L’Artico “invaso” dalle fibre sintetiche, di microplastiche e la colpa è del bucato che, ogni giorno, fanno praticamente tutte le famiglie del mondo. Le fibre sintetiche costituiscono ben il 92% delle microplastiche trovate nelle acque di superficie e, di queste, il 73% sono fatte di poliestere, materiale usato nei tessuti sintetici. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Communications si deve ai ricercatori coordinati da Peter Ross, della canadese Ocean Wise Conservation Association, a Vancouver.
Il dato, osservano gli autori della ricerca, indica che i tessuti sintetici, attraverso il bucato e lo scarico delle acque reflue, possono avere un ruolo importante nella contaminazione degli oceani. “Il bucato – si legge nello studio – si sta rivelando un canale potenzialmente importante per il rilascio di microfibre nelle acque. Noi recentemente abbiamo stimato che un singolo capo di abbigliamento può rilasciare milioni di fibre durante un tipico lavaggio domestico”.
Per avere una stima delle dimensioni dell’inquinamento da microplastica nell’Artico i ricercatori hanno analizzato 2016 campioni d’acqua raccolti vicino alla superficie (da 3 a 8 metri di profondità) in 71 stazioni nell’Artico europeo e nordamericano (comprese aree vicine al Polo Nord). E’ stata così calcolata la presenza, in media, di circa 40 particelle di microplastiche per metro cubo d’acqua.
Inoltre, la maggior parte delle particelle (quasi tre volte in più), è stata trovata nell’Artico orientale rispetto a quello occidentale e ciò suggerisce che nuove fibre di poliestere vengano trasportate nell’Oceano Artico orientale dalle correnti dell’Atlantico.
In generale, però, tutte le microplastiche sono fonte di preoccupazione, avendo raggiunto i confini più remoti del mondo, dall’Himalaya alle profondità oceaniche. Microplastiche erano già state individuate nell’Artico, sulla banchisa, nell’acqua di mare e nei sedimenti del fondo marino. Tuttavia, restavano dubbi sulla loro distribuzione, sulle fonti e sull’entità della contaminazione.
Siamo riusciti, nel corso dei secoli, grazie alla nostra capacità distruttiva, ad inquinare i tre elementi: l’aria, l’acqua, la terra.
Eppure, basterebbe ritornare alla consapevolezza che io sono me più il mio ambiente e, se non preservo quest’ultimo, non preservo me stesso. Dovremmo imparare ad essere, un po’ tutti, ecologisti. L’ecologista non è l’uomo che dice che il fiume è sporco. L’ecologista è l’uomo che pulisce il fiume.
Bisogna, davvero, essere una mare, per ricevere un flusso inquinato senza diventare impuri.
(Friederich Nietzsche)
E quindi? Non inquinare – i pianeti buoni sono difficili da trovare…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
L’emergenza cultura al tempo della Covid-19 è un tema “che scotta”, eppure silenzioso. I musei, i teatri, i cinema, la musica rivivono il tempo del silenzio. Un tempo che evidenzia ancor di più l’importanza della cultura per la resilienza delle nostre società.
Ignorati dalla legge e destinati ad un’attesa senza fine. Sono i lavoratori dello spettacolo, strangolati nella morsa della Covid, fase dopo fase, e il cui disagio avanza mentre si spengono i riflettori.
L’infrastruttura del settore culturale è adatta a gestire le grandi sfide di oggi? Il tema è molto attuale considerando la chiusura di teatri, cinema, e musei in molti Paesi europei, e ha come obiettivo quello di interrogarsi soprattutto su dove trovare le risorse per garantire una sopravvivenza del settore e anche come ridisegnare le infrastrutture culturali per garantirne la resilienza.
Come possiamo contribuire a creare a livello europeo un’Emergenza Cultura come è stato per il tema dell’ambiente? Sì, perché finché la Cultura (ndr, con la C maiuscola) non potrà sedere al tavolo delle priorità assolute nei programmi di emergenza insieme alla Salute e all’Istruzione, la Cultura (ibidem) è a rischio e agonizza fra manovre temporanee ed insufficienti a garantirne la sopravvivenza e a costruire le premesse per il suo presente e tanto più per il suo futuro.
