Mi innamora la gentilezza. Da qualunque parte arrivi. Perché penso alla sua tenacia nel resistere. Piccolo fiore tra le crepe delle rocce.
Un sorriso, come arma di gentilezza di massa.
La gentilezza non è una gran cosa, è oltre: un milione di piccole cose.
Il mondo è malato.
La medicina più curativa è la gentilezza.
E’ un’estate strana, di cambiamenti e di scelte scandite da date e impegni importanti.
Di sacrifici, di attesa, di lentezza, di propositi nuovi traguardando il prossimo settembre.
Di legami veri, che resistono nel tempo. Degli incontri speciali, più recenti, ma non meno significativi e profondi. Del sostegno che deriva dalla forza emotiva e pratica di Lisa, tra le righe e in silenzio, e della sua pazienza, da anni, con me. Le telefonate al mare, dall’isola del mio cuore, per darsi conforto vicendevolmente…
Di amori che hanno lasciato un vuoto e una grande ricchezza, per sempre.
Di amori silenziosi.
Di bagni a mezzanotte, inaspettati.
Di lasciarsi andare tanto da trovarsi con la testa in aria, di mollare il controllo ossessivo sulle cose, sul to-do, al punto dal ritrovarmi in episodi di pericolosa distrazione.
Un’estate in cui, nonostante tutte le bordate della vita, praticare la gentilezza ha l’effetto di ricevere gentilezza nei luoghi che frequento, anche per caso.
Dopo oltre 20 anni di mare a Levante, quest’anno, così per caso, cambio direzione, ricordandomi di una bella giornata di mare, di anni fa, a Ponente. Mi fermo a Vesima: spiaggia di sassi, libera e selvaggia, di mare “più comodo”, di atmosfera familiare, gente semplice anche se troppo affollata per il mio standard, ma sempre meno di altre. Punto lo sguardo sull’ultimo chalet “Chiringuito”, prima della galleria.
L’accoglienza e la gentilezza di Maurizio Olivieri, e del suo staff in spiaggia, danno un senso a quella scelta “per caso” . Ci si sente liberi, ma anche non abbandonati a se stessi, se hai bisogno di una pausa al bar o di una doccia gelata o, semplicemente, di una gentilezza…
Una volta lessi una frase che mi è rimasta addosso “Sii un arcobaleno nella nuvola di qualcun altro”.
Ricevere sostegno, solidarietà e gentilezza da un amico di penna, prima ancora un mio lettore, e mettermi in contatto con un suo amico di Genova per scambiarci contatti lavorativi. Gli intrecci del cuore…
Il buongiorno, arrivato l’indomani di una serata piena di forte energia, che mi ha fatto sentire compresa e protetta, nonostante la Sua assenza.
Conoscere due donne simpatiche, piene di vita, vedove di marito, ma non certo di voglia di portare allegria. Condividere pezzi di vita, esperienze, progetti, così naturalmente…
Tornare dalla spiaggia, non trovare le chiavi dello scooter, ma un biglietto sul parabrezza con su scritto “Le tue chiavi sono allo chalet “La Spiaggia”. Passare a ritirarle e far arrivare i miei ringraziamenti per la commovente gentilezza non so a chi, ma non importava. Sì, perché la cosa più bella nella vita è fare qualcosa per qualcuno senza che se ne accorga.
Imparare a dosare sole e mare, bagni e jogging (io che sono una lucertola di mare), puntando a qualcosa più importante e salutare, in questa estate torrida, in questo agosto dalla canicola senza tregua. Curiosità: lo sapevate perché si chiama canicola? E’ il periodo di maggior caldo dell’anno, corrispondente a quello in cui il Sole ha appena oltrepassato le costellazioni del Cane maggiore e del Cane minore (per l’emisfero boreale tra la fine del mese di luglio e quella del mese di agosto).
Sto continuando a praticare la gentilezza anche laddove non c’è ombra di essa.
Credo nella magia dei gesti gentili.
Il potere disarmante della gentilezza. Un sorriso gratis. Ascoltare. Non avere fretta.
La gentilezza
arma di seduzione di massa…
Ci sono poche cose che fanno davvero bene alle persone.
La gentilezza è una di queste. Soprattutto quando è inaspettata.
