I 20 borghi più belli d’Italia. Scopriamo, insieme, quali sono i borghi più belli del Belpaese e…lasciamoci affascinare da storia, arte, cibo e tradizioni.
L’associazione “I borghi più belli d’Italia”
Nel marzo 2001 nasce l’associazione de “I borghi più belli d’Italia”, su impulso della Consulta del Turismo dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani(ANCI). Questa iniziativa è sorta dall’esigenza di valorizzare il grande patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente e tradizioni presente nei piccoli centri italiani che sono, per la grande parte, emarginati dai flussi dei visitatori e dei turisti. Sono, infatti, centinaia i piccoli “borghi d’Italia” che rischiano lo spopolamento ed il conseguente degrado a causa di una situazione di marginalità rispetto agli interessi economici che gravitano intorno al movimento turistico e commerciale.
Da Nord a Sud l’associazione comprende oltre 250 borghi, nei quali sembra di tornare indietro nel tempo, in un’oasi di pace dove tutto scorre più lentamente e in armonia con la natura.
E’ oggettivamente impossibile visitarli tutti e vi propongo una scelta tra i 20 borghi più belli d’Italia da non perdere e, rigorosamente, in ordine di classifica.
I 20 borghi più belli d’Italia
1. Tropea – Calabria
2. Baunei – Sardegna
3. Geraci Siculo – Sicilia
4. Arquà Petrarca – Veneto
5. Locorotondo – Puglia
6. Tremosine sul Garda – Lombardia
7.Cirò – Calabria
8. Rocca San Giovanni – Abruzzo
9. San Lorenzo in Banale – Trentino Alto Adige
10. Pretoro – Abruzzo
11. Erice – Sicilia
12. Ortona – Abruzzo
13. Ravello – Campania
14. Recanati – Marche
15. Tellaro – Liguria
16.Castiglione del Lago – Umbria
17. Egna – Trentino Alto Adige
18. Civita di Bagnoregio – Lazio
19. Bosa – Sardegna
E, allora, scopriamoli “da vicino”…
Tropea
Storia millenaria, promontorio disteso su un mare azzurro, spiagge sabbiose e, a tratti, con scogli disegnati dal tempo. Tropea e i suoi vicoli stretti con piccoli negozi d’artigianato, profumi e sapori calabresi, ma suoni che vengono da tutto il mondo, complice il turismo internazionale che contraddistingue questa perla del tirreno. Grazie a tutto questo, e molto altro, si è meritatamente conquistata il primo posto fra i borghi più belli d’Italia.
Baunei
Barbagia sarda, siamo nei territori dell’Ogliastra, in provincia di Nuoro. Un piccolo centro urbano di poco più di 300 anime, che hanno la fortuna di vivere in un angolo di paradiso, dove la natura si fa spazio in modo incontaminato e libero, fra i boschi alti e selvatici, e via via scende lungo la spiaggia frastagliata e ricca di scogli calcarei che ne danno un’area antica e primitiva. E’ la patria dell’escursionismo, con sentieri di trekking, che vanno dalla montagna al mare, e pareti verticali. Un secondo posto meritato per questo luogo senza tempo.
Geraci Siculo
All’interno del Parco delle Madonie, area naturale protetta dal 1981, questo piccolo borgo medioevale, in provincia di Palermo, adagiato sulla schiena rocciosa di un colle, considerato la “perla delle Madonie, ”vanta un numero elevato di chiese antiche anche di età romana. Il suo terzo posto all’interno della classifica dei borghi più belli d’Italia lo deve alla sua storia e alle innumerevoli testimonianze monumentali ed al fascino che dall’alto questi antichi tetti ancora oggi sprigionano.
Arquà Petrarca
Tra le dolci colline dei Colli Euganei sorge Arquà Petrarca, nome che omaggia il famoso poeta, considerato il precursore dell’umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, che qui venne a trascorrere gli ultimi anni della sua vita. Il tempo ad Arquà si è fermato a quando si lavavano i panni al lavatoio, si lasciavano i cavalli agli abbeveratoi, a quando le case venivano costruite con la pietra. Da vedere anche la casa di Petrarca con le pitture cinquecentesche e il piccolo museo.
Locorotondo
Fondato nell’XI secolo Locorotondo si trova su una collina che cinge gli ultimi contrafforti murgiani del Barese e domina la Valle d’Itria, un cuscinetto di verde a metà strada tra Adriatico e Jonio e su questa pianura, circondata da piccole alture. Il piccolo centro storico è caratterizzato da stradine pavimentate e case costruite in pietra chiara. Locorotondo è così affascinante che venne scelto come location per alcuni film tra cui “Così è la vita” con il trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, e “Baciami piccina” con Vincenzo Salemme.
Tremosine sul Garda
Affacciato sul lago di Garda, quasi a strapiombo, Tremosine è diviso in diverse frazioni sparse a più altitudini. Il borgo fa parte del Parco Alto Garda Brescianoe racchiude piccoli gioielli artistici, vecchie mulattiere che si snodano su per i monti e splendide vedute sul lago. Tremosine è molto più simile a un paesino alpino che ai tipici paesi lacustri, essendo immerso nella natura dei pascoli e della montagna.
Cirò
Un piccolo gruppo di case antiche e ben arroccate sulla collina che si affaccia sul bellissimo mar Ionio o “mare di mezzo”, in un fazzoletto di terra verde, in provincia di Crotone, dove la natura ha regalato bellezza e forza alle viti del posto, i cui vini vengono ogni anno esportati in tutto il mondo. La denominazione Cirò DOC, in Calabria, si riferisce a vini tra i più antichi del mondo, con una storia alle spalle che risale a migliaia di anni fa, ancora ai tempi prima della civiltà romana. Sono prodotti nelle colline orientali dell’altopiano della Sila e sulla costa ionica, nei comuni di Ciro, Cirò Marina, Crucoli e Melissa. Una storia antichissima che parte dalla magna Grecia e arriva fino ad oggi passando anche da un medioevo. Un luogo fatto di cultura e bellezza, che merita di diritto il suo posto fra i primi sette borghi più belli.
Rocca San Giovanni
Tra la foce del fiume Sangro e il torrente Feltrino sorge Rocca San Giovanni fondato nell’XI secolo. Il piccolo centro storico, in provincia di Chieti, ha un aspetto trecentesco e conserva ancora i resti delle antiche mura medievali. Si può godere di uno splendido panorama sulla natura circostante ed inoltrarsi nell’area faunistica “Zoo d’Abruzzo o di Rocca San Giovanni”.
San Lorenzo in Banale
San Lorenzo in Banale, piccola perla incastonata alle pendici delle Dolomiti di Brenta, patrimonio dell’Unesco, nato dalla fusione di sette antichi feudi, offre moltissimo dal punto di vista storico e archeologico. Diversi palazzi e chiese decorati con affreschi, altari e statue lignee, raccontano la storia del luogo.
Pretoro
Alle pendici del massiccio della Majella si incontra Pretoro, piccolo borgo di artigiani dalla particolare struttura urbanistica nel cuore dell’Abruzzo. Vi conquisterà con la sua semplicità e il magico silenzio che troverete tra i suoi stretti vicoli, le case appoggiate le une alle altre e i saliscendi delle sue scale. Fermatevi qui a mangiare uno dei piatti tipici della cucina abruzzese: i maccheroni alla chitarra con ragù di agnello.
Erice
Affascinante e solitaria, Erice domina da millenni la punta estrema della Sicilia occidentale. Il mito qui è di casa. Ce lo ricorda Virgilio nell’Eneide, quando racconta che Enea, in fuga da Troia, vi si fermò ben due volte, ce lo rimandano le mura ciclopiche realizzate dai Punici per fortificare la città, ce lo rammenta il Castello normanno edificato sui resti di un’antichissima area sacra dedicata al culto della fecondità. Ogni angolo del borgo ci riporta indietro nel tempo, ci confonde con i suoi profumi, ci avvolge con la sua nebbia leggera. Pur essendo meno abitato, è il centro nevralgico del turismo. A colpire i visitatori è, innanzitutto, la posizione di dominio rispetto alla sottostante pianura che si affaccia sul mare. Il panorama è da togliere il fiato, già a partire dalla funivia che si può prendere per salire nel borgo di Erice in tutta comodità, a soli 4 € andata e ritorno. Una volta saliti si è subito colpiti dal contesto fiabesco di mura medievali e dal Castello di Venere, di origine normanna, che conserva intatto, ancora oggi, l’immortale fascino. Una volta in giro per il borgo fatevi tentare dai piccoli forni artigianali: arancini o cannoli?
Ortona
La storia di Ortona parte dal periodo romano dove oggi è posto il Castello aragonese del 1500. Una storia che porta i visitatori a immergersi nel borgo, in provincia di Chieti, attraversando di volta in volta i monumenti, le chiese, gli antichi palazzi, facendosi rapire da una cornice senza tempo. La particolarità di Ortona risiede anche nella sua estensione geografica, che la porta ad essere oltre che luogo di collina, anche luogo di mare, visto che parte della cittadina si estende sul litorale abruzzese. Merita una sosta anche nella vicina citta di Vasto.
Ravello
Appartenendo ad una delle mete classiche della riviera amalfitana, Ravello fa del mare una splendida cornice, attorno ad uno spettacolare trionfo di monumenti ville e chiese che dominano l’intero litorale da una posizione rialzata in grado di togliere il fiato ai numerosi visitatori. Noto come città della musica e della poesia. La cittadina domina da un’altezza di 350 m la strada costiera che da Maiori conduce sino ad Amalfi e, negli anni, ha incantato letterati ed artisti di ogni epoca fra cui Boccaccio, Turner e molti altri ancora.
Villa Rufolo, tra amore e fotografia
Fra i luoghi d’interesse va certamente segnalato la fiabesca Villa Rufolo, risalente al 1200′ , voluta dalla omonima famiglia, è ancora oggi il luogo d’eccellenza per gli innamorati e gli appassionati di fotografia. Grazie alla immensa terrazza fiorita e alla sua posizione a picco sul mare regala momenti indimenticabili. Segnaliamo la difficoltà di muoversi nelle strette e affollate strade che portano a Ravello, motivo in più per pernottare un po’ fuori dal centro nevralgico e raggiungere il posto affittando una moto, muovendosi così in libertà nelle lunghissime code che, certamente, incontrerete. Non può mancare una visita nella vicina Paestum.
Recanati
Nella classifica dei borghi più belli d’Italia, non può mancare il luogo che ha dato i natali a Giacomo Leopardi, uno dei più grandi poeti della letteratura italiana e Beniamino Gigli, noto cantante lirico. Recanati è stata candidata a Capitale Italiana della Cultura 2018. E’ la tipica “città balcone” per l’ampio panorama che vi si scorge. Il paese conserva monumenti e palazzi che via via faranno attraversare ai visitatori, i diversi periodi storici che il paese ha vissuto. Da segnalare la visita alla Chiesa di Sant’Agostino, all’interno colpisce certamente l’affresco medievale raffigurante l’Ultima cena e il campanile, che ha ispirato la nota poesia “Il passero solitario”. Non perdetevi la visita all’interno della casa dove visse Leopardi…
Tellaro
Siamo su una delle più belle zone di mare della Liguria. Tellaro è una frazione del comune di Lerici, caratterizzato dall’essere un antico borgo marinaro, arroccato su una scogliera che si affaccia sul Golfo della Spezia. Meta di molti artisti italiani e stranieri. Tellaro, infine, è una delle borgate marinare che ogni anno partecipano al Palio del Golfo.