In risposta alla crisi, il tema Being Present (Essere Presenti) diventa un importante chiave per esplorare le opportunità emergenti per i settori della cultura in Italia e nel Mondo, in un momento in cui stiamo rivalutando ciò che significa Essere presenti, sia nello spazio fisico che in quello virtuale.
Interessante, a tal riguardo, l’iniziativa UK/Italy Season 2020 ,un programma di eventi culturali, in formato digitale, ideato dal British Council e realizzato grazie alla collaborazione di partner nel Regno Unito e in Italia, con lo scopo di supportare scambi culturali a livello internazionale e di creare comunità più resilienti.
Tra le filiere produttive più colpite dal Coronavirus c’è quella del mondo dello spettacolo. Un settore che, in Italia, occuperebbe 570mila persone.
Il coronavirus dà la stretta finale al settore, soprattutto la compagine legata al teatro, al cinema (-98% di incassi al botteghino rispetto alla scorsa estate), alla musica classica e leggera, alla musica jazz, non ultimo, ormai da anni in crisi per mancanza di adeguati investimenti.
Si stima che il 70% delle aziende del comparto cultura e intrattenimento dovrà affrontare un calo sul fatturato di oltre il 40% e 840mila lavoratori temono per la mancanza di occupazione e per il loro futuro così incerto. Si sentono dimenticati, abbandonati da chi avrebbe dovuto tutelarli al momento opportuno, gli stessi attori chiave che sembrano non comprendere a pieno l’importanza e il ruolo della produzione culturale nel funzionamento dei sistemi sociali ed economici.
L’emergenza sanitaria ha dettato nuovi ritmi e nuove priorità, grazie a tecnologie e strumenti che hanno permesso anche di ampliare l’offerta culturale contribuendo a quella che è diventata, mai come da un anno, una vera e propria svolta digitale: è così che la cultura riparte e va a riprendersi con tenacia il ruolo di collante della società.
App e piattaforme progettate ad hoc saranno le risorse privilegiate che potenzieranno un approccio human-centric, amplificando l’esperienza immersiva delle persone nei luoghi, nelle opere, nella musica e negli eventi culturali in programma.
Ci viene chiesto, quindi, di imparare, sempre più, un nuovo modo di viaggiare, di spaziare, di vivere e viversi, grazie a un nuovo modo di pensare alla cultura, e nel pieno rispetto della norme di sicurezza, tutto questo sarà possibile. La tecnologia digitale può venire in soccorso della cultura, salvare il nostro patrimonio e risollevarlo da un incubo che sta durando troppo a lungo, con ricadute a 360 °gradi.
Sì, perché le questioni prettamente occupazionali, in questo settore, si intersecano costantemente con l’importanza di continuare a produrre e diffondere cultura. Se da un lato al pubblico viene preclusa la possibilità di distrarsi dal contingente, reso logorante dalla pandemia, a chi ci lavora, nel comparto culturale, dall’altro, viene sottratta ogni risorsa per vivere: economica e di dignità occupazionale. E, un mondo senza cultura, arte e musica è un mondo che perde colore e senso di appartenenza ad una comunità globale.
La Cultura, va detto, non si ferma – e non si è mai fermata – nemmeno al tempo della Covid-19, a quasi un anno da quando il presidente Conte ha firmato il Dpcm 23 febbraio 2020 che introduceva misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica, ma semplicemente cambia e muta le sue forme di espressione, la sua modalità di fruizione “virtuale”, appunto.
Anche da casa possiamo viaggiare (con la mente), leggere e cibarci di cultura, auspicando, presto, ad un ritorno – anche migliore – alla normalità.
Perché, alla fin fine, ogni volta che un teatro serra le porte, un cinema interrompe le proiezioni e un concerto viene annullato, beh, la sensazione netta che si avverte è che un pezzettino dell’impalcatura che sorregge la cultura italiana si arrugginisce. Non è lo stesso anche per voi?