Sii sempre un po’ più gentile del necessario – mi incalzava mia mamma fin da piccola. E io, come dire, ho sempre cercato di ascoltarla.
In inglese c’è un modo di dire che ho fatto mio negli anni, cioè:
“Don’t take my kindness for weakness”, “Non scambiare la mia gentilezza per debolezza”.
E’ un agosto di paziente attesa, di forte determinazione, di pratica della gentilezza, nonostante tutto.
Un mese in cui sto imparando a dare senza esitazione, come perdere senza dispiacere, come acquisire senza grettezza.
Un agosto che ha tutta l’aria di essere ricordato negli anni avvenire.
Quando la misura e la gentilezza si aggiungono alla forza, quest’ultima diventa irresistibile.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Che severi allenatori questi ultimi! Per questo 2023 che se ne va, solo una cosa c’è da dire: “Bye bye”. Al 2024 che arriva invece direi: “Comportati bene e non fare come il 2023 (e 2021 e 2022)”.
Per questo nuovo anno mi auguro ponti, vertigini e orizzonti. E…di ricominciare, che verbo difficile e, al tempo stesso, intrigante.
Caro 2024, ora tocca a te…
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
La porta, del passato. Quella accanto, quella di fronte. Soglia come uscio, come uscire, come lasciarsi andare, come lasciare andare. Come andare incontro a ciò che succede. C’era un tempo in cui ero stata abituata a vivere le porte, soprattutto le nostre, per essere aperte, per accogliere e lasciare entrare la luce, il vento, gli altri. Noi. Un continuum di casa, senza muri, di fatto.
Ci sono persone che hanno dentro di sé una luce enorme, abbagliante, riempitiva, ingombrante, anche, ma unica e rara, che neppure loro stesse conoscono a fondo. Come te. Dopo di te, raramente mi è capitato di viverla, così sulla pelle.
Come quelle porte che hanno una riga di luce sotto e restano chiuse e non sapranno mai quanto bagliore potrebbero mostrare se venissero aperte, potendo ritornare indietro.
Ci sono persone che entrano nella tua vita solo per ricordarti di chiudere la porta a chiave più spesso. Quante porte abbiamo aperto, poi chiuso, ma sempre riaperto in oltre dieci anni. A chiave, socchiuse, spalancate, ma il verbo “aprire” e “fare entrare” era il filo che ci univa. Noi, le case, le porte, gli affetti, Minou, poi Milady, quante persone sono entrate, di quante illusioni abbiamo vissuto, abbiamo sbagliato a fidarci o, forse, non abbiamo avuto il coraggio di “smontare” le nostre paure sulla realtà.
Dopo di te, di noi, la misura di certi giorni sono le scale che salgo faticosamente, lo sguardo basso e la chiave che non gira nel modo giusto nella porta. Lo sguardo sempre rivolto all’indietro, come a cercare ancora quella vita, quella storia, quelle abitudini con le quali mi sentivo al centro del Mondo.
Hai chiuso davvero una porta quando non ti importa più sbirciare dalla serratura, di accusare ogni rumore come boomerang, di farti graffiare il cuore da chi entra “dopo di te”. Sì, perché è estenuante bussare, idealmente, a una porta che non si apre. Ma lo è di più tenere aperta una porta in cui nessuno entra: tu.
Oggi, da più parti, mi sono arrivate queste parole di amore, di fede, di speranza per me: «mettere insieme i pezzi, smettere di guardare indietro, ma guardare solo avanti. Le cicatrici hanno valore perché parlano della nostra battaglia interiore. Non vergognarsi delle proprie debolezze, non nasconderle, ma usarle per rafforzare la nostra forza. E, soprattutto, perdonare, essere pace e in pace».
«Guarda avanti»- mi è stato ripetuto – per guarire.
Quella porta, si è aperta, nuovamente, mi ha svegliata di mattino presto. Rumori molesti e la stessa violenza. Sono entrata dentro, come l’ultima volta, quasi estranea e abusiva – come loro – di tanta “bruttezza della tua non casa”. Mi sono immaginata te e questo pensiero «non aprire mai le porte a coloro che le aprono anche senza il tuo permesso». Sono uscita, col nodo in gola, e portandomi via due oggetti, ricordi di viaggi insieme, ma alla fine sono solo cose, il legame inattaccabile e inviolabile è il cuore, nel cuore.
