Attualità e Cultura

In cammino sul sentiero balcone il Golfo Paradiso

In cammino sul sentiero balcone il Golfo Paradiso. La Liguria offre tanti itinerari escursionistici. Oltre al mare, questo sentiero permette, infatti, di ammirare borghi caratteristici, uliveti e paesaggi collinari. Una passeggiata tra natura, storia e vedute panoramiche sul golfo Paradiso.

Golfo Paradiso e la macchia mediterranea

In questo itinerario, a pochi passi dal mare, dove le scogliere incontrano i terrazzamenti dedicati alla ovicultura, si concentrano molte delle caratteristiche endemiche della costa ligure: il mare, la macchia mediterranea, i terrazzamenti, gli olivi, i castagni. Salendo le antiche e ripide ‘creuse’, alle spalle della spiaggia di Sori, si arriva a Sant’Apollinare per ammirare la bellezza del promontorio di Portofino.

promontorio Porfofino

Ma anche le antiche mulattiere, le chiese, i santuari, le cappelle. Un itinerario tra Sori e Recco alla riscoperta, quindi, delle antiche “creuse” , le mulattiere che si inerpicano tra macchie di flora mediterranea e fasce coltivate ad ulivi. Si perché in questa zona l’olivo ha una lunga ed importante storia, come testimoniato dalla località Mulinetti, presso Recco,  la cui toponomastica rinvia all’originaria presenza di due mulini idraulici ubicati nella valletta del rio Sonega che servivano ad azionare le macine e le presse dei frantoi.

Sentiero balcone Golfo Paradiso

Passando per Mulinetti

Con i suoi giardini che nascondono le ville agli sguardi indiscreti, il mare che lambisce le scogliere su cui queste appoggiano e la piccola spiaggetta cinta dalle colline verdi, Mulinetti può ben definirsi una oasi di pace dove immergersi nell’azzurro del mare e nel verde della pineta mentre si respira il profumo del mare abbronzandosi sul bagnasciuga. In inverno diventa una nicchia suggestiva dove scaldarsi ai raggi tiepidi del sole invernale col profumo dei pini marittimi, protetti dai venti dal nord in una piccola insenatura tranquilla. Chi non la conosce, beh, la custodisce gelosamente nel cuore, come chi scrive, anche se tentata di con-dividerla…

Mulinetti

Da Sori

Da Sori si segue l’Aurelia in direzione Recco individuando a sinistra via Dante Alighieri, bella via scalinata su cui sono evidenti i segnavia della Federazione Italiana Escursionismo (F.I.E.) per Sant’Apollinare. La via sale tra case e terrazzi ad olivo e lungo questa vanno trascurate le vie laterali arrivando nel piazzale di un gruppo di case. Si continua lungo il crinale tra olivi e terrazze per poi affrontare l’ultimo tratto nel bosco e arrivare…

Sori

a Sant’Apollinare, a cui giunge una strada asfaltata. La Chiesa di Sant’Apollinare, già nominata in un rogito del 1195, ha mantenuto la sua semplice ed austera struttura di pieve romanica, nonostante i corpi aggiunti posteriormente. Si sale a destra, lasciando la pista sterrata per Sant’Uberto e prendendo a destra l’ampia via che si dirige verso alcune case.

Panorama della Chiesa di Sant'Apollinare

Davvero seducente, in questo tratto, il panorama sul mare. Dopo poche decine di metri si è ad un importante bivio. Si lascia la pista a destra e si continua dritti.

La Torre saracena di Polanesi

L’ampia mulattiera, vero e proprio balcone naturale su questo tratto di costa, passa sopra la Torre saracena di Polanesi, punto nevralgico del sistema difensivo che, fin dall’Alto Medioevo, fronteggiava le minacce nemiche provenienti dal mare, avvistando le navi dei pirati barbareschi salpate dalle coste del Nord Africa, Algeria e Tunisia in particolare.

torre-saracena-polanesi

Si giunge così in località La Costa, grande versante terrazzato, dove si trascura una scalinata che scende a destra e si continua in quota arrivando ad una dorsale da cui appare buona parte della costa ligure verso il Promontorio di Portofino, con Recco in primo piano e poi  Camogli.

Camogli Golfo Paradiso

Si continua in costa, sempre accompagnati dai panorami sul mare sia verso il Promontorio di Portofino sia verso ….il tratto di costa di Polanesi. Dopo un paio di tornanti in discesa, si prosegue nel bosco, ora in leggera salita, fino ad arrivare…..al fresco impluvio principale, nei pressi del quale vi è un antico fontanile.

Per Ageno

Si continua sempre sulla traccia più importante ma, poco dopo, si è ad un bivio. Ora va trascurata la pista a destra, per Ageno, per continuare dritti e passare sul retro di alcune case. La pista, una bella mulattiera ampia e facile da seguire sale fino ad una aperta dorsale. Qui, si trascura il sentiero che sale a sinistra per continuare sulla via dritta incontrando, poco dopo, un’ampia traccia che taglia la mulattiera. Anche questa va trascurata, continuando dritti, in costa.

sentieri tra Sori e Recco cartografia

Fino alla chiesetta dell’Ascensione

Il percorso scorre ora quasi in piano fino a raggiungere la mulattiera per la chiesetta dell’Ascensione ad una quota di 300 metri che sovrasta l’abitato di Faveto. L’edificio, però, resta a destra, più in basso. Vale comunque la pena raggiungerlo, con una breve discesa di pochi minuti. Tornati ora al bivio di quota 300 metri… si sale dritti, nel bosco, (segnavia rossi FIE), seguendo un’antica mulattiera fiancheggiata da muretti in pietra.

L’alta Croce di Sant’Uberto

Quando si esce dal bosco appare la dorsale da raggiungere, su cui svetta l’alta Croce di Sant’Uberto. Raggiunto un crinale secondario si percorre un tratto più aperto e, senza possibilità di errore, si confluisce infine sul crinale principale, quello che scende dal Monte Castelletto e dalle Case Cornua. Il percorso è ora piacevole e pressoché pianeggiante: ignorato il bivio sulla sinistra per Capreno, poco dopo abbandoniamo il crinale per scendere sotto costa sul lato opposto, seguendo le indicazioni per Sori (segnavia cerchio rosso barrato).

santa-croce-monte-da-pieve-ligure_

Il sentiero perde leggermente quota con splendide viste sia in direzione della riviera, sia verso l’entroterra dove sono facilmente riconoscibili le più evidenti sagome dei monti Caucaso e Ramaceto. Si inizia a scendere con più decisione tra la vegetazione arbustiva, fino ad un punto in cui, un po’ a sorpresa, il sentiero – fino a quel punto panoramico – svolta a sinistra, transitando nei pressi di un casone, e continuando a scendere su una vecchia mulattiera nel bosco, accompagnata da muretti in pietra.

Sant'Uberto

Dopo un primo tratto asfaltato, inizia finalmente una evidente sterrata che seguiamo per un tratto, prima di abbandonarla a favore di un piccolo sentierino che si stacca sulla destra, e in direzione del quale proseguono le segnalazioni. Su una sottile traccia lastricata, ci si inerpica tra i ruderi di un antico muro in pietra, che il percorso costeggia per un buon tratto, prima di piegare verso sinistra e salire con alcuni stretti tornanti su un versante piuttosto ripido.

Il Redentore di Sant’Uberto

Oltrepassato il primo e più faticoso tratto, il percorso modera le proprie pendenze e avanza quasi in piano una volta raggiunto il crinale: di fronte a noi, ecco comparire il Redentore di Sant’Uberto, che spunta tra gli alberi a dominare il paesaggio. Raggiungiamo un tratto aperto, dove finalmente gli alberi diradano lasciando intravedere un bello scorcio del promontorio di Punta Chiappa e della riviera da Recco a Camogli e, in direzione opposta, da Sori fino al Monte Fasce. Il sentiero riprende a salire leggermente, avviandosi deciso verso la statua di fronte a noi, che raggiungiamo senza ulteriore fatica e della quale possiamo ammirare, una volta giunti ai suoi piedi, la grandiosa imponenza.

Redentore Sant'Uberto

Sori - Sant'Uberto - Case Còrnua

Verso la discesa, chiudendo l’anello

Ecco che si raggiunge la chiesetta di Sant’Uberto, posta su un aperto e panoramico spiazzo dominata da un grande pilone votivo. Ora si inizia a scendere sempre lungo il crinale principale, utilizzando un ampio sentiero segnalato. Questo perde quota lungo i boscosi fianchi di Poggio Montone ed infine confluisce su una stradella. 

sentieri e bosco Golfo Paradiso

Tra crose e scalette, si scende incrociando più volte l’asfalto e perdendo quota sempre più seguendo sempre il segnavia cerchio rosso barrato, attraverso via Faveto e salita Faveto. Raggiunto il bivio per Ageno, lo si imbocca tornando per un tratto a salire, quindi abbandoniamo l’asfalto per tenerci a sinistra su una viuzza a tratti sterrata che, con splendide viste sui sottostanti tetti di Recco e sul promontorio di Punta Chiappa, ci accompagna fino alla caratteristica Chiesa di Megli, situata in splendida posizione panoramica sulla riviera. 

Si svolta a sinistra e, in breve, si chiude l’anello tornando a Sant’Apollinare e da qui, con il viaggio dell’andata, a Sori.

Sentieri sopra a Sori

A volte si percorrono strade che il cuore non capisce
e la mente non sa spiegare.
Ma l’anima lo sa.

Esistono strade piccole, strette, riservate, nascoste. Quelle che notano in pochi. Quelle che non urlano per rendersi visibili. Sono fatte di passi semplici, muri scrostati, colori segreti e luminosi. E da qualche parte c’è sempre un’emozione che aspetta di essere raccontata.

 

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Luca, il nuovo film Disney Pixar sbarca in Liguria

Luca, il nuovo film Disney Pixar sbarca in Liguria. Anzi, per la prima volta, Pixar ambienta un film interamente in Italia. Luca racconta di un’incredibile estate, vista attraverso gli occhi di un mostro marino di nome Luca, nella città di mare italiana Portorosso, ispirata alle Cinque Terre e immersa nelle atmosfere tipiche della Liguria.

Luca, il nuovo film della Pixar sbarca in Liguria

Il film Disney in Liguria, alla scoperta dei luoghi

La Liguria e i suoi luoghi, non a caso, hanno accompagnato l’infanzia del genovese Enrico Casarosa, regista del film e il cui cortometraggio La Luna era stato candidato all‘Academy Award. Si è trasferito a New York all’età di vent’anni ed è il primo italiano a dirigere un film Pixar. Il trailer di Luca rimanda tanti particolari che riportano a Genova e alla Liguria: la vespa, il pesto, il gattone di Boccadasse Seppia, tuffi nel mare azzurro delle Cinque Terre. E, ancora, si riconoscono creuze, piazzette tipiche dei borghi sul mare, scorci inconfondibili della Liguria, le trenette al pesto, i pescatori e la focaccia. Nel trailer è presente il Bar Pittaluga (nelle foto c’era anche una focacceria), al suo fianco c’è la Latteria San Giorgio, che ricorda il simbolo di Genova. Poi, una grotta sul mare e gli immancabili gabbiani, ad accompagnare le avventura di Luca.

Luca, il nuovo film della Pixar sbarca in Liguria

Luca e la Liguria

Luca Pixar La Grotta

Luca Pixar gabbiani

Una storia made in Italy

Luca è una storia tutta italiana: i due protagonisti, Alberto e Luca, sono due amici adolescenti, che, nel cuore di un paesino della Liguria, nascondono uno strano e bizzarro segreto: sono infatti due tritoni. Di recente un comunicato stampa ci ha rivelato l’intero cast vocale del titolo, composto da nomi noti dello star system, ma non solo: ce n’è per tutti i gusti! Cominciamo con i doppiatori che partecipano sia alla versione originale del film che a quella italiana: abbiamo Luca Argentero (Lorenzo Paguro), Giacomo Gianniotti (Giacomo), Marina Massironi (Signora Marsigliese) e Saverio Raimondo (Ercole Visconti). Sono presenti, inoltre, a doppiare il titolo anche: Fabio Fazio (Don Eugenio, Prete di Portorosso), Orietta Berti (Concetta), Luciana Litizzetto (Pinuccia Aragosta), Alberto Vannini (Luca), Luca Tesei (Alberto), Sara Ciocca (Giulia), Alberto, il migliore amico d’infanzia di Casarosa (Pescatore), Luciano Spinelli (Contadino di mare) e Nick Pescetto (Contadino di mare).

Quando uscirà?

Luca porta nei cinema degli Stati Uniti d’America un po’ di riviera ligure, in versione cartoon. Uscirà nei cinema americani il 18 giugno 2021. In Italia, il film non uscirà nei cinema, ma sarà disponibile solo sulla piattaforma Disney+ a partire dalla stessa data.