L’unica via di comunicazione carrabile, che dal capoluogo lericino porta al borgo di Tellaro, è una strada che si dipana a picco sul mare, transitando per Maralunga e Fiascherino. E’, inoltre, raggiungibile percorrendo alcuni sentieri pedonali che dai borghi a monte calano verso il mare, anche se con una certa difficoltà, per la natura aspra e impervia delle terrazze digradanti sul mare. Ma una volta arrivati dove il borgo incontra la riva, lo spettacolo vi farà dimenticare la fatica. Non è un caso che in un piccolo posto come Tellaro abbiano soggiornato, innamorandosene, tre grandi uomini della cultura internazionale come D.H.Lawrence, Mario Soldati e Eugenio Montale.
Castiglione del Lago
Castiglione del Lago si trova su un promontorio che si affaccia sul lago Trasimeno. Sicuramente uno dei borghi più belli di tutta l’Umbria. Abbarbicata su un promontorio ricoperto di ulivi, e circondato da dolci colline, la cittadina ha una storia decisamente notevole, che la vede importante centro nel Medioevo e ducato tra il ‘500 e il ‘600, rendendola, in passato come a tutt’oggi, una delle perle da visitare nel centro Italia. Il borgo conserva ancora il suo aspetto medievale, grazie anche alla bellissima Rocca del Leone che domina dall’alto il paesaggio circostante. Da vedere anche la piccola Isola Polvese ricca di vegetazione e sede anch’essa di un suggestivo Castello medievale.
Egna
Egna si trova in Bassa Atesina, circondato da bellissimi vigneti, in provincia di Bolzano è uno splendido borgo immerso tra vigneti e meleti e circondato da splendide montagne. Ciò che caratterizza il paese sono sicuramente i portici, che ritroviamo in parecchie cittadine di stampo tedesco. Da non perdere la chiesa gotica (tra le più belle dell’Alto Adige) e l’annuale festa dei portici a fine agosto. Grazie alla sua posizione geografica, già nel medioevo, Egna divenne un importante centro commerciale che collegava nord e sud acquistando così una rilevante importanza culturale ed economica.
Civita di Bagnoregio
E’ un luogo magico, surreale, fantastico, famoso nel mondo, situato sulla vetta di un’altura di tufo e raggiungibile solo attraverso uno stretto ponte pedonale dal quale si gode di uno dei panorami più spettacolari di tutto il Lazio. Soprannominata la città che muore, per via della costante erosione delle rocce di tufo su cui si trova, questa cittadella a metà strada tra Orvieto e il lago di Bolsena haorigini etrusche e medioevali. Sospesa nel tempo e nello spazio, Civita di Bagnoregio è senza dubbio uno dei borghi italiani più belli e caratteristici. Durante le giornate di nebbia questa incredibile città sembra letteralmente sospesa nel vuoto. Eppure, la storia di questo luogo parla di una città che vive, e lo fa da epoca antichissima. Infatti, le testimonianze architettoniche insieme a numerosi ritrovamenti, indicano come il borgo debba le sue origini alla favolosa civiltà etrusca e, in seguito, a quella romanica. Ad oggi è possibile visitare il paese lasciando l’auto fuori dal borgo e attraversando un piccolo ponte, costruito nel 1965, perdendosi nel fascino assoluto di questo luogo.
Bosa
Bosa è un perla assolutamente da visitare nel panorama di una vacanza nella costa occidentale della Sardegna, in provincia di Oristano. Questo piccolo – ma neanche troppo – borgo, sorge sulle rive del fiume Temo, e al contempo si affaccia sul mar mediterraneo. Un incantevole luogo dove tradizione e modernità si fondono e infondono curiosità e fascino, uno dei borghi più pittoreschi d’Italia, dominato da un castello medioevale, con le sue case multicolori lungo la foce del fiume che la divide in due con forme sinuose.
La sua storia ha dell’incredibile con una stratificazione che pochi luoghi nel mondo possono vantare: dall’età preistorica si passa ai fenici, ai romani, agli aragonesi, agli spagnoli, agli austriaci, fino alla più recente unità d’Italia. Visitare Bosa significherà avvicinarsi a tutte queste epoche ma, al contempo, questo luogo è di interesse internazionale per via dei suoi aspetti naturalistici. Infatti, oltre alla presenza di specie rare come i grifoni, anche dal punto di vista della flora il borgo nasconde nei propri fondali forme di coralli di rara bellezza.
E in Liguria?
La Liguria è piena di borghi, arroccati sul mare o nell’entroterra più nascosto. Posti suggestivi, magici e ricchi di storia, da visitare sia in estate che in inverno. Dall’imperiese allo spezzino, la nostra regione regala scenari mozzafiato. Dai più noti come Campo Ligure, Triora o Moneglia, a quelli da scoprire come Castelvecchio di Rocca Barbena o Seborga. Piccoli o medi borghi che vanno tutelati, talvolta recuperati, e valorizzati. Sul sito I Borghi più Belli d’Italia si possono consultare e ‘visitare’ tutti i piccoli centri storici e artistici finora inseriti nell’elenco (aggiornato al 2021).
Ecco quelli in Liguria, oltre 20, che si trovano in tutte e quattro le province:
Apricale, il bacio della pietra con il sole
Brugnato, il borgo a forma di tenaglia
Campo Ligure, l’arte lieve della filigrana
Castelvecchio di Rocca Barbena, come in una fiaba
Cervo, sogni d’oltremare
Colletta, il villaggio telematico
Diano Castello, la culla del Vermentino
Finalborgo, aria da marchesi
Framura, tre torri e tre borghi
Laigueglia, piazzette al mare
Lingueglietta, una lucertola distesa al sole
Millesimo, il ponte sulla Bormida
Moneglia, un gioiello tra due campanili
Montemarcello, nel flusso dell’acqua infinita
Noli, l’antica repubblica marinara
Perinaldo, il Poggio delle Stelle
Seborga, riposarsi all’ombra
Taggia, la città del ponte a 15 arcate
Tellaro, poesia scritta sull’acqua
Triora, il borgo delle streghe
Varese Ligure, un paese tutto bio
Verezzi, il teatro delle meraviglie
Vernazza, nell’incanto delle Cinque Terre
Zuccarello, la patria di Ilaria Del Carretto
Mi piacerebbe vivere in ognuno di questi borghi, in uno di quei paesini sul mare…in cui le case sono colorate di bianco e di blu, sui balconi ci sono i fiori e nell’aria c’è profumo di limone.
Ad ognuno il proprio borgo. È casa, radici, colori, respiri, sangue, orizzonte che ci appartiene. E una strada che porta sempre dove bisogna essere, in quel punto esatto della felicità.
Di certi paesini, dove il tempo si è fermato, dove quando incroci un anziano che ti guarda quasi “pretendendo” il saluto. Dovrebbe essere così ovunque. Ed è bellissimo.
Anello Camogli – San Fruttuoso – Portofino a piedi. Siamo nel Parco Naturale di Portofinola cui rete sentieristica, oltre ad essere molto varia, è anche ben segnalata. Stretto tra il mare e la montagna, il nostro sentiero si fa strada tra fasce di ulivi, boschetti e rocce a strapiombo sul mare.
Quanti sanno che anche a Camogli ci sono i laghetti? Laghetti e cascate che davvero in poco conoscono, fuori dai percorsi escursionistici, ricchi di specie inaspettate. Sicuri di conoscere tutte le fortificazioni della Batteria Chiappa, anche quelle fuori dalla vista e dai soliti itinerari? E quelle su cui si cammina sopra senza accorgersene? In questa escursione ad anello si può toccare con mano un po’ tutto questo…
Anello Camogli, una gita suggestiva
Che ne dite di un’altra suggestiva gita nella riviera ligure di Levante, adatta solo ai camminatori più esperti e allenati? Però, non mancano le varianti, decisamente meno impegnative e alla portata di tutti.
Mi piace raggiungere Camogli in treno e, uscendo dalla stazione, teniamo la sinistra fino ad imboccare Via San Bartolomeo dove si trovano subito i cartelli a segnalarci la direzione per l’ingresso al Parco.
Camogli
Camogli, la “Città dei Mille Bianchi Velieri”. Camogli è la traduzione in italiano del nome della cittadina, dal genovese Camoggi (pronuncia Camúggi). Il nome significa Case ammucchiate (Camoggi = Cà a mûggi,) cioè Case a mucchi); difatti, guardando la città da fuori, possiamo notare come sia caratterizzata da case le une addossate alle altre. Questo piccolo borgo marinaro affacciato sul Golfo Paradiso fa parte del parco naturale regionale di Portofino e sarà il punto di partenza della nostra camminata,di un diverso modo di viaggiare, a piedi.
All’ingresso del centro storico, un’enorme padella accoglie i turisti e ne attira l’attenzione. Viene utilizzata per friggere il pesce in occasione della grande festa che in maggio celebra il patrono dei pescatori, San Fortunato. Vale la pena addentrarsi nel budello e percorrere la passeggiata sul mare, per ammirare le case variopinte, rifornirsi di focaccia e salire fino alla Basilica di Santa Maria Assunta e al Castello della Dragonara, o anche Castel Dragone, la fortezza del centro di Camogli che si arrampica su delle rocce a picco sul mare.
Siete pronti?
Appena fuori dal centro, proseguendo verso levante e superando un parcheggio, inizia il sentiero che, nel primo tratto, costeggia il Rio Gentile. Ecco che si inizia a salire per una stradina che si snoda tra fasce di ulivi e case isolate; l’ultima scalinata ci porta nella frazione di San Rocco.
Dal piazzale della chiesa, si abbraccia con lo sguardo tutto il litorale del Golfo Paradiso. A destra della chiesa, una fontanella d’acqua ci viene in soccorso per il nostro viaggio “in salita” e…si riparte.
Per San Fruttuoso da San Rocco
Da San Rocco partono due sentieri per San Fruttuoso. Il primo tratto è riparato dagli alberi e non presenta particolari difficoltà mentre il secondo, che vi propongo, quello a ridosso sul mare, presenta maggiori difficoltà, ma è anche il più panoramico. Il percorso inizia con la strada che, partendo dal sagrato della chiesa di San Rocco, prosegue a sbalzo mare. Dopo qualche minuto, oltrepassata la scalinata che scende a Punta Chiappa, si attraversa località Mortola, un piccolo nucleo di case molto caratteristico.
Allontanandosi dall’abitato il sentiero si inoltra nel bosco e arriva, dopo circa 20 minuti, in località Fornelli, da cui, a sinistra, si può salire a località Pietre Strette. Proseguendo, invece, diritti, dopo un tratto in falso piano seguono alcuni saliscendi su scalini di roccia irregolari, ma facilmente percorribili che, uscendo dalla boscaglia, si affacciano su Punta Chiappa e Camogli. Dopo circa 40′ dalla partenza si arriva alla località Batterie, magnifico belvedere sul golfo, che ospita il Centro Batterie “Silvio Somazzi”, nato per valorizzare i resti dei manufatti bellici, risalenti alla Seconda Guerra Mondiale.
Punta Chiappa: curiosità
Arrivati a Batterie, incontriamo il primo di una serie di bunker usati dai tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale. Qui, si può fare una deviazione e scendere a Punta Chiappa imboccando un sentiero sulla sinistra che, ben presto, si trasforma in scalinata. La Punta è formata dal tipico conglomerato di Portofino e delimita il Golfo Paradiso. Prende il nome dalla singolare roccia di puddinga che si estende sul mare, chiamata appunto Punta Chiappa che in genovese vuol dire Punta piatta. La Batteria di Punta Chiappa è il complesso difensivo della 202ª Batteria costiera del Regio Esercito, costruito verso la fine degli anni trenta sul versante occidentale della penisola di Portofino concepita come sistema antinave a protezione del levante del golfo di Genova.
Il primo agosto di ogni anno si celebra la Stella Maris, la Madonna protettrice dei navigatori, a cui è dedicato il mosaico sull’altare che si trova all’inizio della punta. La mattina, almeno pre Covid-19, ha luogo una processione via mare e via terra che termina con la benedizione delle imbarcazioni; la sera centinaia di lumini colorati vengono affidati alle onde, in ricordo delle vittime del mare.