Ci sono pensieri – come questi – che ti rimbombano dentro come una porta sbattuta. O una mai aperta.
Ho chiuso con le illusioni, ma queste continuano – testarde – a cercare di buttar giù la porta.
Voglio imparare ad aprire la porta e dietro trovare te. Non aver paura del vuoto, del prima e del dopo, ma sentire “casa”, ogni giorno, nel cuore. Non sono pronta ad assistere al trasloco, a chi verrà, se rimarrò qui, ma so che voglio guarire, guardare avanti, senza essere più ostaggio del passato. Voglio continuare il mio viaggio, sentendo la bellezza che hai lasciato, in queste case, dentro la mia vita, senza soffocare nell’abbandono. Ci riuscirò? Sì, me lo devo. Te lo devo. Eppure, mi manchi e mi mancano i nostri abbracci di “famiglia”. E, alla fine, il “tutto insieme”: è solo la prima delle altre porte “di casa” che si stanno chiudendo.
Si dice che la porta sia la parte più lunga di un viaggio – Porta itineris dicitur longissima esse.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Krav Maga, ma di cosa si tratta? L’espressione krav maga, in ebraico moderno, significa letteralmente “combattimento con contatto/combattimento a corta distanza”. E’ un sistema di difesa di origine israeliana sviluppato originariamente per contrastare le aggressioni antisemite negli anni 1960 e poi, successivamente, adottato dalle forze di difesa israeliane. Il Krav Maga deriva da una combinazione di tecniche provenienti da boxe, aikido, judo, karate, kung-fu e combattimento da strada.
È costruito estrapolando e semplificando i movimenti e le tecniche apprese attraverso lo studio delle arti marziali e degli sport da combattimento in modo da renderlo il più semplice ed efficace possibile in caso di aggressione. Il Krav Maga non è uno sport da combattimento né un’arte marziale, esso sviluppa lo studio di due situazioni: la difesa personale, intesa come prevenzione in caso di aggressione, e, in fase avanzata, il combattimento corpo a corpo. E’ il sistema di autodifesa più usato al mondo: lo praticano reparti speciali dell’esercito, guardie del corpo e addetti alla sicurezza.
La violenza non è forza ma debolezza
La violenza, sotto qualsiasi forma si presenti, è un male in continua evoluzione in una società dove resta alto il numero di femminicidi, in Italia e in Europa. Con femminicidio si intende l’omicidio di una donna in quanto donna. Dal primo femminicidio in Italia di una nobildonna palermitana, nel lontano 2 marzo 1911, ad oggi, i fatti di cronaca parlano di numeri da togliere il respiro: nel 2023 già 70 femminicidi in Italia mentre, nel mondo, 5 ogni ora, stando all’ultimo rapporto Onu. La violenza contro le donne, ma non solo, rappresenta una delle più gravi forme di violazione dei diritti umani.
Ho scoperto il Krav Maga grazie all’incontro con Carlo Garofano, così appassionato di questa disciplina che mi ha incuriosito fino al punto di volerne scrivere. Mi parla di lui, di cosa si occupa la sua associazione I.S.K.M e dove si può praticare a Genova. Mi colpisce – di lui – una frase “sempre studenti, qualche volta maestri”. I.S.K.M. nasce a Genova nel luglio del 2012. fondata da Carlo Garofano, presidente e responsabile tecnico per la Liguria della federazione europea di Krav Maga Richard Douieb ( F.E.K.M R-D). Durante i corsi vengono mostrate agli allievi varie tipologie di aggressioni con le relative tecniche di difesa, aggressioni che possono avvenire a scopo di rapina, di stupro, o più semplicemente per violenza gratuita e verranno trattati argomenti sulla psicologia comportamentale durante un’ aggressione. Inoltre, nei corsi avanzati, si simulano aggressioni con le armi (coltelli, pistole, bastoni), o qualsiasi oggetto atto ad offendere.
I corsi riprenderanno a Genova, nelle due strutture (orari consultabili sul sito): Palestra Italia (lunedì 25 settembre) e WELL & FIT (martedì 26 settembre).
Settembre il mese della prevenzione, il mese della ripartenza. Nonostante sia tradizionalmente associato con la fine dell’estate e l’imminente arrivo dell’autunno, settembre a me è sempre parso un mese di inizi, una sorta di primavera.