Luca Pixar

Genova e le proiezioni speciali in beneficienza

In vista dell’uscita del nuovo film Disney e Pixar Luca, con la Liguria di Levante protagonista, The Walt Disney Company Italia e MediCinema Italia si uniscono a favore della missione della Organizzazione no profit: portare la cinematerapia negli ospedali e nei luoghi di cura. E, proprio per questo, che MediCinema, con il supporto di Disney Italia, sta organizzando proprio in Liguria alcune proiezioni speciali del film per raccogliere fondi e ampliare le iniziative di cinematerapia a Genova e nel territorio, proseguendo la collaborazione con l’Istituto Gaslini.

Dsney e MediCinema

Dove vedere in anteprima mondiale il film Disney-Pixar Luca? Le proiezioni si tengono allAcquario di Genova domenica 13lunedì 14 e martedì 15 giugno 2021, con accesso riservato ai soli donatori che hanno partecipato alla raccolta fondi. Le donazioni possono essere effettuate dal sito MediCinema.  

 acquario di genova

Le sale Medicinema in Italia

Le proiezioni di Luca hanno come scopo il sostegno alle attività di Medicinema che sviluppa progetti terapeutici costruendo sale cinematografiche nelle strutture ospedaliere e case di cura italiane per offrire la terapia del sollievo attraverso il cinema. Sale Medicinema sono già presenti al Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di MiIano e al Policlinico Gemelli di Roma. Ora, anche grazie alla raccolta di questi fondi, verranno sviluppate nuove iniziative anche a Genova.

Niguardia MediCinema

MediCinema è partner charity di lunga data di Disney Italia e, ormai da diversi anni, promuovono insieme la terapia del sollievo attraverso il cinema portando la magia delle storie e dei personaggi Disney in ospedale.

 

Un sogno animato i cui protagonisti sono la Liguria e… tante storie da raccontare …

Quando i sogni e le speranze si fan veri, nella realtà come nella fantasia, beh, allora, fate largo ai sognatori!


I sogni son desideri di felicità
Nel sonno non hai pensieri
Li esprimi con sincerità
Se hai fede chissà che un giorno
La sorte non ti arriderà
Tu sogna e spera fermamente
Dimentica il presente
E il sogno realtà diverrà!
(Cenerentola)

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San Martino di Licciorno e… i luoghi magici del cuore

San Martino di Licciorno e… i luoghi magici del cuore. C’è un posto in Liguria dove il cuore batte forte, dove si rimane senza fiato grazie all’impatto emozionale del contorno naturale: è la Chiesa di San Martino del Licciorno. Ma, ai piedi delle Rocche di Borzone, le sorprese sono molte. Un itinerario magico tra cascate, sorgenti sanguigne taumaturgiche, ruderi misteriosi come rovine Maya, volti scolpiti nella pietra.

San Martino di Licciorno, al centro della Vallee Stura

Siamo nel cuore della Valle Stura, una vallata dell’Appennino ligure, attraversata dal torrente omonimo, che nasce presso i Piani di Praglia e confluisce nell’Orba all’altezza di Ovada.

Valle Stura

Oggi vi porto in Val Penna, all’interno del Parco dell’Aveto a pochi chilometri da Lavagna. Usciti al casello di Lavagna dell’autostrada A12 Genova –Livorno, si prosegue in direzione Carasco per poi imboccare la provinciale che porta in direzione di Borzonasca. Dopo circa 10 km, appena entrati nel paese, si prende l’incrocio sulla destra per Prato Sopralacroce (provinciale n°49) e, quindi, si prosegue per altri 9 km.

Val Penna

Si arriva, facilmente a Prato Sopralacroce, il paese delle meraviglie, attraverso, però, una strada dalle numerose curve. Arrivati nella piazza (riconoscibile per un monumento di tubi Rossi e l’osteria ), si prosegue per 2,5 km lungo la strada provinciale.

Prato Sopralacroce

Da qui, si può già parcheggiare l’auto e cominciare ad andare a piedi fino a raggiungere la frazione di Vallepiana (15 minuti di camminata) oppure  proseguire in auto – posteggio permettendo – e si arriva, dopo poco, alla Chiesa di Vallepiana, una bella chiesetta gialla sulla vostra destra.
Lì, si trova, su un cancello sulla vostra destra, il cartello con scritto SAN MARTINO DI LICCIORNO. Basta scendere le scale dalla chiesa e prendere il sentierino che scende sotto la chiesa. Percorretelo (3 minuti).

A questo punto, si arriva su un sentiero molto largo e, subito dopo, un sentiero piccolo piccolo sulla destra che scenderà, accompagnato da un paletto di legno con scritto l’indicazione per la chiesa.
Tutto il sentiero è contrassegnato da due lineette rosse parallele tra di loro, sia su alberi che su pietre che su muri, non ci si può sbagliare.
Qua e là, poi, sarà necessario guadare, in qualche tratto, il ruscello che attraversa il bosco. In altri punti, invece, sono presenti caratteristiche passerelle in legno.

La chiesa nel bosco di San Martino di Licciorno

Dopo circa 20 minuti di cammino, si staglierà, quasi all’improvviso, la famosa chiesa nel bosco di San Martino di Licciorno (o Liciorno), votata 4.000 volte come luogo del cuore Fai, che domina una scena così angusta, verde, dimenticata. In questo luogo avvolto dal mistero, ci si muove attorno a pietre che sanno di antico. Viene spontaneo, infatti, chiedersi come potesse essere questo luogo 1.000 anni fa…

Lungo il sentiero che collega le frazioni di Vallepiana e Zolezzi, in prossimità della confluenza tra i torrenti Penna e Borzone, si incontrano i ruderi della chiesa medievale di San Martino di Licciorno, toponimo che sembra richiamare la presenza di boschi di lecci, mangiati dal tempo e dalla vegetazione. Brillano sulla cima piccole tegole di ardesia. Al di sotto, si svelano, appunto, i ruderi della chiesa, immersi nel bosco e che ci porta in un luogo da favola avvolto nel mistero.

Tra storia e…

Misteriosa e affascinante anche la storia della chiesa. Eretta dai monaci Benedettini dell’Abbazia di Borzone durante l’anno 1000,  i ruderi della chiesa di San Martino di Licciorno sono un luogo unico e ricco di fascino nell’entroterra ligure. La muratura superstite sembra appartenere al XVII – XVIII secolo, ma la planimetria potrebbe essere medievale, anche IV secolo. Pare che un tempo ci fosse un nucleo abitato nei pressi, poi scomparso. San Martino fu abbandonata a metà dell’’800. Qui, passava la via del sale e la chiesa, probabilmente, fu costruita per offrire ospitalità a viandanti e pellegrini.

Chiesa San Martino di Licciorno

Tradizione popolare

L’elemento di maggior spicco è il campanile, che svetta tra la vegetazione a sormontare i resti dell’abside e delle mura perimetrali, come un fantasma del passato, immobile e silenzioso. La tradizione popolare ricorda San Martino come la più antica parrocchia della valle, in seguito sostituita dalla chiesa di Santa Maria Assunta di Prato, alla quale risulta storicamente annessa almeno dal 1498. L’unico arredo superstite di San Martino di Licciorno, e qui conservato, è un dipinto che rappresenta i santi Lorenzo, Martino, Rocco, Sebastiano, Antonio Abate che intercedono presso la Vergine e la Santissima Trinità.

Santa Maria Assunta Prato Sopralacroce

L’Abbazia di Sant’Andrea di Borzone

La chiesa nel bosco, risalente al 1298, aggrovigliata dagli alberi, avvolta dal mistero, non è l’unico luogo ad essere carico di energia: c’è anche la misteriosa Abbazia di Sant’Andrea di Borzone, dove sembra quasi di udire l’eco dei canti gregoriani, nel comune di Borzonasca, a 355 metri s.l.m. Il complesso religioso dall’eccezionale valore storico, riferibile al periodo romanico e tardo-romanico,  è probabile che sia nato per opera dei monaci di Bobbio, preceduti nella loro missione evangelizzatrice dai fratelli di San Colombano. Prima di seguire la pista che porta a Zolezzi, borgo del XVI – XVII secolo, si abbraccia l’unico cipresso ultracentenario sopravvissuto, silenzioso testimone di secoli di storia insieme alla vicina abbazia. Un luogo solitario e suggestivo.

Abbazia San Andrea di Borzone

La passeggiata dei ciliegi

Proseguendo la passeggiata, attraverserete, sempre al fresco e all’ombra, il bosco, scendendo prima e risalendo poi verso la piccola frazione di Zolezzi.

Da qui, si trovano, via via, in successione, diversi ciliegi che, in stagione, vi attireranno col loro prezioso carico di frutti che propendono su una strada pubblica…

Proseguite lungo la strada asfaltata, che è completamente pianeggiante, per circa 1 chilometro. Anche in questo tratto sono presenti alberi da frutto mentre a bordo strada, faranno capolino, qua e là, e in stagione, anche le succose fragoline di bosco che possono essere tranquillamente raccolte.

La nostra prossima meta è un oggetto ancora più misterioso della chiesa: il famoso volto megalitico di Borzone.

Il volto megalitico di Borzone

Poco distante, presso il borgo di Zolezzi, in località Rocche di Borzone, e  sotto la rupe, c’è un’enigmatica scultura si trova il famoso volto rupestre di Gesù Cristo, una delle sculture megalitiche più grandi  d’Europa.

Con i suoi 7 metri di altezza, venne scoperta nel 1965 da Armando Giuliani, assessore del Comune di Borzonasca e, da allora, ha continuato a suscitare interesse nel mondo scientifico quanto alla sua origine.

La leggenda vuole che siano stati i Monaci Benedettini del monastero di Sant’Andrea di Borzone, edificio che divenne Abbazia nel 1184, a scolpire il volto di Cristo nella roccia.

Il Volto megalitico di Borzone

Altre teorie, invece, sostengono che l’opera possa avere origini molto più antiche, risalenti addirittura al Paleolitico Superiore.

Certo è che quel volto enigmatico che ci guarda immerso nella vegetazione, racchiude in sé fascino e mistero di un tempo lontano e questo resta, indiscutibilmente, il motivo principale che spinge molte persone a salire quassù per ammirarlo.

Sulla via di ritorno

Si torna poi dallo stesso percorso: circa 5 km fra andata e ritorno, e  con un dislivello di 245 metri. Rientrare a Prato è altrettanto suggestivo piacevole. Dopo venti minuti di sentiero nel bosco, si imbocca una carrozzabile e poi l’asfaltata, con vista sulla valle.

Chiesa San Martino di Licciorno

Si riparte per la sorgente rossa e…

E, si continua, riprendendo l’auto fin sopra Zanoni alto, al sentiero per la cascata da Cianà. Un quarto d’ora a piedi, eccoci di nuovo in un bosco. Poco prima della cascata, incontriamo la sorgente di acqua ferruginosa.

sorgente acqua rossa

Curiosità: nell’’800, grazie a quest’acqua carbonico-ferruginosa ricostituente per chi soffre di “anemia, affezioni epatiche e gastroenteriche” e non solo, Sopralacroce diventa una stazione termale molto frequentata (400 posti letto), almeno finché non arriva la moda delle sorgenti di alta montagna. Oggi, è una cannetta che butta fuori acqua rossastra.

verso la cascata bianca

Poco sopra, ci si dirige verso la cascata da Cianà, tra le rocce e il verde: una bianca visione rinfrescante, inaspettatamente alta, e gonfia d’acqua. E, dulcis, ci aspettano un castagno elefante e una palestra di roccia …

Cascata da Cianà

A volte vorrei raccontare l’odore del bosco. È legno umido, pietra, muschio, qualcosa di smosso nel terreno (forse l’abisso?), un principio di frutta e bacche e foglie, una scia lasciata da fate o principesse e il pelo selvaggio di qualche animale.

Perdersi nei boschi, in qualsiasi momento, è un’esperienza sorprendente e memorabile, e insieme preziosa…

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Enchantè! Je suis Marc Peillon…

Enchantè! Je suis Marc PeillonMa davvero la musica ha il potere di unire in un modo così unico e magico? C’è un detto latino che parla per tutti. “Vis unita fortior. – La forza unita è più forte”. Personalmente, la musica mi ha “cresciuta” così, a sentirmi unita con i miei “pezzi” sparsi, mi ha insegnato a farne un collante naturale. Non nei numeri, ma nell’unità sta la nostra grande forza. E, la musica, lo sa bene…

Marc Peillon

Dalla musica classica

Provengo da una formazione musicale classica, che mi ha accompagnato per anni e anni, per poi interrompersi bruscamente, ma questa è un’altra storia. Così che, dieci anni dopo e, per motivi di lavoro, è tornata – la classica – nella mia vita anche se, di fatto, non aveva mai traslocato, non dal cuore. Vivevo a Modena, dove sono nata e ho vissuto per 35 anni. Sono stati bei momenti e …”i migliori anni della mia vita”.