Il Passo del Bacio
Dopo essere risaliti sul sentiero principale, si prosegue sino a Passo del Bacio. Qui il paesaggio cambia: il sentiero attraversa punti molto esposti, rocce a strapiombo sul mare dove è possibile aggrapparsi a delle catene.
Arrivati a Passo del Bacio (il nome deriva da una leggenda secondo cui due giovani innamorati, per non separarsi come avrebbero voluto le famiglie, morirono lanciandosi insieme in questo punto, dopo un ultimo bacio) il percorso si fa un po’ più impegnativo per alcuni punti in cui bisogna passare direttamente sulla roccia a strapiombo sul mare. L’uso delle catene (a volte superfluo) facilita il passaggio, soprattutto in un breve tratto in cui la roccia presenta pochi punti di appoggio per il piede.
A questo punto affrontiamo una salita molto ripida e faticosa con un primo tratto molto soleggiato per inoltrarci poi in mezzo al bosco che ci porta, in circa 40 minuti, in vetta da cui si può godere della vista mozzafiato su Cala dell’Oro e Punta Torretta (accessibile solo con visite guidate). Quindi, si svalica per iniziare la discesa verso San Fruttuoso e, in prossimità dell’Abbazia, il paesaggio sembra addomesticarsi nuovamente.
La discesa verso San Fruttuoso
L’ultima parte del percorso, tutto in discesa, si sviluppa in mezzo ad alberi secolari e termina, dopo 25 minuti, all’imbarcadero di San Fruttuoso di Camogli, proprio di fronte alla spettacolare Abbazia di san Fruttuoso di Camogli, ed ecco apparire le prime case tra la vegetazione. Passando sotto agli archi dietro alla spiaggia, si accede ad una zona più interna. Il paesaggio è stupendo, i suoi colori qualcosa di speciale.
L’Abbazia di San Fruttuoso
Questo monastero benedettino fu costruito intorno all’anno Mille. Il luogo ha un fascino immortale. Le scogliere a precipizio, tra la terra e i boschi impenetrabili del monte di Portofino e il mare azzurro della Liguria di Levante, sono tutti elementi che rendono l’Abbazia di San Fruttuoso unica.
Le origini risalgono addirittura all’VIII secolo dopo Cristo. Fu un vescovo spagnolo, in fuga dai mori, a scegliere il luogo per fondare una chiesa e intitolarla a San Fruttuoso, che pare gli avesse indicato questa preziosa baia in sogno.
L‘Abbazia di San Fruttuoso, non collegata alla rete stradale, ma raggiungibile solo a piedi o in battello, è proprietà del FAI grazie alla donazione della famiglia Doria. Nel 1984 l’Abbazia fu donata da Frank e Orietta Pogson Doria Pamphilj al FAI, che l’ha ristrutturata e resa visitabile.
Potete consultare gli orari di visita sul sito del FAI. Ci sono proposte particolari per le visite di gruppo e scolastiche e un interessante calendario di eventi, tra cui la stagione concertistica.
Lo sapevate che?
Il fatto che ci sia una sorgente d’acqua dolce, ha reso il tutto più agevole. L’abbazia è stata usata anche come covo dei pirati e come borgo di pescatori.
Verso Portofino a piedi
Dopo la sosta all’Abbazia e il meritato riposo sulla spiaggia, è ora di ripartire, attraverso il bosco, ammirando nuovamente i colori, e le loro sfumature, della luce che precede il tramonto. Si riparte con una ripida salita; ogni tanto la vegetazione lascia intravedere bellissimi scorci panoramici. Dopo una serie di tornanti, arriviamo nella località Base 0, che nella Seconda Guerra Mondiale fu utilizzata come postazione militare. Da qui si potrebbe raggiungere Pietre Strette, dove passa il sentiero che attraversa il parco più internamente. Noi proseguiamo invece verso Portofino.
Via via la strada diventa più pianeggiante e si addentra in un boschetto ombroso con la vegetazione tipica della macchia mediterranea. Arrivati a Case di Prato ammiriamo il mare di ulivi della collina di Portofino.
Si continua sino a Vessinaro, dove ignoriamo la deviazione per la splendida Cala degli Inglesi. Un sentiero sterrato e pianeggiante serpeggia per la collina, punteggiandola con la dolce luce dei lampioni. Il crepuscolo avanza e “cammina” con noi. A Capelletta si scende a San Sebastiano e poi a Palara dove, superato un cancello per allontanare gli animali selvatici, inizia una gradinata che ci porterà alla nostra meta.
Arrivati a Portofino, passeggiamo immersi nel silenzio, tipico della stagione autunnale/primaverile, complice la pienezza delle sensazioni assorbite lungo il cammino, appagati da tanta bellezza.
Battelli: idee alternative
Servirsi dei battelli può essere un’ottima soluzione alternativa per abbreviare il percorso e renderlo adatto a tutta la famiglia. Un esempio: si potrebbe arrivare a san Fruttuoso in battello, camminare sino a Portofino e tornare indietro in treno.
Molti altri sentieri attraversano il parco i cui percorsi sono ben segnalati. Il sito portofino trek offre moltissimi spunti, descrizioni dettagliate e cartine.
Punta Pineda e le sue selvagge piscinette. La Liguria non finisce mai di stupire con le sue spiagge segrete e i suoi angoli di paradiso da Ponente a Levante. Le Cinque Terresono un vero e proprio gioiello della riviera spezzina, quello che attira turisti da tutto il mondo. Ma è nelle discese a mare dei borghi di Tramonti che il territorio spezzino nasconde, gelosamente, i suoi diamanti più preziosi.
Punta Pineda e l’effetto piscina
Siamo in provincia di La Spezia alla scoperta delle piscine naturali (in dialetto bozi) di punta Pineda, conosciuti come i luoghi più suggestivi della regione. Isolate, difficili da raggiungere, esclusive e protette dalla roccia, le selvagge “piscinette” danno la possibilità di fare un bel bagno in pace. La caratteristica di questo luogo è che le rocce creano una barriera naturale dietro cui si trovano vere e proprie grandi vasche naturali, dove l’acqua di mare entra creando un suggestivo effetto piscina (in passato usati per ricavare sale dall’acqua marina).
Lo sapevate che i bozi…?
I bozi di punta Pineda, in riva al mare aperto e, grazie alla loro conformazione naturale, sono stati utilizzati dalla gente del posto fino al secondo dopo guerra come salina. La bassa profondità delle “piscinette”, infatti, favorisce l’evaporazione dell’acqua marina, che lascia così depositato sulla roccia il sale. Un tempo, i contadini di Biassa favorivano questo processo utilizzando rudimentali teglie di lamera sotto cui accendevano il fuoco.
Come si arriva?
Siete pronti ad affrontare la fatica? Bene, si parte, dunque, perché il paesaggio di punta Pineda ripagherà ampiamente dello sforzo. Dopo un sentiero fatto di tanti gradini – con più di un tratto esposto – roccia, fichi d’india, passaggi tra le terrazze coltivate, si raggiunge il mare. Lo sguardo corre dal Tino alla costa delle Cinque Terre, in un silenzio che sembra toccare l’infinito.
Queste pozze verdi nella roccia si trovano sotto il Borgo dei Campi, nell’area protetta delle Cinque Terre (Riomaggiore), e sono raggiungibili con un sentiero, segnalato sul sito del Parco per escursionisti esperti (EE), di 30 minuti circa a scendere dalla Litoranea e 60 minuti circa a salire, piuttosto impervio e con un dislivello di circa 250 metri.
Per arrivare si può partire dalla Litoranea. Dalla Spezia, occorre seguire le indicazioni per le Cinque Terre (Strada Provinciale delle Cinque Terre). Seguendo per circa sei chilometri la strada si giunge alla galleria di Biassa e al ristorante “Due Gemelli”, 600 metri dopo la quale si incrocia, sulla sinistra, il bar “Il Giardino” con davanti un pergolato: qui parte il sentiero (il parcheggio, sulla sinistra, è privato dell’agriturismo) che – dopo molta fatica – condurrà al mare. Nei periodi estivi occorre, necessariamente, dotarsi di acqua abbondante.
La scalinata da imboccare…
Tra le varie scalinate di Tramonti, il naturale affaccio della Spezia sul mare aperto, quella da imboccare è quella di Campi. Questa non è una scalinata banale: sono 260 metri di dislivello senza respiro, guardando l’azzurro del mare e camminando in mezzo alle rocce. Durante il tragitto si incontrano la scogliera di Punta Castagna e lo scoglio “Castagnola”.
Un itinerario un po’ scosceso e ostico, ma che regala i colori unici del mare delle Cinque Terre e della Liguria: una terra che sa di basilico e mare, le colline sembrano voler sfiorare le nuvole e i colori sono pennellate di luce e incanto.
Amo la Liguria che profuma di voci, vento e basilico. La Liguria dei vicoli e dei carrugi. Da una parte c’è il mare, dall’altra ci sono case dai colori disuguali e colline lavorate dall’uomo e ulivi. Il blu dell’acqua, di uno dei mari più belli d’Italia, lambisce la costa, fatta di rocce, macchia e dei colori pastello dei cento paesi orgogliosi della tradizione marinara ligure.
La festa della mamma ha un’origine molto antica, ma è sempre stata celebrata in maggio. Si celebrava già in epoca pagana, al tempo dei Greci e dei Romani, dove era legata al culto delle divinità femminili e della fertilità e segnava il rapido passaggio dal gelido e bianco inverno alla colorata e sudata estate.
Fin dall’antichità, infatti, le popolazioni politeiste erano solite celebrare giornate dedicate alle madri e alla fertilità in primavera. Sembra che i greci onorassero la dea Rea, sposa di Cronos e madre di Zeus, mentre gli antichi Romani consacravano le idi di marzo a Cibele, una divinità di origine frigia che incarnava la Madre Terra.
Dal Medioevo al fascismo
Nel Medioevo la figura materna continuò a essere associata a fertilità e abbondanza, una connessione che si mantenne anche nei secoli successivi. Durante il fascismo, ad esempio, venne scelta la data del 24 dicembre per premiare le madri “più prolifiche” nell’ambito della “Giornata nazionale della Madre e del Fanciullo”.
Da questi riti ai giorni nostri è passato molto tempo, ma lo spirito è sempre lo stesso. Quale? Celebrare la donna nella più grande espressione della sua femminilità: la maternità.
La prima festa nel mondo
La prima festa della mamma dell’epoca moderna di cui si abbia notizia è quella anglosassone. Nel Regno Unito nacque nel XVII secolo la “Mothering Sunday”, che coincideva con la quarta domenica di Quaresima: una giornata in cui ai ragazzi che vivevano lontano dalle proprie famiglie era concesso tornare a casa a omaggiare le proprie madri.
Così come la conosciamo e viviamo noi, fu proposta per la prima volta nel maggio 1870 negli Stati Uniti da una pacifista e femminista americana: la poetessa Julia Ward Howe che scrisse anche una poesia a tema.
L’istituzionalizzazione del “Mother’s Day” avvenne, però, negli Stati Uniti, quarant’anni dopo, grazie a due donne, madre e figlia: Ann e Anna Marie Jarvis. La prima, attivista durante la Guerra civile americana, fu l’ispiratrice della festa della mamma, la seconda ne è universalmente considerata la fondatrice.
Anna era profondamente legata alla madre tanto che, dopo la sua morte, tempestò di lettere ministri e alte cariche pubbliche affinché venisse istituita una festa per celebrare tutte le mamme del mondo. E, fu solo nel 1908, il 10 maggio, che Anna Marie Jarvis celebrò a Grafton, nel Massachussets, il primo “Mother’s Day”, scegliendo come simbolo il garofano bianco, fiore preferito dalla madre defunta. Perché bianco?
Curiosità
Alla celebrazione della festa fu associato anche un fiore simbolo: il garofano rosso per le madri in vita ed il garofano bianco per quelle che, invece, non c’erano più.