A settembre, c’è nell’aria una strana sensazione che accompagna l’attesa. E ci rende felici e malinconici. Un’idea di fine, un’idea di inizio. Sì, perché abbiamo continuamente bisogno di nuovi inizi.
Prendendo a prestito una celebre frase di Marilyn Monroe «c’è un momento che devi decidere: o sei la principessa che aspetta di essere salvata o sei la guerriera che si salva da sé… Io credo di aver già scelto… Mi sono salvata da sola».
E voi?
Ogni volta che una donna lotta per se stessa, lotta per tutte le donne e… per tutta l’Umanità.
Meglio vivere più in “difesa” che “indifese”…no?
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Sciogliere i nodi. Si può e si deve.
Il nodo ferma, stringe, blocca.
Ognuno è il nodo di qualcuno o qualcosa.
La bellezza di un nodo non è quando lo stringi, ma anche quando lo sciogli. Quando impari a scioglierlo.
E’ una fase – questa – di “apprendistato” con i nodi, di s-legami, di pettine, di voglia di essere libera, dentro. Libera di imparare una nuova vita, di non dover dipendere dalla paura, dalla famiglia, che non c’è e c’è altrove, dal peso specifico dei ricordi, delle promesse, delle illusioni che mi sono servite da paracadute. Una nuova rinascita partendo dai nodi, quelli più antichi che resistono, ma non vincono più su di me, non di diritto. Spetta a me: vincere o perdere.
E, come scrive il mio maestro, «Perciò, anche se i risultati al momento non sono quelli che avevamo sperato, alla fine vinceremo e potremo guardare indietro con gratitudine rendendoci conto che siamo stati davvero protetti e che tutto ciò che è accaduto ha un profondo significato. Per questo è importante avanzare con grande fiducia, “non nutrire dubbi nel nostro cuore“». (Daisaku Ikeda, Buddismo e Società, 235, p.38-39)
Se sciolgo un nodo molto stretto, la corda ritorta, anziché godere la sua libertà, cerca di ritornare al nodo originario.
Così alcuni problemi della nostra vita.
Il rosa del tramonto, il viola, il vento leggero e i respiri lunghi a distendere pensieri nodosi.
Spesso ciò che è difficile è solo un nodo che nessuno ha la pazienza e la volontà di sciogliere.
Il paradosso dei legami è che in genere sciolgono dei nodi e ne creano altri.
Il nodo più difficile da sciogliere è quello che non lega nulla.
I nodi servono per ricordare. Nei quipu peruviani sembra che un intero alfabeto sia scritto coi nodi.
Basterebbe allentare un nodo per stringerlo più forte.
Il marinaio fa le cose a nodo suo. E io lo sono diventata, in mare e a terra.
E, allora, mi legherò a me. In un nodo o nell’altro.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Mamma, che giri, quanti giri fanno le vite, eh? Era davvero una splendida giostra. C’era il movimento, il vuoto, la paura, la felicità. E c’era la vertigine di guardare nei tuoi occhi. Era la nostra giostra. Sui giri di vite, sto imparando tanto da una canzone di Marco Mengoni che mi ha rapita:
Quando la vita poi esagera
Tutte le corse gli schiaffi, gli sbagli che fai Quando qualcosa ti agita Che giri fanno due viteOggi è il tuo giorno, il nostro gettone, quel gettone che tiro fuori dalle tasche, ogni anno, il 14 maggio, soprattutto. Un giorno pieno di significato, oltre la festa della mamma: sedici anni che sei salita più in alto di me, più lontano da me, eppure sempre fianco a fianco.
La vita è un giro di giostra con un solo gettone. Puoi urlare, piangere, ridere, emozionarti e aver paura. Ma, alla fine, mi hai sempre insegnato a vivermelo a fondo, senza voltarmi indietro a guardare a cosa sarebbe successe se… La nostalgia è una di quelle giostre dove nessuno ti viene a prendere. E sulla piattaforma gli animali di legno sono fermi e sorridono.