Al Jazz

In seguito, a Genova, la mia terra d’adozione, ho iniziato a frequentare l’ambiente cantautorale e jazzistico: davvero un altro mondo, più ruvido, più matrigno, meno romantico, diciamo. Spesso, ascoltavo i discorsi che nascevano tra i jazzisti e, con grande rammarico, perdevo, via via, un po’ di incanto, di poesia, di leggerezza perché tra una critica e l’altra verso quel jazzista o tal altro, a farne le spese era sempre e solo la musica. Sì, perché dei nomi te ne scordi, presto, ma le note e i colori della musica ti rimangono sotto pelle…

La musica è una macchina che alcuni usano per entrare in un altro mondo, altri per danzare, altri per trovare la pace e altri per sentire che sapore hanno le ferite.

L’incontro

Poi, succede che vengo invitata ad un concerto ad Ospedaletti, una piccola cittadina in provincia di Imperia, nell’estremo ponente ligure, disposta ad anfiteatro sulle pendici soprastanti l’insenatura. Ed è proprio l’Auditorium Comunale la cornice che mi accoglie per quella indimenticabile serata musicale. Lì, finalmente, respiro un’aria familiare, intima, che riconosco appartenermi, trovo un gruppo di musicisti, sì, ma anche amici fraterni, si parla, si raccontano storie – le loro -, si torna indietro nel tempo, ma unità, complicità e magia sovrastano la scena e mi lasciano quella sensazione di “tornare a casa”.

On Air - la famiglia

Je suis Marc Peillon, il potere della musica

Il gruppo è formato dal pianista Alessandro Collina, dal contrabbassista Marc Peillon e dal batterista Rodolfo Cervetto, ospite Philippe Petrucciani, uno dei maestri indiscussi della chitarra jazz e fratello del geniale Michel, pianista jazz tra i più apprezzati di tutti i tempi scomparso prematuramente. Un genio umano e sovrumano.

E come dimenticarsi di quell’incontro con Marc, un “ragazzo” così elegante, allegro e pieno di vita che si presenta così: “Enchantè! Je suis Marc Peillon…”. Di lui ricordo tutto, ma una cosa su tutte: quella “joie de vivre” che ti fa toccare il cielo con un dito. Prima della sua ‘ricca’ biografia, arrivava il suo sorriso disarmante, la gentilezza, l’allegria, l’eccentricità della sua vita a colori. Insomma, ad essere triste, con lui, c’era da vergognarsi. Eh già, non è così difficile riconoscere qualcosa di prezioso, quando lo incontri. Non brilla, riempie. La sensazione che mi rimandava lui era così tattile e netta. Lui sapeva, davvero, leggere oltre le righe, oltre le note, oltre i colori, lui non aveva bisogno di capire, di chiedere. No, lui sentiva con gli occhi, con il cuore, nel silenzio e con l’ascolto: erano i suoi principali strumenti da affiancare al contrabbasso. E, quando un musicista cerca questo “contatto profondo” nel pubblico, in chi lo ascolta, allora, arriva prima la persona che la sua arte. Lui ci riusciva.

Gli amici fotografi “dei 5 a.m.”

Con loro ci sono anche due fotografi, che percepisco, da subito, essere parte integrante di quella famiglia: Umberto Germinale, che lì era di casa, e Lello Carriere, sanremese ma, da anni, trasferito a Lanzarote. L’armonia e il divertimento sfociano in una bellissima serata piena di racconti e note. Quelle serate destinate, immediatamente, a lasciarti un segno e a non esser più dimenticate. Erano davvero – con loro – una sorta di “5 a.m.” in un tutt’uno che parla di amicizia, tra musica e immagini sempre evocative perché scattate, prima di tutto, con l’otturatore del cuore.

I fotografi dei 5 a.m.

 

Mi colpisce moltissimo la fisicità ‘maschile’ con cui si abbracciano e che parla di un legame molto profondo, “antico” e ti rimbalza sensazioni forti, fortissime.

Te ne accorgi subito e l’attenzione si sposta su Marc che, con il suo modo di porsi, è decisamente un catalizzatore. Era l’estate del 2009. Nasce un amicizia meravigliosa che purtroppo si interrompe bruscamente con una violenta notizia, arrivata via messaggio, il 16 maggio 2020, in pieno lockdown…

Quella data si porta via tanta ricchezza umana, tanta vita e racconti di vite, sogni ancora da realizzare e … qualche promessa. Il trio “On air” cessa di esistere.

La cosa mi stupisce perché nel jazz solitamente c’è una grande rotazione, al di là dei rapporti di amicizia, ma Rodolfo (ndr, Rudy)  e Alessandro (ndr, Ale) decidono di rendere l’ultimo omaggio ad una persona che era molto di più di un amico. Tra loro si era, immediatamente, instaurato un modo di viversi intenso, pelle su pelle, cuore-cuore e con una complicità eccezionale.

Esce così in rete un loro live del 2012 con book fotografico di Umberto Germinale, della Phocus Agency. Proprio il noto fotografo di Ospedaletti e amico fraterno nonché direttore artistico del festival “Jazz sotto le Stelle”.

C’erano una volta: 5 a.m.

Partiamo dall’inizio, facciamo un passo indietro, ai 5 a.m. Il nome del loro primo gruppo lo aveva scelto Marc: 5 perché erano in 5. E, ancora, 5 come le iniziali dei loro nomi: A per Andy e M per Mike. E, non solo, 5 a.m. come le cinque del mattino: “la sveglia che avevamo messo dopo un concerto”.

Ma per raccontare questo concerto, che è anche stato l’ultimo di questa formazione, bisogna andare ancora un po’ più indietro e coinvolgere, da vicino, Alessandro e Rudy che mi raccontano come nasce questa storia.

Ale incontra Marc a Nizza. Era il 1998 ma, nonostante la stima reciproca,  non collaboreranno fino al 2008, per un concerto al Borgo Club, che li vede suonare tutti e tre insieme nello storico Jazz Club genovese di via Vernazza, che ha chiuso qualche anno fa.

Alessandro Collina con Marc

Rudy, invece, incontra Alessandro nel 2000 e la loro collaborazione è, da subito, molto assidua ma, ancora una volta, l’incontro con Marc diventa determinante per maturare ancora. Insieme.

Rudy e Marc

Il primo concerto

Il primo concerto è del 2008, ad Alassio, “Città degli Innamorati” e famosa per il suo Muretto, uno dei simboli della cittadina ligure, il cui concorso di bellezza nacque nel 1953 e continuò fino al 2014. Del resto, ad Alassio, nel Savonese, tutto parla d’amore. Basti pensare alle numerose opere d’arte presenti nella cittadina: gli Innamorati in bronzo di Eros Pellini, Les amoureux di Reymond Peynet, le Cicogne di acciaio di Umberto Mastroianni e i romantici Pesciolini che si baciano ideati da Mario Berrino, il promotore delle attività legate al Muretto. Insomma, la città degli innamorati a tutti gli effetti, con tanto di specialità tipica dal nome davvero lovely: Baci di Alassio.

E, proprio in questa cornice così romantica, inizia la loro frequentazione. Suonano spesso insieme e nascono, di fatto, i 5 a.m. Il gruppo si completa di due musicisti americani: il trombettista jazz Andy Gravish e dal sax tenore Michael (ndr, Mike) Campagna, uno tra i più originali nuovi talenti nel jazz di oggi, che ha condiviso palcoscenici con una vasta gamma di musicisti leggendari come Charlie Haden, Maria Schneider,  Bobby Short, The Toshiko Akiyoshi Big Band  e The Duke Ellington Orchestra, ma l’elenco continua. Il sound del gruppo ricorda i gruppi hard bop degli anni ’60.

Andy Gravish e Mike Campagna

5 am

Il primo disco

Le composizioni sono tutte originali e nel 2009 registrano il primo disco. Dopo tanti anni insieme, e tanti tour, il gruppo è costretto a sciogliersi perché Andy, che per un certo periodo ha vissuto a Roma, torna a New York e Mike a Miami. E, come spesso succede, nel mondo dell’arte e della cultura, le spese per portare avanti il progetto diventano insostenibili e, nonostante il repertorio pronto per un nuovo disco, tutto sfuma. Ma resta una registrazione dell’ultimo concerto. Negli anni successivi, però, Marc, tenace e determinato com’è, proverà a convincere tutti a stampare il disco, ma invano. Resta un “sogno nel cassetto”. Il trio non si ferma, continua a “macinare” concerti, anche con altri artisti, ed è così che la collaborazione con il trombettista e compositore torinese Fabrizio Bosso porta ad un altro disco.

5 am studio di registrazione

“Michel On Air” dedicato a Michel Petrucciani

Un altro disco, “Michel On Air”, dedicato a Michel Petrucciani. La musica vola alto e, ormai, il sodalizio a tre è consolidato, musicalmente, con una propria identità sonora tanto che l’etichetta Egea Records propone di accelerare la comunicazione in questa direzione. Nasce così il trio “On Air”, il disco ha un successo inaspettato, soprattutto in America.

Il trio On Air, che ha al suo attivo 4 cd prodotti da Egea, uno dei quali dedicato a Michel che nel 2014 raggiunge il 28esimo posto nella classifica jazz statunitense. Il linguaggio di Fabrizio Bosso va, così, ad incastrarsi alla perfezione nelle sonorità del trio permettendo alle quattro personalità di esprimersi in piena libertà e ascolto dell’altro dando vita ad un mondo sonoro in continuo movimento che passa da ambienti rarefatti ad una pulsazione tipica della black music.

5 am studio di registrazione

Il successo ha dell’incredibile come i risultati perché l’etichetta è canadese, nel gruppo non ci sono musicisti americani e le musiche sono dei fratelli Petrucciani. Anche DownBeat, la rivista statunitense dedicata alla musica jazz, nata a Chicago nel 1935, recensisce il disco dando 4 stelle su 5. E, non è tutto, ci sarebbe anche l’opportunità di fare un tour negli States ma, per ragioni manageriali, questo sogno non si realizza.

Nel 2015, poi, si torna in studio di registrazione, lo Zerodieci Studio del musicista, produttore e fonico genovese Roberto Vigo. Questa volta il trio decide di rendere omaggio alle canzoni italiane famose in Francia e a quelle francesi famose in Italia. Ci vuole un suono graffiante e malinconico così la scelta cade su Max Ionata, uno dei maggiori sassofonisti italiani della scena jazz contemporanea che, in pochi anni, ha conquistato l’approvazione di critica e pubblico riscuotendo sempre grandi successi in Italia e all’estero.

Poi, le musiche di Monk

Il 2016 è la volta delle musiche di Thelonious Monk, pianista e compositore statunitense, un gigante indimenticato del jazz. Alessandro Collina, che ha suonato con Paul Jeffrey, ultimo sassofonista di Theloniouis, mi racconta che durante i loro tanti viaggi si parlava spesso di come il suono di un sax alto sarebbe stato perfetto per quei pezzi, sebbene Monk usasse sempre tenoristi. Ecco che si pensa a Mattia Cigalini, uno dei più affermati saxofonisti italiani, nonostante la giovane età. Una decisione felice, il disco funziona e il progetto andrà avanti con alcuni piccoli tour.

5 am studio registrazione

Dal 2017, il trio continua a lavorare insieme e registrano due dischi per il trombettista Marco Vezzoso. Nel 2018, prende l’avvio la collaborazione con Philippe Petrucciani (che già suonava con Rudy e Alessandro ) e si inizia a lavorare per un nuovo progetto, ma due implacabili tsunami ne interrompono la continuità: il fermo imposto dalla Covid-19 e la scomparsa di Marc. 

C’è un prima e un dopo

Marc Peillon nasce a Nizza nel 1959, si diploma al Conservatorio nizzardo per poi insegnare basso e contrabbasso al Conservatorio di Antibes e ricoprire il ruolo di vice direttore di quello di Beaulieu sur Mer. Di rilievo il suo contributo nell’associazione “Pepita Musiques et Cultures“ come direttore artistico e ideatore dei festival “Saint Jazz Cap Ferrat”, “Cap Jazz” e più recentemente “Jazz Entrevoux” a Entrevaux con il supporto di Philippe Déjardin, suo braccio destro.

Marc Peillon

E un dopo…

Un malore improvviso e assassino, un ictus, se l’è portato via, di domenica, a soli 61 anni di età. La notizia fa eco, il mondo della musica jazz piange un grande personaggio, protagonista assoluto della scena jazzistica della Costa Azzurra e il suo ricordo è, ancora oggi, più vivo che mai.