Ufficializzazione
Nel 1914 l’allora presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, rese l’evento una festa ufficiale, su delibera del Congresso, programmandola per la seconda domenica di maggio.
La ricorrenza si diffuse gradualmente in tutto il mondo (nel 1917 in Svizzera, nel 1919 in Norvegia e in Svezia, nel 1923 in Germania e nel 1924 in Austria), ma la stessa Jarvis si rammaricò della piega commerciale che, già allora, la celebrazione stava prendendo, dispiaciuta che nel mondo si pensasse più al profitto che al sentimento d’amore filiale.
In Italia
Nel nostro Paese la festa della mamma fu celebrata per la prima volta nel 1956 da Raul Zaccari, senatore e sindaco di Bordighera (Imperia) nel teatro cittadino Zeni. Un anno dopo, è la volta di don Otello Migliosi, un sacerdote del borgo di Tordibetto ad Assisi, che scelse un giorno del maggio 1957 per celebrare la madre nel suo valore religioso.
Il disegno di legge per istituire ufficialmente la festa, presentato al Senato nel 1958, suscitò un acceso dibattito, ma la celebrazione prese ugualmente piede in via informale, fino a essere fissata ogni anno per l’8 maggio. Poi, dal duemila, soprattutto per motivi commerciali, la ricorrenza divenne “mobile e ballerina” e fu spostata alla seconda domenica del mese, in modo da farla coincidere in un giorno festivo.
Quando si festeggia nel mondo?
La festa della mamma si celebra a maggio in molti Paesi sull’onda dell’esempio degli Stati Uniti. Ma ci sono altre parti del mondo in cui questa ricorrenza cade in diversi periodi dell’anno.
Il Regno Unito e l’Irlanda, che rispettano la tradizione del “Mothering Sunday” , festeggiano fra marzo e aprile, poi ci sono Paesi che celebrano le madri in concomitanza con la festa delle donne come la Bulgaria, la Romania e gli altri Stati balcanici.
Il primo giorno di primavera (21 marzo) è la data scelta, invece, in molti Paesi arabi, dal Marocco, all’Egitto e alla Siria. In Francia la festa cade nell’ultima domenica di maggio mentre in Russia si festeggia l’ultima di novembre. E in Thailandia si deve aspettare fino al 12 agosto, giorno del compleanno della regina in carica. In Norvegia la seconda domenica di febbraio ed in Argentina la seconda domenica di ottobre.
Lo sapevate che?
Curioso il caso della Spagna, dove la festa ha un significato popolare, ma non ufficiale: si è passati, negli anni ’60, dal celebrarla nel mese di maggio, come avviene a Cuba, per poi fissarla per l’8 dicembre (giorno dell’Immacolata Concezione), come succede a Panama. Il dualismo proseguì per anni, fino a che le autorità ecclesiastiche decisero per la prima domenica di maggio, il mese tradizionalmente consacrato alla Vergine Maria.
Sia chi ha la fortuna di avercela ancora – una mamma -, chi l’ha persa, sebbene solo fisicamente, chi non l’ha mai conosciuta. Magari, chi, in cuor suo, la sta cercando e…chi vorrebbe esserlo; insomma, la mamma è unica. E il nostro ombelico. Una mamma è colei che solleva il suo bambino e lo porta all’altezza dei suoi occhi.
Amore, pazienza, perdono, rifugio e presenza. In una parola: MAMMA.
Tanti auguri mamma, alla mia – posso farlo solo scrivendoglielo – e a tutte le madri del mondo. Sì, perché la maternità è il più grande privilegio della vita. Da lì, nasciamo. Da lì, esistiamo.
“Mamma”, la parola più bella sulle labbra dell’umanità. Per pronunciare la parola “mamma” la bocca bacia due volte…
Maggio, il mese della rosa e dell’amore. Il quinto mese dell’anno è, da sempre, considerato il mese della rosa, il contrassegno della rinascita, di ogni rinascita spirituale, e dell’amore. Questo fiore è da sempre stato associato al mondo femminile e possiamo indicare due figure icona, la dea Venere e, in ambito cristiano, la Vergine Maria.
Il mese della rosa e dell’amore, una nuova stagione
Perché si dice che maggio è il mese delle rose? Semplice, perché è il mese delle dichiarazioni d’amore: l’amore sboccia – si dice. Appendere un ramo fiorito (detto “maggio”) sulla porta della fanciulla amata voleva dire, insieme: sei bella come un fiore, e: il mio cuore è fiorito per te.
Il mese della primavera e… della rinascita
A maggio l’arrivo della primavera, che nei mesi precedenti era stato solo un leggero accenno, una timida promessa, diventa viva conferma. Il pulsare della vita ritorna con i suoi riti negli orti, nei campi e in ogni forma di natura. L’aria si impregna di profumi veloci, nel senso che sono propri dei luoghi e cambiano in fretta come dal giardino al prato, dalla siepe all’aperto campo. Persino i suoni sembrano avere la stessa forma accelerata di una stagione femminile che va di fretta, piena di un vociare all’aperto, nelle serate tiepide e distese del fioretto con ronzii di preghiere attorno agli altari. Quei piccoli e teneri segni di devozione per manifestare un grande amore. E’ il mese della madre e lo era anche prima che maggio diventasse il mese di Maria madre di Gesù.
Maggio, dal Medioevo ad oggi
Il nome maggio deriva dal nome latino maius che avrebbe preso origine, secondo Ovidio, da majores: “gli adulti anziani” a cui i romani dedicavano questo mese. Secondo altri deriverebbe dal nome di Maja, la madre di Mercurio, a cui il mese sarebbe stato dedicato (secondo altri ancora, invece, esso era consacrato al dio Apollo).
Nel Medioevo, poi, il mese di maggio veniva rappresentato come un giovane che portava fiori, oppure come un giovane intento a tagliare il fieno. E’ il mese della fioritura, dell’esplosione della natura, del risveglio completo che segue la sonnolenza di aprile e che precede il fulgore della vicina estate.
Almeno fino alla metà del secolo scorso, il periodo della mezza primavera era ricco di riti, usanze e consuetudini. Un filo unico dalla piantumazione di un albero verde, l’albero de maio,che rappresentava la forza della nuova vegetazione, a el mariazo, che celebrava con la sposa del maio la fertilità della terra madre. Ed ancora la lode delle putele, la tradizione di contrassegnare con rami o altri simboli di lode le porte delle ragazze da maritare. Rituali romani dove i giovani maschi preparavano i “magi” da offrire alle ragazze prescelte che ricevevano dolci, ciambelle, confetti, fiori, rami d’albero impreziositi con nastri e fiori.
I rami d’albero significavano messaggi amorosi cifrati e dichiarazioni d’amore come il “ciliegio-saresara”- “morosa cara”, pioppo “morosa propria” “susino-amolaro” “moroso caro”, mentre le ragazze considerate poco serie, brutte o antipatiche ricevevano regali sgraditi.
Il Calendimaggio
Il Calendimaggio o Cantar maggio, che trae il nome dal periodo in cui ha luogo, cioè l’inizio di maggio, è una festa stagionale che si tiene per festeggiare l’arrivo della primavera. Il Calendimaggio è una tradizione viva ancor oggi in molte regioni d’Italia come simbolo del ritorno alla vita e della rinascita: fra queste la Liguria, la Lombardia, l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria. E’ su questo rituale di gioia e di abbondanza che si innestano anche le feste e le sagre paesane, sia come momento di scambio e vendita delle prime primizie di stagione: asparagi, piselli, ciliegie, fragole, ma anche come momento del ritorno alla vita sociale e dunque alla socialità.
Il mese delle spose
Maggio è anche il mese della ritualità nuziale che si collega, da sempre, al desiderio e quindi all’auspicio di fertilità, di prosperità e di abbondanza come richiamato nel celebre canto della tradizione popolare “Cossa gala magnà la sposa”.
La rosa: il significato, tra colori e numeri
La rosa ha rappresentato, e tuttora, il mondo della femminilità, della bellezza senza tempo, della purezza, dell’eleganza, e dell’amore sia quello innocente, ma anche quello passionale, assumendo così significati ambivalenti. Ogni singola specie racchiude in sé un mondo ed un significato preciso.
Anche ogni colore, del resto, rappresenta un significato particolare: la rosa bianca simboleggia la purezza, la castità, la segretezza e il silenzio. Quella color rosa simboleggia l’amicizia e i buoni sentimenti: la felicità, la stima e l’ammirazione. La rosa gialla rappresenta invece la gelosia, la vergogna, l’inganno e l’infedeltà. La rosa rossa significa amore puro, eterno e ardente, la passione. Quella arancio parla di energia e forza. Quella blu raffigura il mistero e la saggezza.
Regalare le rose: il significato dei numeri
1 ROSA: Amore a prima vista 2 ROSE: L’inizio dell’innamoramento 3 ROSE: Per celebrare il primo mese di fidanzamento 6 ROSE: Nostalgia, mancanza 9 ROSE: La promessa di rimanere per sempre insieme 10 ROSE: L’unione è solida e perfetta 12 ROSE: Dichiarano amore eterno
13 ROSE: Simbolo di amicizia eterna 18 ROSE: Per chiedere scusa 20 ROSE: Si dichiara un sentimento 25 ROSE: Congratulazioni 36 ROSE: Innamoramento folle
E il significato del numero delle rose rosse?
La rosa rossa è il simbolo per eccellenza dell’amore, ma non bisogna sottovalutare il significato del numero di rose rosse da regalare. Scopriamo insieme tutti i significati del numero di rose rosse:
regalare una rosa rossa significa dichiarare un amore nato dal primo sguardo;
tre rose rosse esprimono un semplice, ma profondo ti amo;
cinque rose rosse sono una dichiarazione d’amore profonda che mettete nelle mani della vostra amata;
regalare sette rose rosse esprimono un messaggio chiaro: voglio essere solo tuo;
nove rose rosse esprimono un sentimento puro e sincero: tu mi completi;
regala undici rose rosse alla tua amata per dirle: sei il mio unico tesoro;
dodici rose rosse esprimono un messaggio molto romantico: resta per sempre con me;
quindici rosse per dire: perdonami;
regala ventiquattro rose rosse per dire alla tua amata: sei sempre nei miei pensieri;
trentatré rose rosse per dichiarare un amore profondo e inestimabile;
scegli trentasei rose rosse per ricordare insieme alla tua dolce metà i momenti più belli vissuti insieme;
quarantatré rose rosse per affidare tutto il tuo amore alla persona amata;
un mazzo di quarantotto rose rosse per dire: sono innamorato folle di te;
cinquanta rose rosse per esprimere un amore senza rimpianti;
cento rose rosse è amore eterno.
Forse in amore le rose non si usano più? Comunque sia, questi fiori sono parlanti e il cuore lo sa cosa vogliono dire….
La rosa è la regina di tutti i fiori, da sempre il suo profumo e la sua bellezza incantano e la rendono tra i fiori più amati di tutti i tempi. Coltivata fin dall’antichità è sempre stata usata non solo come dono, ma anche a scopo ornamentale per gli ambienti ed anche per cosmesi e cure. I petali di rosa e le gemme sono, infatti, ricchi di vitamina C, di minerali come il potassio, il rame, lo iodio, inoltre contengono vitamine del gruppo B, vitamina K, fondamentale per le cellule del sangue.
E, inoltre, si possono utilizzare come estratti, fitoestratti, gemmoderivati, decotti, oli essenziali e L’impiego delle rose si perde, davvero, nella notte dei tempi, in particolar modo per quanto ne concerne le essenze e i profumi.
Lo sapevate che?
La rosa è un fiore originario dell’Asia e dell’Europa appartenente alla famiglia delle Rosacee. Si tratta di un arbusto dai fiori profumati e che può raggiungere anche i tre metri di altezza ed il suo diametro variare dai 2 ai 20 centimetri.