Questa vita è una gigantesca giostra in cui non si vede mai il giostraio, quelli che girano sui cavallucci strillano, illudendosi di essere bimbi, come succede a me. In un anno così in salita, sì, a ripararmi da pericolosi burroni, da rapidi saliscendi, imparando a piegarmi dolcemente a ridosso delle tante strade con le curve a gomito. Un anno in cui, beh, se la vita è una giostra ho avuto, spesso, la netta sensazione di aver finito i gettoni. Eppure, ho sempre ripreso la corsa, ricercato quella giostra, la nostra. E quella che mi aspetta, sta aspettando, anche nel mentre scrivo…
Come quelle giostre spericolate che ti fanno paura, ma ti sfidi e ci vai. E poi non vorresti più scendere, da quel carosello di emozioni.
Un figlio senza genitori non è più figlio, ma Uomo o Donna, genitore semmai. Senza famiglia si è la persona più vulnerabile al mondo, eppure diventa la più forte, se impara con amore a bastarsi. Il primo anniversario da “orfana”, di madre e padre. Nella lingua italiana, “orfano” è il figlio a cui mancano i genitori. Esiste anche un altro termine: “orbato”. Come se venisse a mancare la luce ai propri occhi. E’ come se l’orfano tagliasse lui stesso il suo cordone ombelicale. Ecco, oggi, mi sento così, sarta di taglio su me stessa. Non vinta, non sconfitta, non arresa, ma consapevole e anche così forte come mai avrei pensato di scoprirmi, senza più te e il mio capitano, e tutti gli errori che ho commesso in questi anni…
Sai, mamma, anche oggi, se mi guardo indietro, sulla giostra degli errori sono quella che prende sempre il fiocco e vince il giro successivo. Mi faccio travolgere dalle emozioni, senza mantenere la prudenza al volante della vita, ma sto imparando dagli allenatori implacabili in compagnia dei quali mi hai lasciata. Ho capito, sulla mia pelle, che l’abitudine a dar per scontato l’amore vero che c’è, quello che si tocca, che si ha il privilegio di poter vivere, di scambiarsi in vita, è una giostra ferma, alle volte. E, allora, falla girare. L’ho fatta girare, oh sì!
Sì, alla fine, noi viviamo e moriamo, ma le ruote della giostra continuano a girare.
Ecco che cosa resta
di tutta la magia della fiera:
quella trombettina,
di latta azzurra e verde,
che suona una bambina
camminando, scalza, per i campi.
Ma, in quella nota sforzata,
ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi,
c’è la banda d’oro rumoroso, divertimento e horror, risate e colpi di stomaco chiuso,
la giostra coi cavalli, l’organo, i lumini.
Allora, facciamolo un ultimo giro di giostra,
così da guardare dall’alto tutte le nostre sterili corse e le nostre piccolezze,
e sfiorare le nuvole.
Se la vita è una giostra NON ho finito i gettoni, mamma.
Sempre insieme, noi due.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Due su due. La promessa continua. Siamo tornate a Genova, un anno dopo. Alla Mostra Internazionale Felina di Genova. Lì, su quel palco che ti aveva accolta orfana di zio troppo presto, frastornate dal troppo rumore, troppa luce e troppo freddo. Su quel palco sotto al quale io ti osservavo così fiera e col nodo in gola. Ci siamo tornate, da sole, con lo stesso groviglio nel cuore, ma sapendo di contare su riferimenti preziosi che la vita, strada facendo, ci ha messo sulla strada.
A chi non c’era, ma c’era dall’isola del nostro cuore, la Sardegna, terra natia di Milady, devo un grazie speciale. Tutto è iniziato con il regalo dello zio per i miei cinquanta anni ( e per i successivi): a Sguardi Dolci di Sonia Fenu e Addams Cuttery di Martina PintusBoi, alla loro scelta di selezione, alla linea di sangue da cui discende First Milady Sguardi Dolci.
A chi c’era e mi ha aiutato, passo passo, da mesi, svelandomi “tutti trucchi del mestiere”, accogliendomi in casa per insegnarmeli, Gianfranca Saronni, e oggi stesso, Michela Faccio che, non conoscevo, solo per tramite di Gianfranca, ma si è presa cura di Milady, come se fosse sua, insieme ai suoi meravigliosi persiani chinchillà: allevatrici serie e davvero disponibili. Alla complicità ritrovata in Franca, allora come oggi, che ci ha riaccompagnate a case e al suo bellissimo certosino Estragon. E a Marinella che ci ha raggiunte per la premiazione e si percepiva negli occhi tutto il suo tifo per questa principessa. E, non ultimo, a Minou che mi spinge, come non pensavo possibile, ad amare ancora così tanto, dopo di lei.