Che ne sarà, dunque, di On air?

Né Rudy né Alessandro hanno più alcuna voglia di “andare avanti”, ma non per la mancanza di musicisti che possano sostituire Marc. No, no,  semplicemente perché quello che non si può sostituire è il rapporto umano con-diviso in anni di viaggi in auto, sveglie, pernottamenti in hotel alle 5 del mattino, in aeroporti, in autogrill, di bevute, di scambi di opinioni,  di nottate passate nella stessa camera “per ridurre le spese”, a confidarsi dei tanti problemi, ma tutto affrontato, sempre, insieme. Anche le vicende personali. Eh, sì, perché On Air era una famiglia. Ed è rimasta tale nel cuore. I ricordi sono tanti, alcuni dei quali me li raccontano, tra sorrisi e malinconia, soffocando in gola le lacrime, rendendomi partecipe privilegiata di tanta intimità e passione, in tutto e per tutto.

rimane la musica

Ricordando Marc Peillon, un anno dopo…

“Di notte – racconta Alessandro – gli piaceva guidare, nonostante la stanchezza, che sembrava non avvertire mai. La notte la viveva in modo totalizzante. L’altra cosa geniale – di lui – durante i nostri tanti viaggi, guardando il cielo, le stelle, gli veniva l’ispirazione per tanti progetti. E mi costringeva a registrare tutto sul cellulare per non perdere la vena creativa e fissare l’attimo. Poi, il sorriso, le sue risate, la sua energia inesauribile: vissuti davvero irrepetibili”…

Ale ricorda Marc

“Di Marc – ricorda Rudy – mi colpì, da subito, la sua diplomazia e la capacità di fare squadra, la voglia di superare le avversità senza mai alzare i toni. Anche la fantasia faceva parte delle sue caratteristiche principali, aveva sempre idee, forse anche troppe; infatti, beh, alle volte, sul palco si lasciava andare e, diciamocelo (ndr, sorride) Ale ed io faticavamo un sacco per “tenere in piedi la baracca”. Alla fine del concerto, gli facevamo notare le sue “licenze poetiche “, eppure “ci facevamo un sacco di risate”…

Rudy e Marc

Ed io?

Il ricordo più intenso che ho – di Marc – è ad Ospedaletti, quando lo conobbi, su una panchina, al tramonto inoltrato aspettando l’inizio del concerto, a parlare di vita, di filosofia di vita, e del senso della vita, con quel suo sorriso capace, sempre, di convincerti, oltre ogni dubbio, con il mio debole francese parlato al quale lui rispondeva con un inglese italianizzato. Parlammo di musica, del ritmo della musica, di cercare lo stesso ritmo anche nella vita, nei legami che ci mettono più a nudo. Mi disse che lui non scindeva mai, ma viveva tutto “in musica”: ascoltava, leggeva e viveva al ritmo della musica. Gli piacque, da subito, leggermi, la mia scrittura, le recensioni musicali che scrivevo alla fine di ogni concerto. Poi, fissandomi dritto negli occhi, serissimo e fermo, alla penombra, come un cambio di scena destabilizzante, mi paralizzò con tanta ricchezza responsabilizzante: “Je lis au-delà des mots. Votre écriture est musicale, sonore et passionnée. N’arrêtez jamais de chercher ce rythme: pouvez-vous me le promettre?” Capivo bene il francese, sebbene lo parlassi peggio, e mi fu molto chiaro il messaggio, sebbene facesse ormai buio, ma gli occhi non avevamo bisogno di luce ‘esterna’: “Leggo oltre le parole. La tua scrittura è musicale, sonora e appassionata. Non smettere mai di ricercare quel ritmo: me lo prometti?”.

La promessa

E, allora, dopo un anno, ti dovevo una promessa “segreta”, Marc. Non ho smesso, mai, di cercare quel ritmo, l’ho perso, però, più di una volta, e mi succede spesso, ma riascoltando quell’ultimo concerto del 2012, che grazie ad Alessandro ho intercettato sui social, e rivendendo tanta e tale vita, gioia e amore in tutte queste foto nel rigoroso bianco e nero di Umberto Germinale, degli attimi di vita dei 5 a.m., ho voluto mantenere la mia promessa. Come? Raccontandovi un pezzo della sua storia, della loro storia, in punta di piedi e umilmente, perché lui è stato molte cose, molte musiche, tante vite. Un grande e carismatico comunicatore di suoni.

E…questo viaggio nel ricordo di chi è Marc, di chi era, non sarebbe stato possibile senza gli altri “pezzi” viventi di Marc Peillon: Alessandro Collina e Rodolfo Cervetto.

In Memory of Marc Peillon

Nei loro dischi c’è tanto di quella vita con-divisa e, un orecchio attento e occhi spalancanti all’incanto, sapranno sicuramente cogliere quella magia e quel sentire di “tante storie da raccontare”. E, allora, come è successo a me, “per caso”, vi consiglio di ri-ascoltare quel concerto Live at Saint Jazz Cap Ferrat del 12/08/2012, uscito all’indomani della scomparsa di Marc, il 17 maggio 2020, e capirete perché, come dicono Alessandro e Rudy, “anche questa volta Marc aveva ragione”.

È necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme.

Il silenzio

Marc è nel cuore e come diceva lui “si tu n’es pas silencieux tu ne peux écouter”. Il silenzio della notte, delle tanti notti insieme ai suoi compagni di “viaggi“, a mordere la vita, a raccontarsi le loro vite. Alle cinque del mattino, anno dopo anno, per quasi vent’anni. E, proprio nel silenzio, nella notte o, magari, alle 5 del mattino (?!…), ironia della sorte, Marc ci ha lasciati, improvvisamente, senza far rumore, per l’ultimo “coup de théâtre“…

Il silenzio di Marc Peillon

I momenti più belli della vita sono quelli che, uniti insieme, formano un percorso.

Beh, Marc, non volevo mettermi fretta, però la parola data va mantenuta entro questa vita – come scherzammo sulla panchina -, ricordi?

 

 

 

 

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Il Castello della Pietra e il Sentiero dei Castellani

Il Castello della Pietra e il Sentiero dei Castellani. Sulla provinciale che s’incunea nella gola scavata dal torrente Vobbia, all’interno del Parco dell’Antola si può scorgere un capolavoro di architettura castellana ligure: il Castello della Pietra.

Il Castello della Pietra: ecco l’itinerario

Il millenario Castello della Pietra è un gioiello dell’entroterra genovese, non lontano dalla città, situato in una pittoresca e scenografica posizione elevata, mirabilmente incastonato tra due speroni di conglomerato roccioso che ne costituiscono i bastioni naturali. La struttura si nota dalla strada che costeggia il torrente Vobbia, risalendone il corso da Isola del Cantone.  Un buon punto di riferimento per fare il percorso ad anello Torre (Vobbia) – Sentiero dei Castellani – Castello della Pietra, – Strada Provinciale per Vobbia – Torre (Vobbia).

Castello della Pietra

Come arrivare al Castello della Pietra? Occorre uscire al casello di Isola del Cantone dell’autostrada A7 Genova – Serravalle. Seguire le indicazioni per Vobbia. Dopo qualche chilometro, a sinistra, troverete chiare le indicazioni del punto di partenza del sentiero e un piccolo posteggio. Si può percorrere il sentiero breve, che parte dalla provinciale tra Vobbia e Isola del Cantone e dura circa 20 minuti. Un altro modo per arrivare al castello è quello di raggiungere Vobbia, e in particolare la località Torre (attraverso una strada in salita che si apra alla vostra sinistra, poco prima dell’ingresso in paese) e, da lì, imboccare il Sentiero dei Castellani. In circa un’ora e trenta di cammino (massimo due), raggiungerete il Castello.

Il Sentiero dei Castellani

Il sentiero è piuttosto lungo (circa 1 ora e 30 di cammino e 4 km di lunghezza), ma non particolarmente difficoltoso e molto panoramico in alcuni tratti. Per chi proviene da Genova, il sentiero si raggiunge percorrendo l’autostrada A7 Genova-Milano, uscire a Busalla, poi imboccare la strada provinciale 9 per Crocefieschi. La provinciale che giunge a Vobbia segue uno spettacolare canyon; superato il ponte sul torrente Vallenzona, si raggiunge in breve località Torre. In treno, dalla stazione ferroviaria di Busalla, coincidenza con il servizio extraurbano per Vobbia.

Il Castello della Pietra e il Sentiero dei Castellani

 

Un tuffo nel Medioevo, a pochi minuti da Genova

E’ un antico percorso medievale all’interno del cosiddetto “Conglomerato di Vobbia” nel quale sono ricostruite, passo dopo passo, la storia e le tradizionali pratiche della gente della valle. Il sentiero si snoda, infatti, lungo il canyon del torrente Vobbia, fra i calcari del Monte Antola e il conglomerato oligocenico, fra le antiche testimonianze della produzione del carbone da legna e l’utilizzo del castagno. L’ascesa non è particolarmente lunga, ma è piuttosto ripida. Se fatta in autunno, l’occasione può anche essere buona per una copiosa raccolta di castagne nei boschi della zona (la raccolta funghi, invece, è regolamentata). Molto bello il tratto finale, su passerelle in legno e metallo letteralmente “appese” all’enorme torrione roccioso che fa da supporto all’ardito castello.

Si può, poi, discendere attraverso il sentiero che porta sulla provinciale e, percorrendo circa 2,5 km sulla strada asfaltata, tornare a località Torre, completando così l’anello. 

Castello della Pietra

I dieci punti del sentiero

Il sentiero prevede 10 punti che parlano delle tradizione e delle peculiarità del luogo:
1. Il Poggetto su cui con ogni probabilità sorgeva una torre di avvistamento al servizio del castello;
2. La forra – profonda gola con affioramenti di argilloscisti – e flora rupestre;
3. La civiltà della castagna: ruderi di un secchereccio;
4. La produzione del carbone di legna: “piazzola da carbone”;
5. Panorama sul canyon della Val Vobbia (da non perdere);
6. Calcari del monte Antola e conglomerati di Savignone;
7. Il bosco;
8. Belvedere sul castello;
9. La zona umida;
10. Area di sosta attrezzata. (utile per una sosta o per un picnic nel verde)

Perché della Pietra?

Il Castello della Pietra, gioiello del Parco dell’Antola, è un esempio davvero unico di architettura medievale in cui l’elemento naturale si fonde magistralmente all’opera dell’uomo e lo completa. Anche se le mura si trovano strette tra due grandi torrioni di puddinga, l’appellativo dell’architettura difensiva medioevale deriva dal nome della famiglia della Pietra, che ne fu proprietaria fino al 1518, anno in cui il maniero passò agli Adorno fino ad essere abbandonato a seguito del trattato di Campoformio (1797) che sanciva la fine dell’epoca feudale. L’imprendibile roccaforte rappresenta il più originale dei manieri che durante l’epoca dei feudi imperiali dominavano le valli risalenti verso il Monte Antola.

Castello della Pietra e vista

Lo sapevate che …?

Il castello, dal 1993, è visitabile negli ambienti interni grazie a interventi di recupero: cisterne, segrete, camini, scale, posti di guardia, camminamenti di ronda e l’ampia sala centrale che occasionalmente diventa protagonista di rappresentazioni teatrali, concerti, sagre e mostre. Nel 2014, si sono svolti lavori straordinari lungo il Sentiero dei Castellani e alla struttura con la temporanea chiusura del sito al pubblico. Questo castello nel parco dell’Antola si articola in due corpi impostati a quote differenti. Caratteristica è la cisterna scavata nella roccia ai piedi del torrione (sperone roccioso naturale) ovest, in cui erano convogliate le acque piovane dei tetti, anche per mezzo di canali di raccolta scavati nella roccia, ancora in parte visibili. La cisterna è accanto al salone centrale sotto il cui pavimento è presente una seconda cisterna.

E’ nuovamente visitabile dal…

Una bella notizia per gli amanti del trekking. A partire dal 15 maggio 2021 ha riaperto i battenti il Castello della Pietra di Vobbia, millenaria roccaforte che domina la valle, nel Parco Naturale Regionale dell’Antola. E’ nuovamente visitabile nelle giornate di sabato e domenica e nei festivi fino al 1 novembre 2021, ma vi si può accedere solo su prenotazione e con visite guidate alle ore 10:30 – 12 – 13:30 – 15 e 16:30 (con prenotazione obbligatoria entro le ore 12:30 del venerdì precedente la data prescelta). L’accesso è consentito previo pagamento anticipato dei biglietti d’ingresso e ad un massimo di 12 persone per turno di visita (qui il regolamento per accedere al Castello della Pietra). La prenotazione va effettuata contattando telefonicamente l’Ente Parco dell‘Antola al numero 010 944175 dal lunedì al venerdì dalle ore 8.30 alle 12:30.