Esistono davvero tantissime varietà di rose le quali vengono classificate in base alla forma, al fogliame, ai colori, al profumo. Da ricordare che lo sviluppo dell’ibridazione delle rose è iniziato con l’importazione in Europa, all’incirca due secoli fa, di alcune rose cinesi; l’incrocio fatto diede la nascita delle grandi varietà di questo fiore nel XIX secolo.
Alla scoperta del fiore di maggio
Si stimano circa 150 specie di rosa, ma sono quattro le tipologie di rose da considerarsi tra le più utilizzate: ecco quali.
Rosa Canina
E’ la rosa spontanea più diffusa in Italia, molto frequente nelle siepi e ai margini dei boschi. Talvolta viene chiamata rosa di macchia, oppure rosa selvatica. Questa pianta deve il nome canina a Plinio il Vecchio, che affermava che un soldato romano fu guarito dalla rabbia con un decotto di radici. È l’antenata delle rose coltivate, quella di partenza per le varietà oggi conosciute. Fiorisce da maggio a luglio mentre la maturazione delle bacche si ha in ottobre-novembre.
Rosa Damascena
E’ la regina di tutte le rose, chiamata anche “Rosa dei Profumieri”. Originaria del Medio Oriente ed è coltivata principalmente in Marocco e in Bulgaria. Lavorata completamente a mano, è ritenuta una rosa preziosa, pensate che per produrre un chilo di essenza sono necessari all’incirca 3 tonnellate di petali, i quali verranno poi versati in grandi vasche con acqua dove si avvierà il processo di distillazione per mezzo del vapore. Si dice che ogni fiore abbia 36 petali.
Utilizzata in aromaterapia, questa essenza lavora principalmente sul cuore armonizzando anche tutti gli altri canali energetici, rilassa l’anima, dispone alla tenerezza e apre all’amore, pur donando un certo equilibrio. Il suo profumo infonde gioia e dona coraggio, regala gioia di vivere e serenità. Incoraggia l’amore e l’accettazione di noi. Scioglie i blocchi emotivi causati da traumi o delusioni vissute.
Rosa Mosqueta
Questa tipologia di rosa nasce spontaneamente nel Sud del Cile e nell’America Meridionale e dai suoi semi (ricchi di acidi linoleico e alfalinolenico, carotenoidi, tocoferolo, fitosteroli) viene estratto l’olio. Un vero elisir di giovinezza, per le sue virtù rivitalizzanti, addolcenti e aromaterapiche.
Rosa Centifolia
Originaria della Persia, può essere utilizzata come antidepressivo, antiflogistico, antisettico, antispasmodico, antivirale, afrodisiaco, astringente, battericida, cicatrizzante, depurativo, emostatico, epatico, lassativo, regolatore dell’appetito, stomachico, tonico.
Alleata nei disturbi femminili di menopausa, irregolarità mestruale e dolori legati al ciclo. Tra la fine del XVI e l’inizio del XVIII secolo avvenne un fatto straordinario: i Paesi Bassi introdussero sul mercato circa 200 varietà e variazioni di questo tipo di rosa. Nelle Centifolia c’è un tale addensamento di petali intorno agli stami che li rende praticamente irraggiungibili da parte degli insetti e della mano dell’uomo, e la fecondazione e produzione di semi non è per nulla facile.
Siamo a maggio, il mese della rosa che, nella sua pienezza, è un fiore che lavora sull’energia femminile ed è in grado di riequilibrare mente e corpo. Giorni in cui freschezza, speranza, gioia e fiducia dovrebbero stimolarci ad accendere i nostri cuori, dopo mesi e mesi in ostaggio “dentro casa”, per via delle misure imposte dall’emergenza Covid-19, impegnandoci a 360 gradi per un benessere che solo la natura nei suoi cicli, nelle sue stagioni, nei suoi frutti sa regalarci.
Ogni rosa è uguale a una rosa? Chissà se, dal punto di vista della rosa, noi siamo diversi: se la mano allungata verso il fiore, la narice che ne aspira il profumo, lo sguardo che contempla i petali sono ogni volta differenti per la rosa.
Un fiore selvaggio non dovrebbe dire a una rosa che è la più bella e un soffione non dovrebbe scusarsi con gli alberi se al primo colpo di vento ha perso la sua corolla. Fioriamo tutti in modo unico e originale.
Diventare mamma dopo i 40 anni? Un tempo era un’eccezione. Oggi, invece, è un fenomeno piuttosto diffuso. Le donne over 40 che decidono di diventare madri sono, infatti, sempre più numerose, sia in Italia sia all’estero.
Una scelta, spesso, dettata da ragioni di vita (l’amore arriva “più tardi” – quando e se arriva- e, di riflesso, la possibilità “con-divisa” di “mettere su famiglia”), sociali, economiche e lavorative che, però, potrebbero comportare l’insorgere di alcune difficoltà sia sotto il profilo della fertilità, sia per quanto concerne un probabile aumento di problemi collegati ad una gravidanza posticipata nel tempo.
Mamma dopo i 40 anni e l’aspettativa di vita
L’aspettativa di vita nell’UE è tra le più alte del mondo e l’Italia è tra i paesi dove questa è più alta (mediamente la più alta assieme alla Spagna). Ma oltre le medie una realtà: in controtendenza con l’Europa, dove in media vivono più le donne degli uomini, in Italia l’aspettativa di vita dei maschi è ai primi posti.
Sempre sopra la media Ue con otto regioni in una classifica di dieci, mentre quella delle donne è sempre elevata, ma non c’è nessuna regione italiana tra le prime dieci in classifica.
A verificare le condizioni di salute nell’Ue, con gli ultimi dati disponibili alla mano, è Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, che ha pubblicato l’edizione 2020 dei dati regionali in cui è presente un capitolo sulla salute.
Oltre le medie…
Per quanto la nostra aspettativa di vita sia aumentata, c’è un dato oggettivo che, però, non possiamo né ignorare né negare: a livello biologico, la quantità di ovociti di una donna over 40 è notevolmente minore, così come diversa è la loro qualità. Questi due fattori, messi insieme, rendono più difficile sia il concepimento sia la successiva e corretta evoluzione della gravidanza.
I rischi
Chi cerca un figlio, già dopo i 35 anni, dovrebbe sapere che con l’età aumentano i rischi di infertilità. Le donne tendono ad ovulare meno frequentemente, di aborto spontaneo (le stime parlano di un rischio del 10-20%) e di anomalie cromosomiche del feto (il rischio di avere un bambino con sindrome di Down, per esempio, passa da uno su 1.500 a 20 anni a uno su 800 a 30, uno su 270 a 35, uno su 100 a 40 e uno su 35-50 a 45 anni). Anche gli uomini, del resto, possono avere una certa diminuzione della fertilità, a partire dalla fine dei 30 anni.
Quante sono le gestanti over 40?
Secondo le ultime stime di massima oltre che l’analisi dei dati frutto di alcune interviste a diversi ginecologi, non è azzardato affermare che le donne che affrontano la gravidanza (spesso proprio la prima) dopo i 40 anni rappresentano circa il 20-30%.
E, in generale, ci troviamo di fronte a un trend in crescita. Un trend dovuto soprattutto al fatto che, al giorno d’oggi, occorrono tempi più lunghi per ottenere un’indipendenza economica e una stabilità tali da consentire la programmazione di una gravidanza.
Nonostante le rinnovate abitudini, le scelte di vita e i costumi sociali abbiano portato ad uno spostamento in avanti dell’età della prima gravidanza, intorno ai 40 anni le cose si fanno più complicate.
In maniera naturale o con la procreazione assistita: cosa cambia? Le donne che si sottopongono a inseminazione o FIV, il rischio di aborto spontaneo è lo stesso di una gravidanza naturale (15-20%) e aumenta in base all’età. Per le aspiranti mamme che, invece, ricevono una donazione di ovociti, i rischi non aumentano, poiché gli ovociti provengono da una donatrice giovane (18-35 anni).
Per il resto, rimanere incinta dopo i 40 (in modo naturale o tramite tecniche di procreazione assistita) significa andare incontro ai medesimi rischi e alla stessa necessità di monitoraggio. Va precisato, però, che nelle gravidanze da fecondazione assistita la percentuale di gravidanze gemellari aumenta, con un conseguente incremento dei relativi rischi ostetrici. Tutto ciò, almeno, “sulla carta”…
Preservare la fertilità
Spesso l’idea di ritardare nel tempo la maternità è una scelta che mette in campo diversi fattori e percorsi, nella maggior parte dei casi, molto consapevoli e ragionati. L’idea di voler posticipare l’età in cui diventare genitori può essere supportata da scelte che preservino la riuscita di questo progetto.
In questi casi, è possibile far ricorso a una delle tecniche di preservazione della fertilità che consentono di posticipare la gestazione. La vitrificazione degli ovociti, ad esempio, consente di conservare o congelare gli ovuli maturi quando si è ancora “giovane” per utilizzarli quando la paziente deciderà, mantenendo le stesse probabilità di gravidanza presenti al momento della vitrificazione.
Lo stile di vita fa la differenza
Cercare una gravidanza a 35 o a 40 o, ancora, oltre i 45 anni, non è una follia. Però, non è neppure una passeggiata. Bisogna mettere in conto che potrebbe non arrivare, e sapere che c’è qualche rischio in più.
In generale, è molto importante lo stile di vita (vale a qualunque età, ma a maggior ragione se non si è più giovanissime): sì a una dieta equilibrata di tipo mediterraneo e a un moderato esercizio fisico, no al fumo, all’alcol e allo stress eccessivo.
Sì anche all’assunzione di acido folico già due/tre mesi prima del concepimento, indispensabile per la prevenzione del rischio di malformazioni del tubo neurale come la spina bifida. Ovviamente i rischi dipendono anche dallo stato di salute generale prima della gravidanza. Una donna sana, di peso normale, con stile di vita equilibrato, ha meno rischi di una donna obesa e con diabete.
Ma avere un figlio da sola è davvero un atto di egoismo?
Quando si tratta di mettere al mondo un figlio, anche in coppia, penso che si tratti sempre, e prima di tutto, di un atto di altruismo. Mi piace pensare che la famiglia sia dove c’è amore, indipendentemente dal numero e dal sesso dei genitori, da quel desiderio profondo che spinge oltre ogni limite e confine.
Sì, perché una donna che sente profondamente di voler mettere al mondo un figlio, lo sente nella pancia e, oggi, lo può fare, anche da sola. La maternità non va di pari passo con l’essere donna, non è detto che questo desiderio sia di tutte, ma quando a muoverci è quel desiderio, tutto cambia.
Ma quanto incidono i condizionamenti sociali? In famiglia, sul lavoro e con gli amici? Si è “etichettate” come donne incoscienti o coraggiose? Ogni esperienza, si sa, è personale, ma l’aspetto psicologico incide fortemente in scelte di questo tipo. Essere madre senza “il principe azzurro” si può, se lo si vuole davvero e consapevolmente…
Lo sapevate che l’Italia…
L’Italia non permette i trattamenti di riproduzione assistita per le donne single o con una partner femminile. Alla fecondazione eterologa, dunque, possono ricorrere solo coppie di fatto, sposate o conviventi, ed eterosessuali. In Italia mancano donatrici di ovuli. Nel Belpaese, fino a pochi anni fa, non era possibile ricorrere a questa tecnica: lo vietava la legge 40 del 2004. Il divieto è stato superato nel 2014 grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale.
Un altro problema è rappresentato dalla carenza di donatori di sperma e donatrici di ovociti. In Italia la donazione è volontaria e anonima e la legge vieta qualsiasi tipo di remunerazione (eccetto il rimborso delle spese). Inoltre, manca ancora la «cultura» della donazione dei gameti, proprio come fino a pochi anni non c’era nemmeno quella della donazione degli organi. Per questo motivo, moltissime coppie si rivolgono a paesi dalla legislazione più sviluppata, come la Spagna.