C’era l’ansia, il coraggio, la fierezza, la paura delle emozioni che ritornavano a galla, del vuoto che bussa sempre alla porta del cuore, la voglia della promessa mantenuta, da rinnovare, che continua.
A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato. Quest’anno, sì, abbiamo vinto. Non abbiamo mai mollato, bambolina del mio cuore!
Vincenti. Basta guardarli. Basta guardarci. Noi abbiamo vinto, insieme, anche quest’anno, imparando la lezione che più conta: la cura, la bellezza, le fatiche della preparazione, la pazienza, la resilienza, ma la vera maestra sei tu, Milady, dagli occhioni color rame. A certa bellezza non puoi reagire. Ti incanta la pelle. Ti crea spazi tra gli occhi. Ti fa luce limpida nel cuore. Hai messo in difficoltà quei giudici, tentati dal proclamarti vincitrice, ma conta il viaggio non la meta. La vittoria vera la conosciamo solo noi.
La vittoria è sempre nel pugno di pochi. Provare a preparare questa pattuglia di eroi è il segreto di ogni vittoria. Vince due volte chi nell’ora della vittoria vince se stesso. Chi si fa forza in due, ma vale mille: noi. Nuovi compagni di sfide, la bellezza e l’amore che ti scorrono accanto, quasi a sentirle addosso. La tua dolcezza e il tuo carattere sono la più attrattiva calamita del mondo. Perché basta un tuo sguardo (dolce) per scioglierti e sentirti al sicuro, in pace col mondo, per un attimo. E non importa cosa hai dovuto affrontare, fin qui, ma conta il peso specifico di chi e cosa siamo, noi. Insieme. Quando ci mettiamo in cammino verso qualcosa…
Convincere, è vincere, senza che ci sia un vinto. Vincere su se stessi, nonostante tutto e tutti.
Ci sono delusioni e ferite che ti scaraventano fuori dal corpo, dalla ragione, dal mondo, dall’universo, dalla vita.
Poi arriva la forza. Non sai da dove, ma arriva. E ti risolleva.
La vittoria non è definita dalle vincite o dalle sconfitta. Essa è definita dall’impegno. Se puoi dire sinceramente “ho fatto il meglio che potevo, ho dato tutto quello che avevo,’ beh, allora sei un vincitore.
Tu, Milady, hai tirato fuori il meglio di me, il senso materno più esplosivo che vive dentro me. Mai come ora, dopo tutti gli strappi del cuore.
Ho vinto. Abbiamo vinto. Cuore-a-cuore. Tu che già dal tuo nome (First Milady) sei la prima in tutto a sbaragliare cuori e strappare giudizi. A incantare allevatrici, anche solo per il tuo carattere, che ti invidiano tutti. Sei piccola, ancora, faremo tanta strada, dentro e fuori.
Vincenti. Basta guardarli. Basta guardarci. Noi siamo da “best in show”, anche se non lo abbiamo vinto, ma ci siamo arrivate, anche quest’anno, strette strette, abbracciate e più complici che mai.
Per sempre, noi.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Il mio giorno zero. Esiste per tutti un giorno zero? Sì, quello in cui non si vince, non si perde, ma si riparte. Il numero dopo lo zero è sempre un inizio, anche dopo la fine di qualcosa. Un andare daccapo. Negli inizi si è vergini, non si può partire sconfitti e, se succede, beh, è più quella fastidiosa vocina sabotante che s’impone su tutto, e non il tutto. Ci si allontana da qualcosa, da qualcuno, da chi non resta, da chi non c’è mai stato, ma ti sei aggrappato all’idea ci fosse per farti tornare meglio i conti nel cuore. E così lo chiamano “il giorno zero” quella volontà di mettere un punto, respirare profondamente e ripartire, ripartire dal nulla, senza passato, senza futuro, senza la zavorra di tutti i tuoi errori e quelli che gli altri ti hanno scaricato addosso, senza niente.