Tra leggenda e racconti

Nei giorni festivi dei mesi estivi, è possibile visitare il castello con una visita guidata molto interessante, anche per i bambini. La bravissima guida, infatti, vi accompagnerà lungo le stanze del castello, raccontandovi di come si svolgeva la vita all’interno, le battaglie che vi sono state e le leggende della zona, dal famoso ponte di Zan (o ponte del diavolo), a quella del pianoro dirimpetto da dove, nelle notti di luna piena, dal castello si possono vedere le streghe ballare!

Vi ricordate il castello incantato delle fiabe? Questo castello più che incantato, lo definirei “incastrato”,  dove storia e natura si incontrano…

Degli antichi castelli mi incuriosisce la vita che hanno visto passare e che in parte trattengono ancora.
Chissà quanti sogni sono rimasti sulle torri…

 

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Antola, è tempo di narcisi al Pian della Cavalla

Antola, è tempo di narcisi al Pian della Cavalla. Un anno bizzarro, nel segno della Covid-19 e con il meteo capriccioso in qualsiasi stagione ma, nonostante le eccezionali nevicate fino a maggio, anche quest’anno sono sbocciati i narcisi (narcissus poeticus) che imbiancano molti prati di alta quota del nostro appennino. Il luogo più celebre e spettacolare per godere della fioritura è nel cuore del Parco dell’Antola – un’area naturale protetta che si trova in Liguria e, precisamente, tra l’entroterra genovese e l’Appennino ligure vero e proprio -, al Pian della Cavalla.

Antola, le valli di narcisi

Pian della Cavalla è un altopiano a 1200 m. s.l.m. che si trova tra Fascia e Fontanarossa, poco distante dalla SP 16 che porta fino a Casa del Romano. Più precisamente, si percorre la Statale 45 della Val Trebbia e, nel tratto compreso tra Isola e Gorreto, si prende la strada che varca il fiume in direzione  nord e risale seguendo le indicazioni per Fontanarossa. Dalla piazza della chiesa del piccolo paesino si imbocca una stradina in salita che procede in direzione sud. Da qui la vista sul Monte Antola, la montagna dei genovesi, a 1597 m. s.l.m.,  la più celebre del gruppo omonimo, sulla Val Trebbia e sulle ormai prossime colline del Piacentino, è impagabile. 

Anello di Fontanarossa e del Pian della Cavalla

Giunti al paese di Fascia, ci sono due modi per arrivare a Pian della Cavalla:

  • Il primo consiste nel posteggiare dove inizia l’area pedonale del paese e da lì salire il sentiero erboso che, oltrepassata la strada asfaltata, in circa 40 minuti di cammino (l’ultima parte è un salita, ma nel bosco) vi porta in prossimità dell’altipiano di Pian della Cavalla;
  • La seconda possibilità è quella di oltrepassare il paese di Fascia, in direzione Casa Del Romano. Dopo qualche chilometro, in prossimità di un tornante a sinistra, un cartello dell’Ente Parco vi segnalerà l’inizio del Sentiero dei Narcisi.

Pian della Cavalla

Il Sentiero dei Narcisi

Il Sentiero dei Narcisi si trova poco sopra l’abitato di Fascia, all’interno del parco dellAntola, a circa 1 ora e mezza di strada da Genova. Il percorso per raggiungere Fascia è abbastanza tortuoso. Il Sentiero dei Narcisi in trenta minuti, e senza particolare dislivello, da Fascia raggiunge Pian della Cavalla.

Il sentiero, una volta giunti sulla piana, è quasi tutto in pianura e facilmente percorribile da tutti: non ci sono buche e ruscelli. Dopo circa mezz’ora di cammino, se è il mese di maggio, vi ritroverete immersi in una distesa di narcisi fioriti che adorna, come un tappeto bianco, tutto l’estendersi dell’altopiano.
E’ severamente vietato reciderli, ma si può goderne, appieno, la bellezza semplicemente fotografandoli. La gita è comunque consigliata anche ad inizio primavera e tarda estate, anche senza la fioritura dei narcisi selvatici.

sentiero dei narcisi

Narciso e il mito di Narciso

Il fascino nei confronti del Narciso risale addirittura alla mitologia greca. Il mito di Narciso è sicuramente il più conosciuto. Talmente famoso da diventare una parola di uso comune, a tratti inflazionata, per indicare una specifica caratteristica dell’uomo: l’amore smisurato per se stessi. Il mito di Narciso, infatti, narra la storia di un giovane bellissimo che perde la vita perché si innamora perdutamente del suo riflesso.

La leggenda

Narciso è il figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e di Liriope, una ninfa. La madre era però molto preoccupata perché aveva dato alla luce questo bambino bellissimo. Si recò così dall’oracolo Tiresia, che le consigliò di non fargli mai conoscere se stesso. Il bambino crebbe e divenne un adolescente bellissimo, del quale tutti si innamoravano. Narciso, però, respingeva tutti, forse per orgoglio o per forte personalità.

Ecco che Eco, una ninfa che non poteva parlare per prima perché punita da Giunone, si innamorò follemente di lui. Ella, però, non poteva dichiararsi in quanto con la sua voce poteva soltanto fare eco a quella di Narciso, che la rifiutò bruscamente. La fanciulla così trascorse il resto della sua esistenza a vagare nelle valli, fino a diventare soltanto una voce.

La dea della vendetta, Nemesi, decise di punire il giovane Narciso per il suo rifiuto alla ninfa. Lo condannò così a specchiarsi in un laghetto per bere. Quando lui si calò per bere l’acqua, vide il suo riflesso e se ne innamorò perdutamente. Dopo poco, capì di essere lui stesso il bellissimo ragazzo e realizzò che il suo era un amore impossibile.

Narciso mito e leggenda

Ovidio afferma che Narciso morì consumato dal fuoco di quell’amore irrealizzabile. Altre fonti invece riportano che egli si gettò nel fiume, nell’estremo tentativo di raggiungere l’amore. Quando le ninfe accorsero per seppellire il suo corpo, al suo posto trovarono dei fiori bellissimi. Si trattava di fiori bianchi e gialli, quelli conosciuti oggi come fiori del narciso. Questo termine deriva proprio dalla parola greca narke, che significa stupore (lo stupore di Narciso che vide per la prima volta la propria immagine).

I narcisisti sbocciano nell’amore altrui, senza mai mettere radici.

Ogni fiore che sboccia ci ricorda, però, che il mondo non è ancora stanco dei colori. Ci sono due fiori dentro il fiore. Uno è girato verso di noi, l’altro verso l’infinito…

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Ci lascia Franco Battiato, il più grande poeta odierno

Ci lascia Franco Battiato, il più grande poeta odierno. Lutto nel mondo della musica. Le brutte notizie fanno belli i giornali. Prima si danno le cattive notizie, meglio è. Sarà anche perché le brutte notizie vendono più di quelle buone? … In alcune scuole di giornalismo si diceva che facessero vendere di più e aumentare le tirature.

Le notizie buone, positive, sono sporadiche e meno sensazionali, mentre quelle brutte sono dirompenti, contagiose ed emozionanti. Però, ci sono notizie e notizie. Quelle di cui non vorresti mai scrivere. Le cattive notizie ci fermano per un po’, ma poi si va avanti. Quella della scomparsa del grande maestro, beh, è indiscutibilmente, una di queste “cattive notizie”, di quelle che colpiscono al cuore, già al risveglio.

Ci lascia Franco Battiato, il più grande poeta odierno

Si è spento stamattina, all’età di 76 anni, nella sua casa a Milo, nel catanese, dove, da tempo, si era ritirato dalla scena pubblica, Franco Battiato: cantautore, compositore, musicista, regista e pittore italiano. Lo rende noto la famiglia. A lanciare il primo tweet della triste notizia è stato Antonio Spadaro, attuale direttore della rivista La Civiltà Cattolica.

Era nato a Jonia il 23 marzo del 1945.La sua carriera cominciò davvero nel 1971. Da allora, ha spaziato tra una grande quantità di generi musicali: dopo l’iniziale fase pop degli anni sessanta, è passato al rock progressivo e all’avanguardia colta nel decennio seguente. Poi, è ritornato sui passi della musica leggera, approfondendo anche la canzone d’autore, di quella etnica, la musica elettronica e l’opera lirica.

La sua musica

I suoi testi riflettono i suoi interessi, fra cui l’esoterismo, la teoretica filosofica, la mistica sufi (in particolare tramite l’influenza di G.I. Gurdjieff) e la meditazione orientale. Alcuni dei suoi brani sono entrati ormai nella storia del costume: l’era del cinghiale bianco, prospettiva nevskij, centro di gravità permanente, bandiera bianca, cuccurucucù, voglio vederti danzare, la stagione dell`amore, e ti vengo a cercare, povera patria, la cura.

Un’artista senza tempo, amato da tutte le generazioni: i giovani vedono, ancora oggi, in lui un modello di originalità e di curiosità, quelli più grandi un difensore dell’intelligenza e della cultura che mai si è perso. Ha collaborato con i migliori cantanti da Claudio Baglioni ai CSI, da Enzo Avitabile a Pino Daniele, dai Bluvertigo a Tiziano Ferro, Celentano, Subsonica, Marta sui Tubi e tanti altri.

La malattia e il vuoto che lascia

Non è guarito dalla malattia – si era detto alzhheimer, si era detto di tutto, in verità – che l’aveva portato via dalla canzone, dalla parola, dalla sua Sicilia. Era assente dalle scene musicali e artistiche dal 2017, quando un incidente domestico lo costrinse a interrompere concerti e tour.

Si era rifugiato nella sua villa alle pendici dell’Etna ed era circondato dai suoi familiari. Nel 2015 una caduta dal palco, poco prima dei suoi 70 anni, era stato uno dei primi avvertimenti dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Il suo vuoto apre ferite profonde, soprattutto per il mondo in via di estinzione della canzone d’autore storica italiana. Da ieri risuonano – e per sempre – le sue canzoni in tutta Italia e, credo, da qualche parte nel mondo.

L’incontro con Gaber

Le sue prime esperienze musicali a Milano, dove si era trasferito a partire dal 1964 al “Club 64”, dove c’erano Paolo Poli, Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Renato Pozzetto e Bruno Lauzi. Nel pubblico ad ascoltare la sua musica c’era Giorgio Gaber “che mi disse: “Vienimi a trovare”. “Il giorno dopo andai. Diventammo amici”. Più che amici, considerando che fu proprio Gaber a procuragli il suo primo contratto discografico. 

Difficile, anzi pressoché impossibile, incasellarlo, dargli una pur semplice etichetta, sì, perché lui era “un vero artista” con la sua musica senza tempo, ma anche del suo cinema, della sua pittura. Non è un caso se è stato uno tra gli artisti con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco, con tre Targhe e un Premio Tenco.

Esiste una cura per i grandi addii?

“La Cura” è il brano indimenticabile con il quale voglio ricordarti e ‘salutarti’, oggi.

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
Dalle ossessioni delle tue manie
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare
E guarirai da tutte le malattie
Perché sei un essere speciale
Ed io, avrò cura di te
Vagavo per i campi del Tennessee
Come vi ero arrivato, chissà
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
Attraversano il mare
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza
I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi
La bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare
Ti salverò da ogni malinconia
Perché sei un essere speciale
Ed io avrò cura di te
Io sì, che avrò cura di te

 

Ci lascia il più grande poeta contemporaneo. Uno dei più grandi della canzone d’autore italiana. Per molti di noi è stato, e resterà, un «Centro di gravità permanente».

Cerco un centro di gravità permanente
Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
Avrei bisogno di
Cerco un centro di gravità permanente
Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
Over and over again

 

Grazie maestro. Grazie perché sei stato per me una fonte di ispirazione quotidiana e, se non avessi amato e cantato le tue canzoni, beh, oggi sarei una persona diversa. E, proprio tu, mi hai insegnato che «le nuvole non possono annientare il sole».

«Vorrei tornare indietro, | per rivedere il passato, | per comprendere meglio, | quello che abbiamo perduto».

 

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Il canyon della Val Gargassa con un giro ad anello

Il canyon della Val Gargassa con un giro ad anello capace di stupire per le sue caratteristiche peculiari. Un sentiero panoramico, dedicato agli aspetti geologici e geomorfologici, per escursionisti esperti, della durata di 4 ore per una lunghezza di 7 km con un dislivello di 180m. Siamo in Liguria, nel Parco naturale del Begua, poco lontano da Rossiglione, dove il torrente Gargassa forma una gola stretta tra curiose conformazioni di conglomerato.