La Spagna è più flessibile
In Spagna, tuttavia, la legge è più flessibile in merito a questo aspetto e permette a tutte le donne, di età superiore ai 18 anni, e con totale capacità di intendere e di volere, di accedere a un trattamento di riproduzione assistita, indipendentemente dal loro stato civile o orientamento sessuale.
I trattamenti vanno da un’inseminazione artificiale con sperma di donatore a una fecondazione in vitro; da una doppia donazione di gameti (maschile e femminile) ad un transfer di pre-embrione di un’altra coppia.
La percentuale di successo può variare a seconda del trattamento di fecondazione assistita intrapreso. In generale, dal 20% (per una inseminazione artificiale) al 70% (nel caso di una doppia donazione). E i costi? Per un ciclo di ovodonazione (PMA) in Italia il costo oscilla tra i 5.000 e gli 8.000-9.500 euro mentre all’estero intorno ai 4.500-6.900 euro.
Madre biologica o madre surrogata?
Ricorrere all’ovodonazione significa mettere in conto che il proprio figlio erediti il patrimonio genetico di un’altra donna. Sottoporsi ad una tecnica di riproduzione assistita significa che un embrione viene messo in gestazione nel grembo materno di una donna, che non sarà la sua madre biologica, poiché l’embrione impiantato non ha alcun legame genetico con lei.
E quindi? Secondo la legge dell’amore, cambia ben poco. L’amore per il proprio figlio è ben più forte di quello di trasmettere i propri geni. Secondo il punto di vista della teoria dell’attaccamento di Bowlby «non è necessariamente la connessione genetica, ma sono le interazioni positive che causano l’attaccamentoemotivo».
Sentir crescere dentro di sé una vita, partorirla, crescerla è, a tutti gli effetti, una maternità come lo è, del resto, l’adozione, se fosse così semplice, quanto a requisiti, ricorrervi. C’è da dire che il fatto che la donatrice sia destinata a rimanere anonima, come prevede la legge, è una garanzia di tutela per il bambino.
Poi, verrà il tempo di raccontare la verità al figlio, meglio quando i bimbi sono ancora piccoli, dai tre o quattro anni in su – come consigliano gli esperti – per farla vivere con naturalezza.
“Comprarsi” la possibilità di realizzare il sogno di una famiglia non è impossibile, se ci si crede, con o senza principe azzurro. E’ una esperienza intima, di consapevolezza “uterina” e di amore che non conosce “limiti”, credo.
Non sono mamma, non ancora. Non sono giovane, sono anche io una donna over 40, ma che desidera, con tutto il cuore, vivere la maternità “per e con amore”. Sono figlia, però, di una mamma che è morta ancora troppo giovane, da poco over 50. Ricordo bene un aneddoto. Quando mi veniva chiesto dove fosse casa mia, beh, io rispondevo, di getto: “Dove c’è la mamma”.
Il bambino chiama la mamma e domanda: “Da dove sono venuto? Dove mi hai raccolto?”. La mamma ascolta, piange e sorride mentre stringe al petto il suo bambino: “Eri un desiderio dentro al cuore”. (Rabindranath Tagore)
Giornata internazionale del Jazz 2021. La pandemia non ferma, neppure quest’anno, il secondo ancora nel segno della Covid-19, l’importante evento musicale internazionale.
Giornata internazionale del Jazz, “Non è solo musica…”
Si celebra oggi, 30 aprile, l’“International Jazz Day”, istituito nel 2011 dall’Unesco, seppure in modalità virtuale. Non si tratta soltanto della celebrazione del genere musicale, ma di una Giornata che ha lo scopo di “aumentare la consapevolezza delle virtù del jazz come strumento educativo e come forza di empatia, dialogo e cooperazione tra le persone”.
Come diceva la grande cantante statunitense, pianista, scrittrice e attivista per i diritti civili statunitense Nina Simone: ‘Il jazz non è solo musica, è un modo di vivere, è un modo di essere, un modo di pensare’”.
Un genere musicale che, fin dalla sua nascita e nel corso di decenni, si è fatto portavoce dei valori dell’uguaglianza e della lotta al razzismo.
Unesco crede nel jazz
“L’Unesco crede nel potere del Jazz come strumento per la pace, il dialogo e la comprensione reciproca – si legge sul sito. Molti governi, organizzazioni della società civile, istituzioni educative e privati cittadini attualmente impegnati nella promozione della musica jazz coglieranno l’opportunità di promuovere un maggiore apprezzamento non solo per la musica, ma anche per il contributo che può dare alla costruzione di società più inclusive”.
Inoltre, “il jazz abbatte le barriere e crea opportunità di comprensione e tolleranza reciproca; è un vettore di libertà di espressione. Ma non solo: riduce le tensioni tra individui, gruppi e comunità; incoraggia l’innovazione artistica, l’improvvisazione, nuove forme di espressione e l’inclusione delle forme musicali tradizionali in nuove forme; stimola il dialogo interculturale e responsabilizza i giovani delle società emarginate”.
Quest’anno se ne festeggia la decima edizione, contemporaneamente in centinaia di città in tutto il mondo. Il 30 di aprile rappresenta, da dieci anni, un momento importante per presentare, in tutto il mondo, progetti ed idee che si richiamano ad una delle maggiori forme di espressione artistica del Novecento, il jazz.
Promossa dal leggendario pianista, compositore, icona del jazz mondiale, Herbie Hancock e subito raccolta e sostenuta dall’Unesco, questa giornata ha avuto un immediato e notevole sviluppo. Ora viene celebrata in tutto il mondo con migliaia di iniziative.
L’Italia
Non solo connubio tra musica jazz e patrimonio UNESCO ma, oggi, alcune delle associazioni che fanno parte del network nazionale si faranno promotrici di importanti iniziative musicali e di formazione. L’Italia ha partecipato, da sempre, a questa giornata con diverse iniziative (concerti, incontri, momenti di sensibilizzazione) trovando l’immediata disponibilità degli operatori.
La città di Genova
L’evento internazionale si avvale di uno straordinario ambasciatore culturale come Herbie Hancock che ogni anno ha ringraziato la città di Genova per il prezioso apporto fornito all’appuntamento internazionale. E anche questa volta, nonostante le chiusure obbligate e le difficoltà, le principali realtà jazzistiche genovesi, e non solo, si sono impegnate per reinventarsi. Così è stato programmato un fitto calendario di appuntamenti. Tutti da vivere on line, per dimostrare ancora una volta che la musica è viva e continua ad emozionare ed appassionare.
Gli eventi dei Jazz Club e associazioni genovesi
Il Count Basie Jazz Club, il Louisiana Jazz Club, il Museo del Jazz e il Gezmatazvi accompagneranno per tutta la giornata del 30 aprile attraverso un itinerario jazz per le vie e le piazze di Genovae della Liguria. Sarà una giornata di parole, ricordi, immagini, storia e, soprattutto, di musica suonata e vissuta.
Si possono seguire gli eventi online, già in mattinata, quando verranno trasmessi contributi registrati, in presa diretta, nei luoghi più suggestivi della “Superba” per culminare, la sera, in una speciale diretta ricca di ospiti e di musica di qualità.
Verranno, inoltre, presentati video storici di concerti ospitati dal Louisiana Jazz Club dal 1986 al 2009 e contributi realizzati durante quest’anno di chiusura al pubblico dai due Jazz Club Genovesi in occasione delle rassegne musicali create per dare continuità ai progetti.
Cinque Terre Walking Park, tra natura e sentieri. La Liguria, dominata a nord dalle Alpi Liguri e dall’Appennino Ligure, è una delle regioni più piccole d’Italia, famosa in tutto il mondo per le sue splendide Cinque Terre, ma custode di molti altri tesori.
Vi ritroverete davanti a panorami unici e mozzafiato, proverete incanto nelle strette strade dei cinque borghi e dalle loro case colorate, e sarete inebriati dal profumo del mare. Questo è ciò che vi aspetta lungo l’itinerario a piedi alla scoperta delle Cinque Terre, famose in tutto il mondo.
Cinque Terre Walking Park, i percorsi con guida
Un programma di percorsi escursionistici, accompagnati da una guida esperta, organizzati nel Parco nazionale – Area Marina Protetta Cinque Terrein Liguria, Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO. Ogni fine settimana di luglio appuntamento con visite guidate alla scoperta del paesaggio terrazzato e del patrimonio di biodiversità custodito nella ricca rete sentieristica del Parco, tra i servizi compresi nella Cinque Terre Card. Il paesaggio naturale della Liguria, e in particolare quello delle sue Cinque Terre, rappresenta il connubio perfetto per gli amanti della camminata in vetta che non vogliono rinunciare all’ampio panorama marino. Cinque Terre Walking Park, dunque, concilia queste passioni con le escursioni guidate. Ecco tutti i sentieri percorribili del Parco delle Cinque Terre http://mappe.parconazionale5terre.it/plus/index2.html.
Alla scoperta delle Cinque Terre e dei suoi sentieri
Riomaggiore
Il punto di partenza del nostro viaggio è Riomaggiore. Il primo dei cinque borghi è raggiungibile in treno da La Spezia in meno di dieci minuti e, da Genova, in un’ora e mezzo circa. La stazione è divisa dal centro città con un lungo tunnel, che troverete, a destra, all’uscita della stazione. Al bivio, potete proseguire dritto e scendere nel passaggio sotterraneo per arrivare alla banchina o girare a sinistra, raggiungendo così la strada principale della città. Il borgo colorato è piuttosto piccolo, ma così magico e affascinante, tra le sue caratteristiche viuzze, il Castello e la sua romantica e incantevole terrazza panoramica. Si battono le antiche vie di pellegrinaggio intorno al borgo.
Via dell’Amore
Ora, raggiungiamo la seconda tappa dell’itinerario, la strada più rapida, e più bella, la cosiddetta Via dell’Amore, il primo tratto del Sentiero Azzurro, il più famoso e romantico e seducente delle Cinque Terre. Il sentiero è lungo solamente 1 km e collega i borghi di Riomaggiore e Manarola attraverso una bellissima strada pedonale a picco sul mare. La via alternativa per raggiungere Manarola è il sentiero Via Beccara, leggermente più impegnativo che passa attraverso un colle, e richiede circa un’ora di tempo.
Il l tracciato corre lungo il mare con scogliere a picco, venne costruito a partire dall’anno 1920 quando si avviarono dei lavori di rifacimento delle gallerie sulla linea ferroviaria Genova – La Spezia e si rese necessario costruire un sentiero per depositare gli esplosivi a metà strada dei due borghi. Intorno al 1930 il sentiero, già meta di giovani innamorati, venne ultimato. Ancora oggi, è purtroppo chiuso a causa della frana dell’autunno del 2012. La riapertura è prevista per il 2023.
Manarola
Ed eccoci al secondo borgo delle Cinque Terre che permette di scoprire le caratteristiche del borgo dall’alto. Manarola di acqua, pietre e vigne. È considerato il più fotogenico dei cinque. Manarola è famosa per il suo presepe di luci che viene inaugurato ogni anno l’8 dicembre e chiude solitamente per la fine di gennaio, completamente ecosostenibile ed alimentato da energia solare: è il più grande al mondo. Ideatore dell’evento e costruttore del presepe è Mario Andreoli, un residente locale, che ogni anno posiziona più di 300 personaggi dell’Avvento a grandezza naturale, e circa 17 mila luci, su e giù tra i terrazzamenti della collina. Forte il legame di Vincenzo Cardarelli, uno dei più grandi poeti e prosatori italiani del ‘900, con la Liguria e con questo borgo. Alcuni versi toccanti della sua prosa “Liguria” sono scolpiti sulle mura del Cimitero di Manarola.