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Viaggi e cultura di viaggio: un “viaggio” tra un prima e un dopo. Oggi, il contagio da coronavirus ha ridisegnato, e tuttora, le logiche delle frontiere. E noi italiani siamo diventati, fin dall’inizio della pandemia, e in poche ore, quelli da “tener sott’occhio”.
C’è stato un prima coronavirus, e un dopo: il 2020, annus horribilis. II 2021, appena iniziato, non si prospetta certamente più roseo. E domani? Beh, “del doman non v’è certezza” ed è più facile dire cosa non faremo nei prossimi mesi piuttosto di quel che faremo.
C’era una volta il viaggio fatto di partenze e ritorni: un bel ricordo. Certamente, oggi, “a portata di click” c’è solo il mondo virtuale e non più quello reale. Voli a lungo raggio sospesi, si andrà verso il turismo di turismo di prossimità e, forse, neppure quello, dpcm dopo dpcm… Non solo nel turismo, ma anche nei rapporti sono privilegiati quelli di prossimità: non più gruppi, ma soli o in pochi, meglio se “congiunti”; gli amici al telefono o su zoom e sguardo ansioso (quando non assassino) se qualche estraneo si avvicina troppo. Prevale un senso generale di insicurezza e di preoccupazione, per qualcuno di paura, sia sul fronte economico che della salute.
Il viaggio al tempo della Covid-19 e post-covid tornerà a essere come quello pre-globalizzazione (con i suoi limiti e i suoi aspetti positivi)?
Di nuovo è più facile dire ciò che non sarà piuttosto che ciò che sarà. Sarà necessario rivedere le modalità di viaggio cui eravamo abituati, ridimensionare abitudini e desideri, ma non è facile immaginare come. Di certo, i nostri viaggi, non solo quelli al tempo della Covid-19, ma anche in seguito, saranno in un mondo dove sono tornate delle barriere fisiche e mentali che pensavamo definitivamente superate e che non aggiungono profondità allo sguardo, non restituiscono tempo, ma piuttosto limitano le possibilità di contatto e la libertà di scelta e di movimento.
In realtà, a ben pensarci, nuovi confini e divisioni erano già apparsi prima dell’arrivo della pandemia che ha funzionato da terribile acceleratore, ma nessuno avrebbe immaginato potessero essere di tale portata.
Ripartirò per un viaggio, quindi? Ripartirò, ripartiremo, probabilmente in meno, e per meno tempo, e per destinazioni più vicine. Molte cose cambieranno nel mio, nel nostro modo di viaggiare. Il viaggio sarà un po’ meno un bene di consumo, dato quasi per scontato, sarà più individuale e su misura, più pensato e desiderato, forse più consapevole e attento all’ambiente, più ricercato e meno “commerciale”.
Gli spostamenti, quando cresce il pericolo di un contagio, sono chiaramente più complicati. E la situazione attuale non sarà quella definitiva. In generale, infatti, è molto probabile che, essendo in una fase in costante evoluzione, anche le regole per chi viaggia possono variare in breve tempo.
Lo tsunami che si è abbattuto sui viaggi, il grido di dolore degli operatori e delle associazioni si leva all’unisono e mette nero su bianco, per l’ennesima volta, una situazione drammatica qual è l’improvvisa e drastica contrazione dei flussi turistici alla stregua dell’emergenza cultura.
La metà dei turisti in Italia è straniero. Il crollo del mercato internazionale, provocato dall’emergenza sanitaria, si è abbattuto, dunque, sul turismo italiano come un devastante tsunami. Per la ripresa ci vorrà almeno un triennio. Il viaggio, di riflesso, diventerà sempre più come “bene di lusso”? Quanti si potranno ancora permettere di viaggiare? Nascerà, presumibilmente, una nuova forma di turismo, a costo zero?
Però, in fondo, siamo tutti viaggiatori nati. Abbiamo polvere di stelle nelle vene, cartine geografiche con strade d’argento negli occhi e istruzioni per viaggiare fino a Andromeda…Poi? Verso l’infinito e oltre!
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…