Mi ha investito come un treno il mio personalissimo giorno zero, quello che convenzionalmente ho usato per ripartire. Ogni giorno zero di solito è preceduto da giorni con i numeri relativi, negativi, che ti hanno tolto qualcosa: la famiglia, un amore, un amico, più d’uno, un lavoro, una città, l’autostima, la bellezza di essere ciò che sei. Tocca reinventarsi, cambiare, trasformarsi, crescere improvvisamente e sapersi arrampicare ovunque per salvarsi. Bisogna voltar le spalle a ciò che viene prima di quel giorno per essere viva, possibilista, speciale per te, nuova, davvero me stessa. A volte, capita, che il giorno zero sia più neutro, più bizzarro e senza troppo carico sentimentale, ma non a me. A me non succede mai quel condono emotivo.
Quel giorno è stato il mio compleanno, il 16 gennaio, a due anni di vita dalla nascita del blog ma, soprattutto, il primo senza lui, senza quel noi. Ma con lei. Milady, il tuo regalo, anno dopo anno.
[…] Senza loro. Quel tempo di bilanci a cui non si può sfuggire. Un crocevia di tanti nodi e ferite che si sono riuniti tutti lì, insieme, facendo tanto rumore. E poi è arrivato quel messaggio vocale di un’anima spirituale e antica, tra i tanti, ma diverso dai tanti, a restituirmi il senso di quello che stavo vivendo e, in un qualche modo, ad ispirare “le fil rouge” di questo racconto postumo, che riproduco, in parole, per renderne lo spessore “Il tuo tempo è ancora lungo. Si sta dilatando. Non sono 51 anni, ma oggi è il tuo primo anno di vita! Che tu possa viverla anche per Pino, con gioia. Ritrovare quella morbidezza e leggerezza. ..E’ tutto da scrivere il tuo futuro, ti voglio bene, Millina. Buon compleanno, Millina: io ci sono!”.
Grazie Silvia, anche per la tua paziente attesa e le tue puntuali ‘comparse’, perché, sì, oggi quelle parole hanno lo stesso effetto solo “dilatato”, già… Alla fine, ho capito, sulla mia pelle, che c’è chi rimane in silenzio e in attesa dei tempi giusti, dandoti tempo, e c’è chi scivola via perché non ha tempo di concedere tempo, sta sempre a rincorrere e rimandare il tempo in attesa di qualcosa che può sempre accadere…un giorno, finché non si raggiunge il proprio “giorno”.
Tutti i numeri uno sarebbero minuscoli, se dietro non ci fossero le code osannanti di zeri. L’umiltà dello zero, si accontenta del fascino del non essere, del suo mistero vuoto, mentre i numeri si affannano per crescere e farsi notare.
Amo chi sa ripartire da zero. Consapevole che in quel momento lo zero è maggiore di qualsiasi altra cifra. Anche quando senti di valere zero, ti diranno che vali zero, ricorda che lo zero viene prima di tutti gli altri numeri. Siccome lo zero è “il nulla”, allora il doppio zero indica “il tutto”. Ecco, mi piace ripartire da qui. E puntando a “chiudere” quel cerchio con amore, libertà e leggerezza, presto. Nella tua terra. A primavera.
Dallo zero in poi conti all’infinito.
Per fare il contrario non sai da dove cominciare.
Basterebbe solo questo a mostrare tutta la fragilità e la bellezza del cuore.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…
Una storia da raccontare: “le otto montagne”. Un film, o meglio un romanzo fotografico, in cui memoria e ricordi sono il filo conduttore di una storia di amicizia e amore dai confini labili, molto labili, palpabili tanto intensi, di figure paterne presenti e assenti, di sentieri, ruscelli, petraie, valli e cime innevate, sogni e illusioni mescolate a forme di dipendenze, e di silenzi parlanti.
La montagna non è solo natura incontaminata. “E’ un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura” (Paolo Cognetti). Il padre capo cordata che poi si farà vecchio e, a sua volta, verrà trascinato da quei bambini che diventeranno uomini.
Due bambini che si incontrano e non si lasciano più, anche quando la vita li allontana, apparentemente per sempre, e di un luogo in cui ritrovarsi e riconoscersi, da grandi come allora.
Due bambini così diversi, ma che sanno scegliersi, in quell’estate, tra i campi fioriti e le mucche da portare al pascolo.
Pietro è un ragazzino di città, nato e cresciuto in una famiglia borghese di Torino dove non si possono dire le parolacce.