È la Liguria terra leggiadra. Il sasso ardente, l’argilla pulita, s’avvivano di pampini al sole. È gigante l’ulivo. A primavera appar dovunque la mimosa effimera. Ombra e sole s’alternano per quelle fondi valli che si celano al mare, per le vie lastricate che vanno in su, fra campi di rose, pozzi e terre spaccate, costeggiando poderi e vigne chiuse. In quell’arida terra il sole striscia sulle pietre come un serpe. Il mare in certi giorni è un giardino fiorito. Reca messaggi il vento. Venere torna a nascere ai soffi del maestrale. O chiese di Liguria, come navi disposte a esser varate! O aperti ai venti e all’onde liguri cimiteri! Una rosea tristezza vi colora quando di sera, simile ad un fiore che marcisce, la grande luce si va sfacendo e muore.
Per il palato
Se siete amanti del vino, qui una sosta è obbligatoria. ll vino di Manarola è uno dei più pregiati della Liguria, si chiama Sciacchetrà ed è prodotto solo in questa zona. Cercate la Cassola, la terrazza sul tetto delle case, dove a settembre le uve vengono lasciate appassire al sole. Il risultato è un vino passito, dolce e liquoroso, dal colore dorato e dai riflessi ambrati.
Per proseguire alla scoperta delle Cinque Terre, bisognerebbe percorrere il secondo tratto del Sentiero Azzurro che collega Manarola alla stazione di Corniglia. Il sentiero passa molto vicino al mare, è lungo 2 km e richiede meno di un’ora. Come alternativa alla via principale del Sentiero Azzurro, si deve raggiungere Volastra, un piccolo borgo, attraverso il sentiero n°6, da qui prendete la deviazione n°6d fino a Corniglia. In questo modo le due terre distano 4,5 chilometri.
L’itinerario, sempre con sfondo sulla costa ligure, porta a conoscere, appunto, Volastra e Groppo, frazioni del famoso borgo spezzino dove il tempo sembra essersi fermato: teleferiche, antichi ponti sui rigagnoli, sorgenti e vigne in terrazzamento sono il segno del rapporto idilliaco tra comunità locale e ambiente naturale. Un’escursione ad anello con arrivo e partenza da Manarola che, attraverso il punto di vista della verticalità, aiuta a scoprire di più il borgo. Una storia d’amore e di lavoro che la guida del Parco racconta passo dopo passo.
Corniglia
Arrivando alla stazione di Corniglia, vi aspetta la grande scalinata, di 382 scalini, chiamata Lardarina oppure, se vi sembra troppo faticoso, c’è un servizio bus che, in pochi minuti, vi porterà in centro. Corniglia è l’unico dei cinque a non essere direttamente sul mare, si trova infatti su un piccolo e ripido promontorio a 100m sul livello del mare. Il piccolo borgo è il meno contaminato dal turismo e offre una vista senza eguali. Le colline circostanti, come in tutto il territorio, sono coltivate a viti e ulivi ed è normale incontrare le donne che vanno e vengono con cesti con la frutta della terra sulla testa.
Un bosco brulicante di vita, un panorama mozzafiato e antichi muretti a secco ti accompagnano lungo tutto il sentiero per arrivare al magnifico borgo. Una camminata in mezzo alla natura e alla storia di un territorio che ha saputo fare della sua difficile conformazione il punto di forza: carrucole e percorsi tra la vegetazione creati dai “vecchi” contadini liguri ti aprono le porte di un paesaggio del tutto incontaminato a metà tra mare e monti, tra sentieri a picco sul mare, fitti boschi e vigneti carichi d’uva brillante.
La spiaggia solitaria
A poca distanza, collegata attraverso un tunnel (percorribile con una torcia), troverete la bellissima e solitaria spiaggia di Guvano, principalmente visitata da nudisti, con acque limpidissime e fondale imperdibile.
Proseguiamo, dunque, per il Sentiero Azzurro, il sentiero per Vernazza, di circa 3 km, e il primo tratto che non passa vicino al mare, attraverso una zona boschiva, attraversata da vigneti ed uliveti; si sale sino a raggiungere quota 208m per poi scendere nuovamente verso il borgo.
Vernazza
Dopo poco più di un’ora e mezzo, vi ritroverete a Vernazza, davanti a quello che sembrerà un quadro. Questo borgo è considerato dalla maggior parte dei turisti il più bello delle Cinque Terre. Nonostante la grande presenza turistica, la sua anima rimane quella di borgo marinaro. Le alte case-torri di tipo genovese sono raggruppate ad anfiteatro intorno ad una piccola insenatura; le sovrastano le mura difensive e la Torre del Castello. Vernazza è l’unico borgo delle Cinque Terre che ha un porto naturale. A Vernazza, anche, in cerca di testimonianze religiose e culturali: dal centro del paese si prosegue in direzione del Santuario di Nostra Signora di Reggio, per arrivare al Monte Santa Croce, in ambienti di quota che dialogano con quelli costieri, e godere, da lassù, di una natura pura e robusta.
Riprendiamo, per l’ultima volta, il Sentiero Azzurro, per un altro tratto non a ridosso del mare. Si attraversano i monti, si sale di quota e si apre una vista panoramica mozzafiato sul porto di Vernazza che merita i migliori scatti. Il sentiero è lungo poco più di 3 chilometri e impiegherete circa due ore a percorrerlo.
Monterosso
Eccoci, infine, all’ultima tappa dell’itinerario, quella più a Nord. Monterosso è la città più grande delle Cinque Terre e quindi la più visitata. Questo borgo tra caruggi, piccole barche, alberi di limone e colline è un piccolo gioiello italiano. Si divide tra città nuova e città vecchia e offre diverse spiagge, anche sabbiose. Si può tornare al punto di partenza del nostro itinerario, con il treno e, in circa 15 minuti, sarete di ritorno a Riomaggiore. Si cammina tra limonaie antiche e fioriture.
Un itinerario ad anello con partenza e arrivo al borgo, passando per la Valle del Morione, attraverso variegati ambienti naturalistici. Terra amata dal poeta Eugenio Montale, Premio Nobel per la Letteratura nel 1975, che a lungo visse – e frequentò – Monterosso. La sua poesia I limoni, dalla raccolta Ossi di seppia, ben descrive il territorio e il suo amore per esso.
Verticalità e visioni contadine nel trekking ad anello sui sentieri alti del borgo con guide esperte. Il legame secolare della comunità locale con una natura bella e, a tratti ostile.
Quando il mare è magia. Quando il mare è stupore.
La complessità della bellezza risiede qui, nelle Cinque Terre.
I luoghi hanno un’anima, sempre. Parla, racconta una storia di salino e di pietra, di gozzi a riva, di caruggi e porte dipinte di verde…
Il lago si può raggiungere, facilmente, in auto. Occorre uscire al casello di Lavagna, dell’autostrada A12 Genova-Rosignano, e da qui seguire le indicazioni per Carasco. Giunti alla rotonda principale di Carasco, seguire per Borzonasca, attraverso la SS 586. La distanza dal casello è di 16 km. Superato l’abitato di Borzonasca, dopo poche curve, trovate la deviazione per il lago di Giacopiane.
Prima, però, fermatevi in un bar del paese di Borzonasca (tutti i giorni, in orario di apertura al pubblico, anche nel pomeriggio), per comprare il permesso ( 5 euro il giornaliero per una macchina, esclusi camper e autocaravan che sono vietati) che vi dà l’accesso al lago. Basta comunicare la targa e il nome di chi guida, esponendo poi il tagliando che viene rilasciato sul cruscotto, quando si posteggia l’auto. L’alternativa, per raggiungere il lago, è passando da Sopralacroce, raggiungendo la frazione di Perlezzi e poi, facendo una bella escursione tra i boschi – tutto segnalato dal Parco dell’Aveto – e, in poco tempo, si arriva a destinazione anche a piedi, senza necessariamente fare il biglietto e arrivare in macchina.
Si prosegue poi lungo la statale 586 per altri 7 km fino a incrociare, a destra, la strada comunale che, in altri 7 km e numerose curve, giunge al lago. Si sale in quota, quindi, lungo una strada asfaltata e si raggiunge il bacino che è a circa 1000 m s.l.m. In estate è possibile la balneazione,lontano dalle strutture della diga; lungo le sponde si trovano tanti campeggiatori e piccole vallette dove fermarsi per un picnic o un barbecue.
Il percorso, tra natura e centri abitati
Un percorso seducente, caratterizzato dalla presenza di rocce di rilevante interesse geologico e foreste di faggi, snodandosi fra piccoli centri abitati (Sòria, Gazzolo, Devoti e Barca di Gazzolo) testimoni della civiltà contadina dell’entroterra ligure (la cosiddetta civiltà della castagna). Si passa attraverso boschi di castagno, terrazzamenti (le tipiche “fasce”, terreni rubati alla montagna destinati ad una agricoltura esercitata in condizioni estreme) e panorami del Tigullio che da precipizi elevati spaziano fino al mare. Qualche sosta, lungo il tragitto, regala scorci unici per ammirare, nelle giornate più nitide, anche la Corsica.
L’anello del Lago
Una volta a destinazione una strada sterrata di circa 4 km, che costeggia il lago principale, offre l’opportunità di una passeggiata non impegnativa, piacevole e adatta a tutti, lungo la quale è facile scorgere, con un po’ di fortuna e magari nelle ore più calde, lungo le rive, piccole mandrie di bovini e dei famosi cavalli selvaggi dell’Aveto, che vivono in libertà nella zona e scendono al lago per abbeverarsi. Non vanno avvicinati in alcun modo, non perché siano pericolosi, ma perché sono nel loro habitat (siamo noi gli intrusi) e vanno lasciati tranquilli. Ci sono anche mandrie di mucche che, pigramente, riposano sulle sponde del lago.
E’ possibile rilassarsi a bordo lago o al fresco all’ombra di maestosi alberi secolari, oppure sostare nell’area picnic appositamente attrezzata lungo il percorso ma, non essendo presente alcun esercizio commerciale nell’intera area, è consigliabile giungere forniti di cibo e bevande.
Pronti, dunque, per fare il giro del lago nella straordinaria bellezza di questa riserva naturale.
I Cavalli selvaggi dell’Aveto
Nell’area del Parco Naturale Regionale dell’Aveto, tra pascoli e faggete, vive un branco di cavalli selvaggi composto da una quarantina di capi. Eredi di un piccolo gruppo, il cui proprietario è morto da tempo, sono sopravvissuti adattandosi alla perfezione alla vita in natura.
L’incontro con i cavalli di razza bardigiana, che da decenni trascorrono le estati in alpeggio, ha permesso la riproduzione e la nascita di nuove famiglie che, nell’ultimo decennio, non hanno mai avuto rapporti con l’uomo.
Il loro comportamento in natura è del tutto comparabile a quello dei Mustang delle praterie americane e dei cavalli di Przewalski della Mongolia. Lo studio del comportamento dei cavalli in branco è oggetto di interesse sempre crescente, e non c’è modo migliore per comprendere l’etologia equina dell’osservazione in natura.
Vita da branco
Si muovono liberi in un’aerea che va dai 16 ai 25 chilometri quadrati. Sono stati identificati 5 stalloni, mentre il numero delle femmine è maggiore, circa 3 femmine per ogni maschio, e una media di 3-4 puledri per branco.
All’interno del branco ognuno ha il suo ruolo, le femmine guidano il gruppo e sono più brave a trovare le vie di fuga in caso di pericolo, mentre i maschi fanno le sentinelle. Il ruolo guida viene sempre assegnato per competenza…
Evelina Isola, guida ambientale escursionistica che, grazie alla passione per il cavallo, è diventata anche accompagnatore escursionistico equestre, cura i cavalli selvaggi come fossero figli suoi. Paola Marinari, medico a Moneglia, dal 2009 si occupa della tutela e della conservazione dei Cavalli selvaggi dell’Aveto. Nel 2012, convinta del loro grande valore naturalistico, si fa promotrice, insieme a Evelina, del Progetto Wild-Horse-watching.