Il canyon della Val Gargassa, sentieri sospesi e torrenti

La Val Gargassa si snoda tra sentieri sospesi, torrenti, canyon,dirupi, con una ricca vegetazione con boschi di rovere e pinete. Si possono ammirare paesaggi esposti su rocce, con sorgenti che sgorgano poco sopra il pelo d’acqua, per poi finire su prati dove sorge un villaggio abbandonato, Vereira (420m circa), il cui nome deriva da un’antica vetreria, dove le antiche attività pre-industriali testimoniano il passato sfruttamento di questi luoghi per la produzione, appunto, del vetro.

Dalle case di Vereira, risalendo per la valle per una decina di minuti in prossimità di una radura, si scorge una sorgente di acqua sulfurea che scaturisce dalla roccia a pochi metri dal torrente. Ritornando a valle del nucleo abitativo si riprende il sentiero, che porta lungo un crinale panoramico e alla fine di un castagneto ci si ritrova nuovamente all’inizio del percorso.

val gargassa

Conglomerati del Rio Gargassa

La Val Gargassa è una stupenda area, nelle vicinanze dell’abitato di Rossiglione, in provincia di Genova, il più esteso comune della Valle Stura, dove la presenza dei conglomerati Oligocenici della Formazione di Molare si traduce in uno spettacolare ambiente e panorami mozzafiato. In quest’area, all’interno del Parco del Beigua, tali rocce prendono il nome locale di Conglomerati del Rio Gargassa, ma in realtà fanno parte della Formazione di Molare.

Il piccolo torrentello, dalle acque cristalline, ha profondamente inciso queste rocce formando canyon, spettacolari forre e marmitte dei giganti. Le numerose discontinuità strutturali (faglie) hanno accentuato le evidenze dell’erosione, chiamata selettiva in quanto si esplica con modalità ed effetti differenti a seconda dei materiali rocciosi interessati.

Il così detto Muso del Gatto è un buon esempio di tale azione, ma sono anche presenti numerosissime guglie, crepaci e cavità che richiamano, su differente scala, ai famosissimi panorami dei parchi americani.

la val gargassa

Il “Sentiero Natura” della Val Gargassa

Il “Sentiero Natura” della Val Gargassa offre angoli di incontaminata bellezza, tra placidi laghetti, canyons e suggestive conformazioni rocciose. In questo angolo del Geoparco le tipiche rocce ofiolitiche, altrove più abbondanti, cedono il passo ai conglomerati, nei quali l’acqua ha scavato forme erosive di grande suggestione. A metà del percorso ad anello i segni dell’antica presenza dell’uomo: il borgo di Vereira, appunto.

sentiero natura

Punto di partenza

Da Rossiglione si percorre la strada provinciale SP per Tiglieto a circa 3 km, oltrepassata la Cappelletta di S. Bernardo, un bivio a sinistra conduce in soli 50 metri al campo sportivo in località Gargassino al fianco del quale vi è un ampio parcheggio e l’inizio del Sentiero Natura (44°33’39″N –  8°39’00″E).

Il Sentiero Natura si snoda ad anello attorno alla valle del Torrente Gargassa ed è marcato con il segnavia XX sino a Case Vereira. All’inizio brevi sali e scendi in un bosco caratterizzato da castagni, querce, noccioli e aceri montani corrono in prossimità del torrente.

Usciti dal bosco, il percorso segue per un tratto la sponda sinistra del Gargassa, tra spettacolari laghetti inseriti in un ambiente roccioso con scarsa vegetazione e pendii acclivi. In queste condizioni ambientali possono crescere e sopravvivere solo poche essenze come pini ed eriche. Le rocce che costituiscono il substrato su cui camminiamo sono le serpentiniti.

anello della val Gargassa

Tappa dopo tappa

1°stop  (338 /20′).
Passato il tratto tra le “roccette” aiutandosi con l’apposita catena, il percorso prosegue in piano sino ad una zona caratterizzata da rimboschimenti a pini neri dalla quale si scorgono i primi torrioni rocciosi bruno-nerastri, talvolta rossastri, e le ripide pareti del canyon inciso nei conglomerati. Dopo alcuni limpidi laghetti, accoglienti spiaggette ed erte pareti di roccia, si giunge al…

2° stop  (351 /40′)
per godere di un panorama suggestivo ed osservare meglio la formazione rocciosa in conglomerati. Ci accompagnano, lungo il cammino, pareti rocciose verticali in cui è facile distinguere i ciottoli e le stratificazioni tipiche di queste rocce. Le incisioni fluviali con pareti verticali (canyons) scavate nelle dure rocce conglomeratiche diventano sempre più suggestive, ma per godere delle vedute migliori del canyon bisogna proseguire sino al…

3° stop  (360 /1h)
In questa zona il torrente scorre ed incide le sue forme tra due ripide pareti molto vicine tra loro, rendendo ancora più suggestivo lo scorrere dell’acqua. Giunti al primo guado, posto sotto un torrione di roccia dall’aspetto particolare che da origine al toponimo “Muso del Gatto”, si passa sulla sponda destra idrografica del Rio Gargassa.

muso del gatto

L’attraversamento su grossi massi arrotondati può risultare difficoltoso se non praticato con calzature idonee ed è comunque sconsigliato dopo forti piogge. Dopo un tratto in salita dal quale si scorgono ad ovest scorci sui torrioni della “Rocca dra Crava” e “Rocca Giana“, si ridiscende per giungere nuovamente a guadare il rio Gargassa. Risaliti pochi metri dal guado si apre di fronte a noi un ampio prato con alberi da frutta inselvatichiti e alcuni edifici rurali sulla sinistra: siamo giunti all’antico borgo di

 Terza vetta cresta est Val Gargassa anticima e Rocca Giana

Case Vereira – 4° stop  (401 /1h30′) (44°32’33″N –  8°39’22″E)
Dalle case Vereira si può percorrere il sentiero che prosegue verso sud, senza segnavia specifico, ma ben tracciato, e proseguire nel bosco per circa 600 metri per giungere alla

Sorgente sulfurea – 5° stop   (401 /2h).
Una zona aperta dove tra rocce affioranti e bassi arbusti, scendendo verso il corso d’acqua si individua la sorgente con tipiche concrezioni attorno e un debole odore di zolfo.

Sulla via del ritorno

Il percorso del ritorno permette di ammirare scenografici panorami sui canyon sottostanti, riportandoci nuovamente al campo sportivo dopo aver percorso il crinale sinistro della Val Gargassa. Il sentiero è marcato con un segnavia tre bolli gialli disposti a triangolo e si imbocca a nord del prato di Case Vereira.

Un’erta salita conduce in breve in quota dove tra gli scorci lasciati liberi dal bosco si può osservare il “Balcone della Signora”, una frattura verticale originatasi in un bastione di roccia bruno-rossastra attraverso la quale si osserva l’azzurro del cielo. Un tratto di sentiero di pochi metri molto esposto conduce ad una sella

6° stop (510 /3h)
consentendo il godimento di scorci mozzafiato sui canyon e sugli spettacolari torrioni di roccia presenti nell’area, forme decisamente inconsuete nel panorama ligure. Scesi a valle verso Case Camilla, sempre seguendo il segnavia con i tre bolli giallini si osservano i contrasti tra i rilievi della Val Gargassa e le forme montano-collinari delle valli Stura. Superate Case Camilla si giunge al…

7° stop (410 /3h40′)
Un punto in cui si possono trovare molti degli alberi che costituiscono il bosco misto di latifoglie (rovere, roverella, acero, sorbo). Il sentiero scende, quindi, ripidamente per giungere in circa 10 minuti al campo sportivo da cui siamo partiti.

 

Come scriveva il filosofo Nietzsche “Tutti i più grandi pensieri sono concepiti mentre si cammina”.

Camminare per me significa entrare nella natura. Ed è per questo che, quando posso, cammino lentamente. Quando le mie gambe sono stanche, allora, cammino con il cuore.

Io vado per vedere, per sentire, con tutti i miei sensi. Così il mio spirito entra negli alberi, nel prato, nei fiori, nel mare, in un lago, in collina. Le alte montagne, però, sono per me un sentimento fortissimo…

 

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I 20 borghi più belli d’Italia: e in Liguria?

I 20 borghi più belli d’Italia. Scopriamo, insieme, quali sono i borghi più belli del Belpaese e…lasciamoci affascinare da storia, arte, cibo e tradizioni.

L’associazione “I borghi più belli d’Italia”

Nel marzo 2001 nasce l’associazione de “I borghi più belli d’Italia, su impulso della Consulta del Turismo dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI). Questa iniziativa è sorta dall’esigenza di valorizzare il grande patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente e tradizioni presente nei piccoli centri italiani che sono, per la grande parte, emarginati dai flussi dei visitatori e dei turisti. Sono, infatti, centinaia i piccoli “borghi d’Italia” che rischiano lo spopolamento ed il conseguente degrado a causa di una situazione di marginalità rispetto agli interessi economici che gravitano intorno al movimento turistico e commerciale.

Da Nord a Sud l’associazione comprende oltre 250 borghi, nei quali sembra di tornare indietro nel tempo, in un’oasi di pace dove tutto scorre più lentamente e in armonia con la natura.

E’ oggettivamente impossibile visitarli tutti e vi propongo una scelta tra i 20 borghi più belli d’Italia da non perdere e, rigorosamente, in ordine di classifica.

I 20 borghi più belli d’Italia

  • 1. Tropea – Calabria
  • 2. Baunei – Sardegna
  • 3. Geraci Siculo – Sicilia
  • 4. Arquà Petrarca – Veneto
  • 5. Locorotondo – Puglia
  • 6. Tremosine sul Garda – Lombardia
  • 7.Cirò – Calabria
  • 8. Rocca San Giovanni – Abruzzo
  • 9. San Lorenzo in Banale – Trentino Alto Adige
  • 10. Pretoro – Abruzzo
  • 11. Erice – Sicilia
  • 12. Ortona – Abruzzo
  • 13. Ravello – Campania
  • 14. Recanati – Marche
  • 15. Tellaro – Liguria
  • 16.Castiglione del Lago – Umbria
  • 17. Egna – Trentino Alto Adige
  • 18. Civita di Bagnoregio – Lazio
  • 19. Bosa – Sardegna

E, allora, scopriamoli “da vicino”…

Tropea

Storia millenaria, promontorio disteso su un mare azzurro, spiagge sabbiose e, a tratti, con scogli disegnati dal tempo. Tropea e i suoi vicoli stretti con piccoli negozi d’artigianato, profumi e sapori calabresi, ma suoni che vengono da tutto il mondo, complice il turismo internazionale che contraddistingue questa perla del tirreno. Grazie a tutto questo, e molto altro, si è meritatamente conquistata il primo posto fra i borghi più belli d’Italia.

Tropea

 

Baunei

Barbagia sarda, siamo nei territori dell’Ogliastra, in provincia di Nuoro. Un piccolo centro urbano di poco più di 300 anime, che hanno la fortuna di vivere in un angolo di paradiso, dove la natura si fa spazio in modo incontaminato e libero, fra i boschi alti e selvatici, e via via scende lungo la spiaggia frastagliata e ricca di scogli calcarei che ne danno un’area antica e primitiva. E’ la patria dell’escursionismo, con sentieri di trekking, che vanno dalla montagna al mare, e pareti verticali. Un secondo posto meritato per questo luogo senza tempo.

cala-goloritzè Baunei

 

Geraci Siculo

All’interno del Parco delle Madonie, area naturale protetta dal 1981, questo piccolo borgo medioevale, in provincia di Palermo, adagiato sulla schiena rocciosa di un colle, considerato la “perla delle Madonie, ”vanta un numero elevato di chiese antiche anche di età romana. Il suo terzo posto all’interno della classifica dei borghi più belli d’Italia lo deve alla sua storia e alle innumerevoli testimonianze monumentali ed al fascino che dall’alto questi antichi tetti ancora oggi sprigionano.

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Arquà Petrarca 

Tra le dolci colline dei Colli Euganei sorge Arquà Petrarca, nome che omaggia il famoso poeta, considerato il precursore dell’umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, che qui venne a trascorrere gli ultimi anni della sua vita. Il tempo ad Arquà si è fermato a quando si lavavano i panni al lavatoio, si lasciavano i cavalli agli abbeveratoi, a quando le case venivano costruite con la pietra. Da vedere anche la casa di Petrarca con le pitture cinquecentesche e il piccolo museo.

Arquà Petrarca 

 

Locorotondo

Fondato nell’XI secolo Locorotondo si trova su una collina che cinge gli ultimi contrafforti murgiani del Barese e domina la Valle d’Itria, un cuscinetto di verde a metà strada tra Adriatico e Jonio e su questa pianura, circondata da piccole alture. Il piccolo centro storico è caratterizzato da stradine pavimentate e case costruite in pietra chiara. Locorotondo è così affascinante che venne scelto come location per alcuni film tra cui “Così è la vita” con il trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, e “Baciami piccina” con Vincenzo Salemme.