Bruno, invece, è l’ultimo bambino di un paesino di montagna il cui padre non c’è mai e, quando ritorna, se lo porta via per fargli fare il muratore a dieci anni. E…le parolacce le dice eccome.
Passano gli anni, Bruno rimane fedele alle sue montagne, mentre Pietro andrà via per poi tornare sempre lì.
Una centrifuga di emozioni: i loro dialoghi, le loro promesse, quella di un padre che diventa la loro eredità, i loro silenzi, gli sguardi, quegli abbracci, quel diario ritrovato in vetta, e ben nascosto tra le pietre, le corse e quel senso di appartenenza che non conosce confini.
Quel richiamo alle cime del Grenon, in Valle d’Aosta, il lago di Frudières, quel costante desiderio di sfidare la vita con i suoi schemi, di deviare dalla retta via (ha un nome, poi?…) li accomuna sempre, nonostante le partenze e gli arrivi e lo ‘stare’ di chi rimane sempre lì.
Amore e montagna, vita e inquietudine, rimpianto e accettazione di sé e dell’altro.
In una scena del film, in una notte di instancabili bevute e risate, Pietro disegna su un taccuino un cerchio che simboleggia il mondo. Al centro c’è la montagna più alta, il Sumeru, circondata da otto mari e otto montagne (ndr, ecco il senso del nome del film).
La domanda è: chi ha imparato di più? Chi ha visitato “le otto montagne” (Pietro) o chi ha raggiunto la vetta del Sumeru (Bruno)?
Un ambientazione da togliere il fiato, le Alpi e il Nepal, un sali e scendi dalle vette, un andare per conquistarsi un posto nel mondo, un rimanere che è ancorarsi alle radici del cuore.
Il film si snoda attraverso quella domanda e mette a nudo i percorsi opposti dei due.
Se già il film “Le otto montagne” è ad alto impatto emotivo, la fotografia non è da meno: fatta di inquadrature fisse, zoom, campi larghissimi con i quali i due registi seguono il passare degli anni e delle stagioni scegliendo nel formato 4:3 di immortalare le montagne in tutta la loro maestosità tesa verso l’alto.
Un film sull’amicizia. Quella libera. Quella che ti lascia libero di andare via perché le radici non sono geografiche, ma piantate ‘col cemento’ in fondo al cuore.
Di un amore che prova a sfidarsi sulle frequenze dell’altro, anche quando si è soli a sentire il diverso ritmo della vita e, giocoforza, a decidere che direzioni prendere.
“Stavo imparando che cosa succede a uno che va via: che gli altri continuano a vivere senza di lui”. (Paolo Cognetti).
“Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa”. (Ibidem)
– P. ” Guarda che c’è un mondo fuori da qui. Questo confine te lo sei inventato tu”.
– B. ” Non ti preoccupare per me: questa montagna non mi ha mai fatto male”.
[…]
Non potevo farmi un regalo migliore ad inizio anno. Ma, si sa, nulla è casuale. Ogni giorno arriva con i propri doni. Oggi, ho scelto di sciogliere i suoi fiocchi.
Un ottovolante – questo regalo a me stessa – di sentimenti liberi, e a spasso per il cuore. Come per ricominciare, anche io, un nuovo viaggio verso l’infinito.
Ti viene voglia di caricare lo zaino sulle spalle e partire alla conquista di una cima.
La mia.
Sono nata a Modena, correva l’anno 1972, modenese da generazioni (e me ne vanto), ma ligure di adozione dal 2007. La mia Genova, un po’ matrigna. Ti respinge, ma poi ti ama… Ho sempre sognato di fare la scrittrice: ero convinta che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo. Reporter di viaggi e inviata stampa, per vent’anni, esclusivamente sulla carta stampata, tra premi letterari e il profumo di qualche libro a mia firma. E poi? Un balzo sul digitale, nell’anno bisestile e, dulcis, al tempo del Coronavirus. Amante viscerale degli animali, della natura, del mare, dell’avventura, del viaggiare al di là dei confini del mappamondo per raccontare i veri luoghi e la vera vita della gente del mondo. Appassionata di comunicazione, letteratura di viaggio, sociale, cronaca di vita, fotografia, musica e libri. E di racconti, di storie, di tante storie da raccontare…