Il progetto Wild Horsewatching – I Cavalli Selvaggi dell’Aveto
Nato nel 2012, il progetto Wild Horsewatching – I Cavalli Selvaggi dell’Aveto ha lo scopo di divulgare questa incredibile realtà. L’horsewatching nasce per creare occasioni di osservazione in natura e, contemporaneamente, dare visibilità a questi animali rendendoli una risorsa per il territorio in cui vivono, un territorio di grande pregio naturalistico, ricco di tradizioni e di storia.
Il progetto, infatti, prevedeescursioni guidate da un esperto naturalista e accompagnatore equestre. La passeggiata è lunga circa 4 km e si compie agevolmente in 1 ora circa. E’ interamente pianeggiante, perciò adatta anche ai bambini non particolarmente abituati a camminare. Esiste una sola area picnic dotata di tavoli, ma numerosi sono i posti dove è possibile stendere il telo.
Non ci sono cestini o bidoni portarifiuti per cui di eventuali immondizie, e nel rispetto di comportamenti “green”, è opportuno farsene carico in autonomia.
Le pietre del lago di Giacopiane
A seconda delle stagioni il livello dell’acqua può variare di molto, ma io trovo che il paesaggio sia sempre bellissimo sia con il lago pieno, sia quando le sponde emergono con le loro pietre particolarissime.
Eh sì, perché il lago di Giacopiane è meta di chi è in cerca di suiseki (“pietra lavorata dall’acqua” in giapponese). Queste pietre, plasmate dall’acqua, hanno forme particolari, evocative di elementi naturali e, pare, favoriscano la meditazione.
Per gli escursionisti più coraggiosi
Il lago di Giacopiane è anche punto di partenza per escursioni più impegnative, per i trekkers più coraggiosi, che raggiungono le vette vicine da cui si godono panorami stupendi sui monti di Liguria e fino al mare.
Per chi decide di affrontare percorsi di trekking un po’ più impegnativi, esistono diversi itinerari capaci di sodisfare gli amanti di questa attività. Anelli di sentieri percorribili a piedi, in mountain bike o a cavallo, permettono di ritornare alla propria posizione di partenza senza bisogno di ripetere il percorso in direzione inversa.
Tra verdi foreste di faggi ed ampie radure, si passa dai 1000 metri dei laghi per arrivare a quota oltre i 1700 del Monte Aiona, passeggiando immersi in ambienti incontaminati. I sentieri sono sempre ben segnalati poiché la zona è un crocevia importante, da qui infatti è possibile percorre una parte dell’Alta via dei Monti Liguri, un percorso che attraversa tutta la LIGURIA da Ventimiglia (IM) a Ceparana (SP).
Percorsi trekking disponibili
Vi propongo alcuni dei percorsi trekking percorribili e altri sentieri:
Anello delle Moglie: si attraversano delle piccole zone umide, le “moglie” appunto (dal latino mollus, molle, umido), che si sono formate circa 10.000 anni fa durante l’ultima glaciazione. Esse presentano elementi di flora e fauna specifici di questi ambienti;
AVML (Alta Via dei Monti Liguri, che attraversa longitudinalmente tutta la Liguria). La si raggiunge alla Cappella delle Lame (A7) o al Passo Prè de Lame (segnavia rombo rosso);
Altri sentieri raggiungono il Monte Bragaceto (h. 0.30), che lo sovrasta, il Monte Aiona (h. 3.00) ed altre località.
Acqua, terra, natura e… cavalli selvaggi. Un viaggio, una nuova cultura di viaggio per mettersi a contatto con i rari elementi di grazia: bellezza, spirito e fuoco. Il cavallo percorre veloce le strade e annuncia con i suoi zoccoli che sfiorano la terra l’appuntamento puntuale con il vento e la libertà.
L’odore del cavallo, il rumore dei suoi zoccoli, il suo nitrito… Il cavallo prende già forma anche se non lo si vede.
Un viaggio al Carmine, nella Genova nascosta. Una passeggiata tra i vicoli che portano alla scoperta dei tesori di un borgo in città alle spalle di piazza della Nunziata: il Mercato e la Chiesa.
Tra piazza della Nunziata, Largo della Zecca e le prime pendici della collina di Castelletto è possibile scoprire una vera e propria ‘isola’ in pieno centro città, una zona antica e popolare, centrale ma isolata dai traffici e dai commerci dei caruggi: è il Carmine, quartiere medievale sviluppatosi intorno all’omonima chiesa, intitolata a Nostra Signora del Carmine e Sant’Agnese.
Un viaggio al Carmine, nella Genova nascosta: un borgo in città
Ci si arriva proseguendo lungo via Polleri, la strada che si trova sulla destra della Basilica della Santissima Annunziata del Vastato, una delle chiese più rappresentative dell’arte genovese del tardo manierismo e, soprattutto, del barocco del primo Seicento.
In alternativa, se arrivate a piedi da Via Cairoli, basterà attraversare la strada al semaforo, e prendere via di Vallechiara che si trova subito di fronte.
Provenendo dalla Nunziata, proseguendo lungo la strada che costeggia la chiesa, si giunge velocemente in piazza Bandiera. Dalla piazza a sinistra inizia via Dino Bellucci, strada che conduce ad una delle scuole più famose dell’intera città, quel liceo Classico Colombo dove studiò un giovanissimo Fabrizio De Andrè. Sulla destra della piazza si apre via Polleri, che conduce verso il cuore di questo piccolo quartiere, compreso tra la piazzetta del mercato e la piazza del Carmine le cui tracce di Medioevo si ritrovano sui palazzi che orlano la stessa.
E’ qui che si trovano, infatti, la chiesa di Nostra Signora del Carmine e Sant’Agnese, dove Don Gallo iniziò il suo servizio, ed il piccolo mercato rionale recentemente ristrutturato.
Cosa vedere nel quartiere del Carmine
Il fascino misterioso del quartiere del Carmine, l’ho scoperto, per caso, lo scorso autunno, accompagnata da un viaggiatore curioso e solitario, anche, come me e…dopo 13 anni di vita genovese.
La prima cosa da vedere è il Mercato del Carmine, con la sua affascinante struttura liberty. Qualche anno fa fu riaperto al pubblico con ristoranti a tema ma, purtroppo, con scarso successo e, oggi, vengono organizzate solo alcune serate con musica live.
Sulla stessa piazza del mercato si trova la Chiesa del Carmine che prende il nome da alcuni frati carmelitani francesi che la edificarono nel 1262. Al suo interno si trova la cappella dei Camalli, i lavoratori del porto di Genova.
La chiesa cela alcuni capolavori che, solo con occhio attento, è possibile scoprire: dietro l’altare principale si trovano infatti nove medaglioni raffiguranti santi carmelitani opera di Manfredino da Pistoia, allievo di Cimabue, dipinti sul finire del 1200.
I medaglioni sono stati ritrovati in seguito al restauro del 2009 e costituiscono probabilmente la più importante scoperta in campo artistico dell’ultimo secolo a Genova. L’abside della chiesa è di pianta quadrata, un unicuum per Genova, derivante dall’originario stile gotico dell’ordine dei mercanti.
Curiosità
Nella chiesa del Carmine venne battezzato Palmiro Togliatti, il massimo esponente del comunismo italiano assieme ad Antonio Gramsci, nato a Genova, presso l’Albergo dei Poveri, il 23 marzo 1893 e battezzato qui il giorno dopo.
Sempre qui, poi, furono celebrati, il 25 maggio del 2013, i funerali di Don Andrea Gallo, il sacerdote “anarchico”, il prete degli ultimi. Due personaggi di grandissimo spicco della sinistra genovese che hanno lasciato il loro segno, ironia della sorte, in questa chiesa.
Su e giù per le creuze
Una volta visitata la chiesa ci si può addentrare nelle creuze (i vicoli) partendo da Salita San Bernardino. E, all’improvviso, ci si ritrova in un altro mondo fatto di colori e di silenzio. Sembra impossibile che, a poche centinaia di metri dal traffico della rumorosa piazza della Nunziata, qui si respiri la tranquillità di un tempo senza tempo.
Si passeggia tra le tipiche creuze liguri, su mattoni rossi, sotto panni stesi e archi medievali, per vie dai “dolci” nomi poetici ed improbabili, che sembrano uscire da un libro di fiabe: vico Cioccolatte (antica zona dove risiedevano maestri cioccolatieri), vico della Fragola, vico dello Zucchero che conducono a piazza della Giuggiola.
Ci si ritrova, poi, ad un altro bivio. Il nostro percorso viene incrociato da Salita di Carbonara, mentre di fronte a noi un portale, molto antico, ci fa intravedere la targa “Salita dell’Olivella” nella cui zona si trovano i resti dell’antico monastero delle monache di San Bartolomeo.
Poi, i giardini Tito Rosina, l’area verde che divide il Carmine da Castelletto e affaccia su corso Carbonara. Una breve passeggiata, infine, ci porterà fino all’imponente edificio dell’Albergo dei Poveri, eretto a metà ‘600 come nuovo ricovero destinato a dare ospitalità ai poveri della città.
Ma, andiamo con calma. Siamo a due passi dal cuore universitario eppure ci troviamo in un’altra dimensione, fatta di angoli senza tempo.
Salita e piazza dell’Olivella
Proseguendo si supera un portale in marmo che porta in salita dell’Olivella e da qui nell’omonima piazza. Il portale era l’antico ingresso del monastero delle monache di San Bartolomeo.
Oggi questa zona è stata riconvertita e ci troviamo in una piazzetta tra le case e l’antica chiesa. Sulla sinistra della chiesa si trova una piccola salita con due ulivi che sembra condurre all’ingresso di un portone.
Se provate a spingerlo, spesso è aperto, rimarrete senza parole. All’interno si trova l’antico chiostro del monastero che ora è stato suddiviso in giardini privati. Siamo in una delle zone più suggestive, per storia ed evoluzione, del quartiere del Carmine.
Risale al 1300, ospitava le monache Cistercensi. Dopo una breve creuza, a gradoni, si giunge in piazza di San Bartolomeo dell’Olivella, il centro del monastero. Tutto il complesso fu fondato nel 1305 da un generoso zeneise, Valente, e durò fino all’arrivo di Napoleone che chiuse tutti gli istituti religiosi. Qui, anche qui, il silenzio e la quiete la fanno da padrona.
Lo sapevate che?
Si narra che la piazza ed il chiostro siano ancora frequentati dal fantasma di una donna che tiene in mano un piccolo fardello, contenente la testa del marito traditore. Tranquilli, comunque: pare faccia due passi solo all’alba e poi svanisce…
Piazza della Giuggiola, un antico albero al Carmine
Una piccola piazzetta tra case rosa e ocra su cui si affaccia un cortiletto privato dove si trova l’albero delle Giuggiole. Sembra che sia l’unico in tutta Genova, nell’antico quartiere del Carmine, con le sue magie uniche e rare. Tra ulivi e biciclette, gatti vagabondi ed assonnati, fili da stendere, edicole e mollette, i colori delle case, finestre dalle imposte socchiuse, tetti d’ardesia e archetti tesi contro il cielo blu.
Così, con tale scenografia, ci accoglie piazza della Giuggiola, una delle piazzette più belle di Genova, con il suo antico albero che, in certe stagioni lo si vede così, spoglio e privo di verde, con i suoi rami appoggiati contro la rossa facciata.
È il maestoso giuggiolo, al suo frutto è dedicata la piazza, questa è una pianta dalla lunga storia. Si tratta di una pianta originaria dell’Egitto e della Valle dell’Indo, il giuggiolo del Carmine è il più vecchio della città, ha almeno 500 anni e, tuttora, resiste. Poco distante, poi, c’è un fratellino minore di appena trentacinquenne…
Quando è il tempo, cadono le giuggiole, si adagiano tra le foglie sulla creuza e…dalla giuggiola al brodo di giuggiole il passo è breve, brevissimo.
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