Locorotondo

 

Tremosine sul Garda 

Affacciato sul lago di Garda, quasi a strapiombo, Tremosine è diviso in diverse frazioni sparse a più altitudini. Il borgo fa parte del Parco Alto Garda Bresciano e racchiude piccoli gioielli artistici, vecchie mulattiere che si snodano su per i monti e splendide vedute sul lago. Tremosine è molto più simile a un paesino alpino che ai tipici paesi lacustri, essendo immerso nella natura dei pascoli e della montagna.

tremosine

 

Cirò 

Un piccolo gruppo di case antiche e ben arroccate sulla collina che si affaccia sul bellissimo mar Ionio o “mare di mezzo”, in un fazzoletto di terra verde, in provincia di Crotone, dove la natura ha regalato bellezza e forza alle viti del posto, i cui vini vengono ogni anno esportati in tutto il mondo. La denominazione Cirò DOC, in Calabria, si riferisce a vini tra i più antichi del mondo, con una storia alle spalle che risale a migliaia di anni fa, ancora ai tempi prima della civiltà romana. Sono prodotti nelle colline orientali dell’altopiano della Sila e sulla costa ionica, nei comuni di Ciro, Cirò Marina, Crucoli e Melissa. Una storia antichissima che parte dalla magna Grecia e arriva fino ad oggi passando anche da un medioevo. Un luogo fatto di cultura e bellezza, che merita di diritto il suo posto fra i primi sette borghi più belli.

Cirò

 

Rocca San Giovanni 

Tra la foce del fiume Sangro e il torrente Feltrino sorge Rocca San Giovanni fondato nell’XI secolo. Il piccolo centro storico, in provincia di Chieti, ha un aspetto trecentesco e conserva ancora i resti delle antiche mura medievali. Si può godere di uno splendido panorama sulla natura circostante ed inoltrarsi nell’area faunistica “Zoo d’Abruzzo o di Rocca San Giovanni”.

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San Lorenzo in Banale 

San Lorenzo in Banale, piccola perla incastonata alle pendici delle Dolomiti di Brenta, patrimonio dell’Unesco, nato dalla fusione di sette antichi feudi, offre moltissimo dal punto di vista storico e archeologico. Diversi palazzi e chiese decorati con affreschi, altari e statue lignee, raccontano la storia del luogo.

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Pretoro

Alle pendici del massiccio della Majella si incontra Pretoro, piccolo borgo di artigiani dalla particolare struttura urbanistica nel cuore dell’Abruzzo. Vi conquisterà con la sua semplicità e il magico silenzio che troverete tra i suoi stretti vicoli, le case appoggiate le une alle altre e i saliscendi delle sue scale. Fermatevi qui a mangiare uno dei piatti tipici della cucina abruzzese: i maccheroni alla chitarra con ragù di agnello.

Pretoro

 

Erice 

Affascinante e solitaria, Erice domina da millenni la punta estrema della Sicilia occidentale. Il mito qui è di casa. Ce lo ricorda Virgilio nell’Eneide, quando racconta che Enea, in fuga da Troia, vi si fermò ben due volte, ce lo rimandano le mura ciclopiche realizzate dai Punici per fortificare la città, ce lo rammenta il Castello normanno edificato sui resti di un’antichissima area sacra dedicata al culto della fecondità. Ogni angolo del borgo ci riporta indietro nel tempo, ci confonde con i suoi profumi, ci avvolge con la sua nebbia leggera. Pur essendo meno abitato, è il centro nevralgico del turismo. A colpire i visitatori è, innanzitutto, la posizione di dominio rispetto alla sottostante pianura che si affaccia sul mare. Il panorama è da togliere il fiato, già a partire dalla funivia che si può prendere per salire nel borgo di Erice in tutta comodità, a soli 4 € andata e ritorno. Una volta saliti si è subito colpiti dal contesto fiabesco di mura medievali e dal Castello di Venere, di origine normanna, che conserva intatto, ancora oggi, l’immortale fascino. Una volta in giro per il borgo fatevi tentare dai piccoli forni artigianali: arancini o cannoli? 

Erice

 

Ortona

La storia di Ortona parte dal periodo romano dove oggi è posto il Castello aragonese del 1500. Una storia che porta i visitatori a immergersi nel borgo, in provincia di Chieti, attraversando di volta in volta i monumenti, le chiese, gli antichi palazzi, facendosi rapire da una cornice senza tempo. La particolarità di Ortona risiede anche nella sua estensione geografica, che la porta ad essere oltre che luogo di collina, anche luogo di mare, visto che parte della cittadina si estende sul litorale abruzzese. Merita una sosta anche nella vicina citta di Vasto.

ortona

 

Ravello 

Appartenendo ad una delle mete classiche della riviera amalfitana, Ravello fa del mare una splendida cornice, attorno ad uno spettacolare trionfo di monumenti ville e chiese che dominano l’intero litorale da una posizione rialzata in grado di togliere il fiato ai numerosi visitatori. Noto come città della musica e della poesia. La cittadina domina da un’altezza di 350 m la strada costiera che da Maiori conduce sino ad Amalfi e, negli anni, ha incantato letterati ed artisti di ogni epoca fra cui Boccaccio, Turner e molti altri ancora.

Villa Rufolo, tra amore e fotografia

Fra i luoghi d’interesse va certamente segnalato la fiabesca Villa Rufolo, risalente al 1200′ , voluta dalla omonima famiglia, è ancora oggi il luogo d’eccellenza per gli innamorati e gli appassionati di fotografia. Grazie alla immensa terrazza fiorita e alla sua posizione a picco sul mare regala momenti indimenticabili. Segnaliamo la difficoltà di muoversi nelle strette e affollate strade che portano a Ravello, motivo in più per pernottare un po’ fuori dal centro nevralgico e raggiungere il posto affittando una moto, muovendosi così in libertà nelle lunghissime code che, certamente, incontrerete. Non può mancare una visita nella vicina Paestum.

Ravello

Recanati

Nella classifica dei borghi più belli d’Italia, non può mancare il luogo che ha dato i natali a Giacomo Leopardi, uno dei più grandi poeti della letteratura italiana e Beniamino Gigli, noto cantante lirico. Recanati è stata candidata a Capitale Italiana della Cultura 2018. E’ la tipica “città balcone” per l’ampio panorama che vi si scorge. Il paese conserva monumenti e palazzi che via via faranno attraversare ai visitatori, i diversi periodi storici che il paese ha vissuto. Da segnalare la visita alla Chiesa di Sant’Agostino, all’interno colpisce certamente l’affresco medievale raffigurante l’Ultima cena e il campanile, che ha ispirato la nota poesia “Il passero solitario”. Non perdetevi la visita all’interno della casa dove visse Leopardi…

Recanati

Tellaro 

Siamo su una delle più belle zone di mare della Liguria. Tellaro è una frazione del comune di Lerici, caratterizzato dall’essere un antico borgo marinaro, arroccato su una scogliera che si affaccia sul Golfo della Spezia. Meta di molti artisti italiani e stranieri. Tellaro, infine, è una delle borgate marinare che ogni anno partecipano al Palio del Golfo.

L’unica via di comunicazione carrabile, che dal capoluogo lericino porta al borgo di Tellaro, è una strada che si dipana a picco sul mare, transitando per Maralunga e Fiascherino. E’, inoltre, raggiungibile percorrendo alcuni sentieri pedonali che dai borghi a monte calano verso il mare, anche se con una certa difficoltà, per la natura aspra e impervia delle terrazze digradanti sul mare. Ma una volta arrivati dove il borgo incontra la riva, lo spettacolo vi farà dimenticare la fatica. Non è un caso che in un piccolo posto come Tellaro abbiano soggiornato, innamorandosene, tre grandi uomini della cultura internazionale come D.H.Lawrence, Mario Soldati e Eugenio Montale.

tellaro

 

Castiglione del Lago 

Castiglione del Lago si trova su un promontorio che si affaccia sul lago Trasimeno. Sicuramente uno dei borghi più belli di tutta l’Umbria. Abbarbicata su un promontorio ricoperto di ulivi, e circondato da dolci colline, la cittadina ha una storia decisamente notevole, che la vede importante centro nel Medioevo e ducato tra il ‘500 e il ‘600, rendendola, in passato come a tutt’oggi, una delle perle da visitare nel centro Italia. Il borgo conserva ancora il suo aspetto medievale, grazie anche alla bellissima Rocca del Leone che domina dall’alto il paesaggio circostante. Da vedere anche la piccola Isola Polvese ricca di vegetazione e sede anch’essa di un suggestivo Castello medievale.

castiglione

 

Egna 

Egna si trova in Bassa Atesina, circondato da bellissimi vigneti, in provincia di Bolzano è uno splendido borgo immerso tra vigneti meleti  e circondato da splendide montagne. Ciò che caratterizza il paese sono sicuramente i portici, che ritroviamo in parecchie cittadine di stampo tedesco. Da non perdere la chiesa gotica (tra le più belle dell’Alto Adige) e l’annuale festa dei portici a fine agosto. Grazie alla sua posizione geografica, già nel medioevo, Egna divenne un importante centro commerciale che collegava nord e sud acquistando così una rilevante importanza culturale ed economica. 

Egna

 

Civita di Bagnoregio

E’ un luogo magico, surreale, fantastico, famoso nel mondo, situato sulla vetta di un’altura di tufo e raggiungibile solo attraverso uno stretto ponte pedonale dal quale si gode di uno dei panorami più spettacolari di tutto il Lazio. Soprannominata la città che muore, per via della costante erosione delle rocce di tufo su cui si trova, questa cittadella a metà strada tra Orvieto e il lago di Bolsena ha origini etrusche e medioevali. Sospesa nel tempo e nello spazio, Civita di Bagnoregio è senza dubbio uno dei borghi italiani più belli e caratteristici. Durante le giornate di nebbia questa incredibile città sembra letteralmente sospesa nel vuoto. Eppure, la storia di questo luogo parla di una città che vive, e lo fa da epoca antichissima. Infatti, le testimonianze architettoniche insieme a numerosi ritrovamenti, indicano come il borgo debba le sue origini alla favolosa civiltà etrusca e, in seguito, a quella romanica. Ad oggi è possibile visitare il paese lasciando l’auto fuori dal borgo e attraversando un piccolo ponte, costruito nel 1965, perdendosi nel fascino assoluto di questo luogo.

Civita di Bagnoregio, Viterbo, Latium, Italie, 18 août 2018: Vue de la cité médiévale

 

Bosa 

Bosa è un perla assolutamente da visitare nel panorama di una vacanza nella costa occidentale della Sardegna, in provincia di Oristano. Questo piccolo – ma neanche troppo – borgo, sorge sulle rive del fiume Temo, e al contempo si affaccia sul mar mediterraneo. Un incantevole luogo dove tradizione e modernità si fondono e infondono curiosità e fascino, uno dei borghi più pittoreschi d’Italia, dominato da un castello medioevale, con le sue case multicolori lungo la foce del fiume che la divide in due con forme sinuose.

La sua storia ha dell’incredibile con una stratificazione che pochi luoghi nel mondo possono vantare: dall’età preistorica si passa ai fenici, ai romani, agli aragonesi, agli spagnoli, agli austriaci, fino alla più recente unità d’Italia. Visitare Bosa significherà avvicinarsi a tutte queste epoche ma, al contempo, questo luogo è di interesse internazionale per via dei suoi aspetti naturalistici. Infatti, oltre alla presenza di specie rare come i grifoni, anche dal punto di vista della flora il borgo nasconde nei propri fondali forme di coralli di rara bellezza. 

Bosa

 

E in Liguria? 

La Liguria è piena di borghi, arroccati sul mare o nell’entroterra più nascosto. Posti suggestivi, magici e ricchi di storia, da visitare sia in estate che in inverno. Dall’imperiese allo spezzino, la nostra regione regala scenari mozzafiato. Dai più noti come Campo LigureTriora o Moneglia, a quelli da scoprire come Castelvecchio di Rocca Barbena o Seborga. Piccoli o medi borghi che vanno tutelati, talvolta recuperati, e valorizzati. Sul sito I Borghi più Belli d’Italia si possono consultare e ‘visitare’ tutti i piccoli centri storici e artistici finora inseriti nell’elenco (aggiornato al 2021). 

