzia di ricerca dell’Unione Europea, individua cinque sottogruppi all’interno del mondo NEET:
Insomma, una categoria eterogenea, dove c’è l’hikikomori, letteralmente “stare in disparte” che viene utilizzato, in gergo, per riferirsi a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, chi non esce mai di casa, insomma, ma anche il/la neolaureato/a che si prende un anno “sabbatico ” per girare il mondo.
Si comincia, semplicemente, smettendo di studiare, ma senza iniziare a lavorare, viaggiando o stando in casa, come si diceva. Ci sono dei fattori socio-economici che incidono sulla condizione di NEET. Quali sono questi fattori? Il rapporto Eurofound li riassume così:
Con la pandemia in Italia sono aumentati gli inattivi o i Neet, stando in un rapporto trimestrale sull’occupazione pubblicato dall’esecutivo Ue (fonte Ansa). Nel nostro Paese i giovani tra i 15 e i 24 anni che non lavorano né studiano hanno raggiunto il 20,7% nel secondo trimestre del 2020, seguono la Bulgaria (15,2%) e la Spagna (15,1%).
In generale, in tutta l’Ue il tasso di Neet è aumentato all’11,6% nel secondo trimestre del 2020 rispetto allo stesso trimestre del 2019. Mentre il tasso di attività delle persone tra i 15 e i 64 anni è sceso al 72,1% in tutta l’Ue. Nell’Ue, poi, le misure per il Covid sono riuscite ad attutire i cali del reddito da lavoro dipendente soprattutto nei lavoratori meno pagati. Mentre solo in Italia e in Austria le persone con reddito medio hanno avuto una minore riduzione del salario rispetto a chi percepisce stipendi più bassi.
Nell’aprile 2013, è stata adottata la proposta della Commissione europea al Consiglio dell’Unione europea di attuare una Garanzia per i giovani in tutti gli Stati membri. Ridurre il numero di NEET è un obiettivo politico esplicito della Garanzia per i giovani. Questa iniziativa mira a garantire che tutti i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni ricevano un’offerta di lavoro di qualità, formazione continua, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dalla disoccupazione o dal completamento dell’istruzione formale.
Qualcosa si può fare, se è vero che ci sono contesti in cui la sua diffusione è molto minore che in altri. Sono tre le istituzioni cruciali quando parliamo di giovani NEET: il sistema educativo, il sistema di welfare e il mercato del lavoro. Le politiche che vogliono intervenire sul fenomeno devono quindi intervenire sul funzionamento di queste tre istituzioni, creando un contesto dove i giovani abbiano la possibilità e il desiderio di studiare, lavorare e vivere appieno come cittadini “attivi” e, va da sé, giocoforza, prevenendo e/o contrastando l’abbandono scolastico…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Donne e lavoro, il divario di genere al tempo della Covid: cosa è cambiato? Quali sono stati, e sono, gli effetti della crisi da Coronavirus? In Italia i divari di genere sul tasso di occupazione e di inattività sono tra i più ampi in Europa. Una situazione che rischia di aggravarsi nel tempo, a causa delle conseguenze economiche della crisi sanitaria in corso.
Eurostat ha pubblicato un report, a maggio 2020, sui progressi dell’Unione Europea verso i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile stabiliti dalle Nazioni Unite. Tra questi l’uguaglianza di genere, ancora lontana da raggiungere in particolare nel mondo del lavoro, dove la situazione delle donne è ancora fortemente svantaggiata, come sottolineato nel report.
Qual è il ruolo delle donne nel mondo del lavoro? Le donne continuano ad avere più difficoltà degli uomini nella ricerca di un lavoro, elemento reso evidente dal divario occupazionale di genere, che si mantiene stabile negli anni invece di diminuire.
Una disparità dovuta in gran parte a un altro aspetto preoccupante che emerge dal report, cioè l’inattività femminile per motivi di cura. È alle donne che vengono principalmente affidate le responsabilità familiari, di cura dei figli o dei parenti anziani. Motivo che spesso le spinge a rimanere al di fuori del mercato del lavoro, confinate tra le mura domestiche ad assolvere ruoli “assistenziali” verso la famiglia.
Le condizioni lavorative delle donne, il mondo femminile, in sintesi, più fragile e persino più esposto alla recessione da Covid, sta peggiorando a seguito degli effetti dell’emergenza sanitaria. Da un lato, con la chiusura delle scuole, molte più donne che uomini hanno preso la scelta obbligata di rimanere a casa a curare i propri figli.
Dall’altro, i settori lavorativi a maggior presenza femminile sono stati i più colpiti dalle chiusure e dalle regole sul distanziamento sociale: la ristorazione, il turismo e la cultura, le attività commerciali.
Il tasso di occupazione delle donne è di 18 punti percentuali più basso di quello degli uomini, il lavoro part time riguarda il 73,2% le donne ed è involontario nel 60,4% dei casi. I redditi complessivi guadagnati dalle donne sul mercato del lavoro sono in media del 25% inferiori rispetto a quelli degli uomini.
Stando all’ultimo Rapporto Caritas, le donne che hanno chiesto aiuto da maggio a settembre, subito dopo il lockdown, sono state il 54,4% contro il 50,5% del 2019. Una situazione delle donne, insomma, fortemente discriminata.
Il Recovery plan dell’allora governo Conte, il piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato a gennaio 2021, allora, è una occasione da non perdere per cominciare ad aggredire le profonde diseguaglianze di genere che attraversano il nostro Paese, a partire dal mercato del lavoro, sebbene ancora in via di definizione.
All’Italia andranno 210 miliardi di euro, di cui 144,2 miliardi finanzieranno nuovi progetti mentre i restanti 65,7 miliardi sono destinati a progetti in essere. L’azione di rilancio del Paese tracciata dal Piano è guidata da obiettivi di policy e interventi congiunti ai tre assi strategici condivisi a livello europeo quali la digitalizzazione e innovazione, la transizione ecologica e l’inclusione sociale.
E, più precisamente, tra i vari obiettivi mira al rafforzamento del ruolo della donna, al contrasto alle discriminazioni di genere.
La ragione principale del divario occupazionale riguarda il peso del lavoro di cura dei figli, delle persone anziane non autosufficienti e delle persone con gravi disabilità, che grava sulle spalle delle donne e che è assolutamente sproporzionato fra i generi. Il 65% delle donne fra i 25 e i 49, con figli piccoli fino ai 5 anni, non sono disponibili a lavorare per motivi legati alla maternità e al lavoro di cura.
Sono i paesi dell’Europa meridionale e orientale a superare la media europea sul divario occupazionale di genere (11,4). L’Italia è al terzo posto con 19,6 punti di differenza tra occupati uomini e donne, preceduta solo da Malta e Grecia, entrambe con 20 punti di divario.
Se è vero che le donne occupate in Italia sono aumentate nel corso di 10 anni, è altrettanto vero che, ad oggi, sono ancora poco più della metà (53,8%). Dall’altra parte gli uomini occupati sono lievemente diminuiti (-0,4%), ma costituiscono il 73,4% della popolazione maschile.
Sarà necessario continuare analizzare la situazione mese per mese, aspettandoci che le conseguenze della crisi da Covid-19 sul mondo del lavoro e sulla presenza delle donne al suo interno continueranno a farsi sentire nel corso del tempo…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…