Ecco quelli in Liguria, oltre 20, che si trovano in tutte e quattro le province:

  • Apricale, il bacio della pietra con il sole
  • Brugnato, il borgo a forma di tenaglia
  • Campo Ligure, l’arte lieve della filigrana
  • Castelvecchio di Rocca Barbena, come in una fiaba
  • Cervo, sogni d’oltremare
  • Colletta, il villaggio telematico
  • Diano Castello, la culla del Vermentino
  • Finalborgo, aria da marchesi
  • Framura, tre torri e tre borghi
  • Laigueglia, piazzette al mare
  • Lingueglietta, una lucertola distesa al sole
  • Millesimo, il ponte sulla Bormida
  • Moneglia, un gioiello tra due campanili
  • Montemarcello, nel flusso dell’acqua infinita
  • Noli, l’antica repubblica marinara
  • Perinaldo, il Poggio delle Stelle
  • Seborga, riposarsi all’ombra
  • Taggia, la città del ponte a 15 arcate
  • Tellaro, poesia scritta sull’acqua 
  • Triora, il borgo delle streghe
  • Varese Ligure, un paese tutto bio
  • Verezzi, il teatro delle meraviglie
  • Vernazza, nell’incanto delle Cinque Terre
  • Zuccarello, la patria di Ilaria Del Carretto

Mi piacerebbe vivere in ognuno di questi borghi, in uno di quei paesini sul mare…in cui le case sono colorate di bianco e di blu, sui balconi ci sono i fiori e nell’aria c’è profumo di limone.

Ad ognuno il proprio borgo.
È casa, radici, colori, respiri, sangue, orizzonte che ci appartiene.
E una strada che porta sempre dove bisogna essere, in quel punto esatto della felicità.

Di certi paesini, dove il tempo si è fermato, dove quando incroci un anziano che ti guarda quasi “pretendendo” il saluto.
Dovrebbe essere così ovunque.
Ed è bellissimo.

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Anello Camogli – San Fruttuoso- Portofino a piedi

Anello Camogli – San Fruttuoso – Portofino a piedi. Siamo nel Parco Naturale di Portofino la cui rete sentieristica, oltre ad essere molto varia, è anche ben segnalata. Stretto tra il mare e la montagna, il nostro sentiero si fa strada tra fasce di ulivi, boschetti e rocce a strapiombo sul mare.

Quanti sanno che anche a Camogli ci sono i laghetti? Laghetti e cascate che davvero in poco conoscono, fuori dai percorsi escursionistici, ricchi di specie inaspettate. Sicuri di conoscere tutte le fortificazioni della Batteria Chiappa, anche quelle fuori dalla vista e dai soliti itinerari? E quelle su cui si cammina sopra senza accorgersene? In questa escursione ad anello si può toccare con mano un po’ tutto questo…

parco regionale di portofino

Anello Camogli, una gita suggestiva

Che ne dite di un’altra suggestiva gita nella riviera ligure di Levante, adatta solo ai camminatori più esperti e allenati? Però, non mancano le varianti, decisamente meno impegnative e alla portata di tutti. 

Mi piace raggiungere Camogli in treno e, uscendo dalla stazione, teniamo la sinistra fino ad imboccare Via San Bartolomeo dove si trovano subito i cartelli a segnalarci la direzione per l’ingresso al Parco.

Camogli

Camogli, la “Città dei Mille Bianchi Velieri”. Camogli è la traduzione in italiano del nome della cittadina, dal genovese Camoggi  (pronuncia Camúggi). Il nome significa Case ammucchiate (Camoggi = Cà a mûggi,) cioè Case a mucchi); difatti, guardando la città da fuori, possiamo notare come sia caratterizzata da case le une addossate alle altre. Questo piccolo borgo marinaro affacciato sul Golfo Paradiso fa parte del parco naturale regionale di Portofino e sarà il punto di partenza della nostra camminata, di un diverso modo di viaggiare, a piedi.

All’ingresso del centro storico, un’enorme padella accoglie i turisti e ne attira l’attenzione. Viene utilizzata per friggere il pesce in occasione della grande festa che in maggio celebra il patrono dei pescatori, San Fortunato. Vale la pena addentrarsi nel budello e percorrere la passeggiata sul mare, per ammirare le case variopinte, rifornirsi di focaccia e salire fino alla Basilica di Santa Maria Assunta e al Castello della Dragonara, o anche Castel Dragone, la fortezza del centro di Camogli che si arrampica su delle rocce a picco sul mare.

castello della dragonara

Siete pronti?

Appena fuori dal centro, proseguendo verso levante e superando un parcheggio, inizia il sentiero che, nel primo tratto, costeggia il Rio Gentile. Ecco che si inizia a salire per una stradina che si snoda tra fasce di ulivi e case isolate; l’ultima scalinata ci porta nella frazione di San Rocco.

Dal piazzale della chiesa, si abbraccia con lo sguardo tutto il litorale del Golfo Paradiso. A destra della chiesa, una fontanella d’acqua ci viene in soccorso per il nostro viaggio “in salita” e…si riparte.

Golfo Paradiso

Per San Fruttuoso da San Rocco

Da San Rocco partono due sentieri per San Fruttuoso. Il primo tratto è riparato dagli alberi e non presenta particolari difficoltà mentre il secondo, che vi propongo, quello a ridosso sul mare, presenta maggiori difficoltà, ma è anche il più panoramico. Il percorso inizia con la strada che, partendo dal sagrato della chiesa di San Rocco, prosegue a sbalzo mare. Dopo qualche minuto, oltrepassata la scalinata che scende a Punta Chiappa, si attraversa località Mortola, un piccolo nucleo di case molto caratteristico.

San Rocco

Allontanandosi dall’abitato il sentiero si inoltra nel bosco e arriva, dopo circa 20 minuti, in località Fornelli, da cui, a sinistra, si può salire a località Pietre Strette. Proseguendo, invece, diritti, dopo un tratto in falso piano seguono alcuni saliscendi su scalini di roccia irregolari, ma facilmente percorribili che, uscendo dalla boscaglia, si affacciano su Punta Chiappa e Camogli. Dopo circa 40′ dalla partenza si arriva alla località Batterie, magnifico belvedere sul golfo, che ospita il Centro Batterie “Silvio Somazzi”, nato per valorizzare i resti dei manufatti bellici, risalenti alla Seconda Guerra Mondiale.

Punta Chiappa: curiosità

Arrivati a Batterie, incontriamo il primo di una serie di bunker usati dai tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale. Qui, si può fare una deviazione e scendere a Punta Chiappa imboccando un sentiero sulla sinistra che, ben presto, si trasforma in scalinata. La Punta è formata dal tipico conglomerato di Portofino e delimita il Golfo Paradiso. Prende il nome dalla singolare roccia di puddinga che si estende sul mare, chiamata appunto Punta Chiappa che in genovese vuol dire Punta piatta. La Batteria di Punta Chiappa è il complesso difensivo della 202ª Batteria costiera del Regio Esercito, costruito verso la fine degli anni trenta sul versante occidentale della penisola di Portofino concepita come sistema antinave a protezione del levante del golfo di Genova.

Punta Chiappa

Il primo agosto di ogni anno si celebra la Stella Maris, la Madonna protettrice dei navigatori, a cui è dedicato il mosaico sull’altare che si trova all’inizio della punta. La mattina, almeno pre Covid-19, ha luogo una processione via mare e via terra che termina con la benedizione delle imbarcazioni; la sera centinaia di lumini colorati vengono affidati alle onde, in ricordo delle vittime del mare.

festa stella maris

Il Passo del Bacio

Dopo essere risaliti sul sentiero principale, si prosegue sino a Passo del Bacio. Qui il paesaggio cambia: il sentiero attraversa punti molto esposti, rocce a strapiombo sul mare dove è possibile aggrapparsi a delle catene.

Arrivati a Passo del Bacio (il nome deriva da una leggenda secondo cui due giovani innamorati, per non separarsi come avrebbero voluto le famiglie, morirono lanciandosi insieme in questo punto, dopo un ultimo bacio) il percorso si fa un po’ più impegnativo per alcuni punti in cui bisogna passare direttamente sulla roccia a strapiombo sul mare. L’uso delle catene (a volte superfluo) facilita il passaggio, soprattutto in un breve tratto in cui la roccia presenta pochi punti di appoggio per il piede.

Passo del Bacio e sentiero dei tubi

A questo punto affrontiamo una salita molto ripida e faticosa con un primo tratto molto soleggiato per inoltrarci poi in mezzo al bosco che ci porta, in circa 40 minuti, in vetta da cui si può godere della vista mozzafiato su Cala dell’Oro e Punta Torretta (accessibile solo con visite guidate). Quindi, si svalica per iniziare la discesa verso San Fruttuoso e, in prossimità dell’Abbazia, il paesaggio sembra addomesticarsi nuovamente.

La discesa verso San Fruttuoso

L’ultima parte del percorso, tutto in discesa, si sviluppa in mezzo ad alberi secolari e termina, dopo 25 minuti, all’imbarcadero di San Fruttuoso di Camogli, proprio di fronte alla spettacolare Abbazia di san Fruttuoso di Camogli, ed ecco apparire le prime case tra la vegetazione. Passando sotto agli archi dietro alla spiaggia, si accede ad una zona più interna. Il paesaggio è stupendo, i suoi colori qualcosa di speciale.

L’Abbazia di San Fruttuoso

Questo monastero benedettino fu costruito intorno all’anno Mille. Il luogo ha un fascino immortale. Le scogliere a precipizio, tra la terra e i boschi impenetrabili del monte di Portofino e il mare azzurro della Liguria di Levante, sono tutti elementi che rendono l’Abbazia di San Fruttuoso unica.

Le origini risalgono addirittura all’VIII secolo dopo Cristo. Fu un vescovo spagnolo, in fuga dai mori, a scegliere il luogo per fondare una chiesa e intitolarla a San Fruttuoso, che pare gli avesse indicato questa preziosa baia in sogno.

abbazia-san-fruttuoso

L‘Abbazia di San Fruttuoso, non collegata alla rete stradale, ma raggiungibile solo a piedi o in battello, è proprietà del FAI grazie alla donazione della famiglia Doria. Nel 1984 l’Abbazia fu donata da Frank e Orietta Pogson Doria Pamphilj al FAI, che l’ha ristrutturata e resa visitabile.

Potete consultare gli orari di visita sul sito del FAI. Ci sono proposte particolari per le visite di gruppo e scolastiche e un interessante calendario di eventi, tra cui la stagione concertistica.

Lo sapevate che?

Il fatto che ci sia una sorgente d’acqua dolce, ha reso il tutto più agevole. L’abbazia è stata usata anche come covo dei pirati e come borgo di pescatori.

Anello Camogli Portofino

Verso Portofino a piedi

Dopo la sosta all’Abbazia e il meritato riposo sulla spiaggia, è ora di ripartire, attraverso il bosco, ammirando nuovamente i colori, e le loro sfumature, della luce che precede il tramonto. Si riparte con una ripida salita; ogni tanto la vegetazione lascia intravedere bellissimi scorci panoramici. Dopo una serie di tornanti, arriviamo nella località Base 0, che nella Seconda Guerra Mondiale fu utilizzata come postazione militare. Da qui si potrebbe raggiungere Pietre Strette, dove passa il sentiero che attraversa il parco più internamente. Noi proseguiamo invece verso Portofino.

Portofino

Via via la strada diventa più pianeggiante e si addentra in un boschetto ombroso con la vegetazione tipica della macchia mediterranea. Arrivati a Case di Prato ammiriamo il mare di ulivi della collina di Portofino.

Si continua sino a Vessinaro, dove ignoriamo la deviazione per la splendida Cala degli Inglesi. Un sentiero sterrato e pianeggiante serpeggia per la collina, punteggiandola con la dolce luce dei lampioni. Il crepuscolo avanza e “cammina” con noi. A Capelletta si scende a San Sebastiano e poi a Palara dove, superato un cancello per allontanare gli animali selvatici, inizia una gradinata che ci porterà alla nostra meta. 

Arrivati a Portofino, passeggiamo immersi nel silenzio, tipico della stagione autunnale/primaverile, complice la pienezza delle sensazioni assorbite lungo il cammino, appagati da tanta bellezza.

Battelli: idee alternative

Servirsi dei battelli può essere un’ottima soluzione alternativa per abbreviare il percorso e renderlo adatto a tutta la famiglia. Un esempio: si potrebbe arrivare a san Fruttuoso in battello, camminare sino a Portofino e tornare indietro in treno. 

Le linee coprono la tratta Camogli – San Fruttuoso – Portofino. Alcuni siti utili in proposito sono: golfoparadiso.it e traghettiportofino.it.

battelli

Altri percorsi

Molti altri sentieri attraversano il parco i cui percorsi sono ben segnalati. Il sito portofino trek offre moltissimi spunti, descrizioni dettagliate e cartine.

 

Un altro giro, un altro assaggio della Liguria da scoprire.

Liguria. Il mare nei capelli, l’odore e i colori dell’estate nelle vene, e le bougainville negli occhi.

La Liguria è quel luogo dove il blu del mare si mescola con l’argento degli ulivi, e il tuo sguardo è pieno di stupore e gratitudine.

 

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